Due panini, prosciutto a scelta, carne in scatola e fruttino. Questo è il pasto freddo che ieri, nel giorno della ripartenza del lavoro in molte aziende italiane, è stato fornito ai lavoratori di Leonardo che non hanno il green pass. Scelta considerata dalla Fiom-Cgil “inaccettabile, oltre che indicatore di un pressapochismo imbarazzante”. Poi ci sono le foto che ritraggono una manciata di poliziotti all’esterno di un edificio mentre consumano un pasto con i vassoi appoggiati su un muretto o sulle gambe. Ma c’è anche lo scatto che ha immortalato una decina di addetti dell’Ikea di Piacenza che hanno pranzato a terra fuori dal magazzino. “Molti di loro – spiega il segretario Fit-Cisl di Piacenza Salvatore Buono – sono stranieri e magari poco informati dell’obbligo del green pass per accedere alle mense aziendali. Abbiamo chiesto un incontro con l’azienda che ci è stato negato”. Ikea ha chiaramente spiegato che non c’è nulla su cui trattare: hanno solo recepito le norme imposte dal governo con una Faq pubblicata lo scorso 14 agosto. Il chiarimento è arrivato dopo oltre una settimana dall’entrata in vigore dalle nuove regole sul green pass del 6 agosto. Ma da allora si continua a discutere sul considerare le mense aziendali al pari o meno dei ristoranti per i quali è stato, invece, espressamente previsto l’obbligo della certificazione verde al chiuso. Soprattutto perché l’obbligo è sostenuto da una Faq e non da una norma.
Insomma, una misura molto controversa che continua a essere osteggiata dai sindacati che la considerano “punitiva”. Esattamente lo stesso aggettivo utilizzato dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi per etichettare invece il decreto sulle delocalizzazioni che stanno preparando il ministro del Lavoro e la viceministra dello Sviluppo Alessandra Todde. Ma, mentre il numero 1 degli industriali critica mezzo governo per la nuova legge sulla responsabilità delle aziende che delocalizzano, dall’altra parte bacchetta i sindacati, che, a suo dire, “hanno fatto un grande errore” sulle misure di sicurezza per la ripartenza delle imprese. La questione del green pass è stata affrontata con toni molto duri dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, che si è detto “non contrario a un obbligo generale della certificazione per tutti i lavoratori”, ma di non condividere l’idea di introdurlo per le mense che sono un luogo di lavoro, dove l’obbligo non è stato ancora imposto. La linea dei sindacati è univoca: vorrebbero che il governo introducesse per legge l’obbligo del pass in mensa e che non fosse stabilito da una Faq.
Un problema che ha dato vita a un evidente paradosso: si può dividere la scrivania o una parte della catena di montaggio per 8 ore con un collega, ma non ci si può mangiare insieme. “C’è il rischio di tensioni inutili, che vogliono evitare sia i lavoratori sia le aziende”, ha spiegato la Fim-Cisl che è stata tra le prime sigle a battagliare contro l’esclusione dalla mensa dei lavoratori senza green pass.
Così, se in diverse grandi aziende hanno già cominciato ad attrezzarsi per l’allestimento di aree dedicate alla distribuzione dei pasti caldi per chi è ancora sprovvisto della certificazioni, le banche stanno iniziando a stabilire singolarmente norme per l’accesso dei propri dipendenti in mensa, anche se la maggior parte lavora in filiale o è ancora in smart working. Una scappatoia non da poco per evitare le rivolte dei sindacati. Intanto la politica tace. Solo Matteo Salvini, sulla linea dei sindacati, si è detto contrario alla certificazione verde per mangiare nella mensa aziendale. Punti di incontro strani quelli che crea il green pass.