È tornato il Grande gioco. Dopo la riconquista talebana potenze occidentali e mediorientali studiano come ricollocarsi, tra timori per i flussi migratori e quelli di perdere posizioni acquisite nell’area.
Stati Uniti A parole non rinunciano a dettare condizioni, ponendo paletti al dialogo: la partenza di tutti i cittadini americani e stranieri che vogliano andarsene e degli afghani loro collaboratori; la formazione d’un governo “inclusivo”; la messa al bando dei gruppi terroristici; e il rispetto dei diritti fondamentali, specie delle donne. Intanto, stop a ogni forma di cooperazione e assistenza: una linea condivisa con la Nato ed espressa pure dall’Ue. Dopo, lasciare il gioco a russi e cinesi non è un’opzione. Washington non ha bisogno di aprire canali di dialogo coi talebani, perché già ne dispone: il 9 agosto, Biden spedì a Doha l’inviato speciale Zalmay Khalilzad, che negoziò l’intesa del 2020, per indurre i ribelli a cessare l’avanzata e venire a patti col governo; o, almeno, per ottenere garanzie per le ambasciate e l’evacuazione.
Gran Bretagna È pronta a fare “tutti gli sforzi politici e diplomatici”, anche “lavorare” con i talebani “se necessario”, per trovare una soluzione alla crisi: lo ha detto Boris Johnson al termine dell’ultima riunione, venerdì (la quarta in pochi giorni), del comitato di emergenza Cobra. Prima aveva sottolineato l’importanza di raggiungere una “posizione internazionale comune”: “Nessuno riconosca il governo talebano prematuramente o bilateralmente. Non vogliamo che il Paese diventi di nuovo terreno fertile per il terrorismo”. Londra, che ha già assicurato l’evacuazione di almeno 1.600 persone, ha annunciato un piano di “protezione umanitaria” per accogliere fino a 20 mila rifugiati, 5 mila già quest’anno. “Abbiamo un debito di gratitudine con chi ha lavorato con noi”, ha detto Johnson.
Francia Unità internazionale, lotta al terrorismo e piano europeo anti-immigrazione: queste le priorità di Parigi. Il 16 Macron ha lanciato un appello alla cooperazione tra Europa, Russia e Usa: una “risposta responsabile e unita”. “L’Afghanistan non può tornare a essere il santuario del terrorismo”. Parigi ha promesso protezione ai collaboratori afghani e ha già accolto diverse centinaia di persone, senza precisare un piano di assistenza più ampio. Da luglio sospese le espulsioni dei migranti afghani. Ma ha sollevato l’ira di gauche e Ong proponendo anche un’azione congiunta Ue per “proteggere dai flussi migratori irregolari”.
Germania “Non siamo riusciti a rendere l’Afghanistan un Paese più libero e aperto”: Angela Merkel ammette errori e “mancate previsioni” sul veloce arrivo al potere dei talebani. Ma del futuro nessun accenno. In visita a Mosca ha chiesto a Vladimir Putin, il nemico di cui si fida di più, di mediare con Kabul. Il suo delfino, Armin Laschet, è in caduta libera nei sondaggi a un mese dalle elezioni. La paura dei conservatori della Cdu, e non solo, è che la questione dei profughi in fuga dai talebani porti altri voti all’estrema destra di Afd, come accadde per i siriani nel 2015.
Italia Tra le nazioni che hanno dato di più in termini militari, l’Italia al momento si è concentrata sull’emergenza profughi. L’ambasciatore è rientrato e il console Claudi si sta occupando solo di questo. Luigi Di Maio ha fatto il giro di colloquio di prammatica, ma a ora non ha lanciato iniziative, e il premier si è mosso per gestire il vertice del G20 in chiave di soluzioni possibili per l’Afghanistan. Non si è vista però un’iniziativa autonoma, come se venti anni di presenza in Afghanistan non avessero alla fine lasciato alcun contatto spendibile.
Turchia Erdogan, che sta costruendo un muro con l’Iran per fermare i profughi, vede positivamente i messaggi distensivi dei talebani. Paese musulmano che dispone della seconda forza militare Nato, è pronto a fornire assistenza tecnica e di sicurezza, in cambio dell’assenso dei nuovi padroni alla prosecuzione della gestione dell’aeroporto di Kabul.
Pakistan La maggior parte dei talebani è pashtun, etnia presente anche in Pakistan, che insieme ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi riconobbe il primo emirato talebano del 1996. Il premier Imran Khan ha affermato che “i talebani hanno spezzato le catene della schiavitù”. Il Pakistan è da sempre finanziatore degli “studenti del Corano”. L’India, nemica del Pakistan, è invece vicina all’Alleanza del Nord, resistenza anti-talib nata nel Panshir.
Iran L’obiettivo di Teheran è quello di arginare l’inondazione di profughi e dell’eroina dei campi di papaveri afghani. atteggiamento sempre ambiguo: all’indomani dell’11 settembre, la teocrazia sciita collaborò con gli Usa per cacciare i talebani. Venti anni dopo, gli ayatollah hanno celebrato il ritiro Usa perché preferiscono avere alleato il nuovo regime allo scopo di minare la presenza americana nell’area e scongiurare i tentativi di destabilizzazione statunitensi-israeliani.
Russia L’obiettivo di Mosca è evitare il diffondersi del jihadismo negli Stati confinanti del blocco ex sovietico, dove mantiene basi militari. I talebani sono stati accolti dal ministro degli Esteri russo Serghey Lavrov a maggio e a luglio per presentare i “piani di pace”. Il primo ambasciatore a esser accolto dopo la presa del Paese è stato Dmitry Zhirnov. Putin ha subito affermato che bisogna “discutere” con i talebani e, commentando la guerra Usa, ha ribadito che l’esito disastroso dimostra che l’Ovest non può imporre valori oltreconfine.
Monarchie Golfo Persico Dal 2012 i talebani hanno un ufficio di rappresentanza a Doha, in Qatar, che ha reso noto che “il mondo deve cooperare per il loro impegno al rispetto delle regole internazionali”. Molti paesi non han mai interrotto i legami dal 2001. Il governo di Riad interruppe i contatti quando il gruppo non consegnò il saudita Bin Laden. Oggi dovranno aprire canali di comunicazione. Approccio pragmatico seguirà anche Abu Dhabi.