In una foto di quattro anni fa che le ritraeva intente in una gara internazionale a Washington, le ragazzine del team femminile afghano di robotica portavano sul capo solo un leggero velo bianco e sul volto l’orgoglio di poter competere alla pari con le future scienziate di Intelligenza artificiale dei paesi più avanzati del mondo. La sede di quella gara si trovava a pochi isolati dalla Casa Bianca, allora abitata da Donald Trump. Ironia – tragica – della sorte si deve proprio al tycoon che ha di fatto riportato i talebani al potere, decidendo di aprire i negoziati per il ritiro americano dall’Afghanistan, la partecipazione delle giovani informatiche a questo importante appuntamento. Fu The Donald infatti a ordinare la concessione dei visti d’ingresso. Questo episodio è lo specchio della schizofrenia americana e, al contempo, quello della condizione femminile afghana. A guardare quegli sguardi curiosi e fiduciosi in un futuro migliore si prova allo stesso tempo rabbia e commozione.
La maggior parte delle componenti del “team delle afghane sognatrici” (il nome ufficiale) è nata dopo che i talebani vennero cacciati dal potere nel 2001. Per questo i loro successi sono tra i simboli più fulgidi di quello che è stato per vent’anni il nuovo Afghanistan dove le bambine potevano andare a scuola e le donne avevano l’opportunità di emanciparsi attraverso il lavoro. Possibilità che durante il governo degli “studenti coranici” erano state loro negate. Con il ritorno dei talebani, le “sognatrici” che durante la prima ondata di Covid avevano contribuito a salvare molte vite costruendo dei ventilatori per le poche terapie intensive del paese riciclando dei pezzi di automobile, non potranno più continuare le proprie ricerche. Ne è certa Kimberly Motley, un’avvocata statunitense che le rappresenta da anni ed è ancora in contatto con alcune di loro. Roya Mahboob, imprenditrice tecnologica afghana che ha contribuito a formare la squadra di robotica ha rivelato che solo alcune delle ragazze sono riuscite a ottenere rifugio in Qatar. Il team, nato nel 2016, era formato inizialmente da una dozzina di ragazze adolescenti ed era basato nella città occidentale di Herat dove Mahboob dirigeva il Digital Citizen Fund (un ente per promuovere l’alfabetizzazione digitale dei cittadini). La squadra delle “cervellone” nel corso del tempo è cresciuta fino a contare 20 studentesse. Nella gara indetta nella capitale americana, il gruppo aveva ottenuto il premio per il “risultato coraggioso”. Somaya Farooqi, capitano della squadra di robotica, aveva commentato: “Quel premio è stato il risultato del nostro duro lavoro. E ci ha spinto a lavorare ancora di più”, Secondo l’avvocata Motley che lavora in Afghanistan dal 2008, l’amministrazione Biden doveva sapere che il ritiro americano avrebbe avuto un impatto dannoso sulle ragazze afghane. “Siamo andati lì e abbiamo venduto loro un sogno di democrazia e libertà. Grazie a questo, milioni e milioni di bambine sono state istruite.
Quando il presidente Biden accusa i soldati afghani di non aver combattuto, non considera che si può creare una resistenza e metterla in pratica anche attraverso la realizzazione di un team di ricercatrici adolescenti nell’ambito più promettente degli anni a venire, cioè l’intelligenza artificiale. È un altro modo per aiutare le donne afghane e il paese in generale a progredire”, sottolinea l’avvocata americana. Motley riceve ogni giorno telefonate disperate e angosciate non solo delle aspiranti scienziate ma anche di molte donne che si sentono già schiacciate, se non in pericolo di morte.