I danni del virus alla sessualità

Nel prossimo futuro i nostri giovani dovranno anche recuperare la loro sessualità reale. Diversi studi hanno evidenziato come lockdown e distanziamento sociale abbiano deviato in maniera significativa verso il “virtuale” i giovani e non solo. Il fenomeno sarebbe trascurabile e comprensibile se si fermasse a un utilizzo complementare o finalizzato alla sessualità reale, se non fosse che la vita virtuale si è pian piano sostituita a quella reale. L’89% degli adolescenti maschi, anche in era pre-Covid, visitava siti porno, ma a questo mondo è approdato causa pandemia anche il 35% delle giovani donne. Più che una scelta è stata per loro una necessità. La scuola, fonte non solo di educazione e cultura ma di socializzazione, è stata rubata a un’intera generazione. I ragazzi si sono isolati e, abituatisi all’apparente “confort” dei rapporti virtuali, hanno finito per aver paura del reale. Qualche mese la sessuologa Roberta Rossi consigliava di fare sesso solo con la mascherina, meglio non corteggiarsi e, se proprio non si può fare a meno, farlo a distanza. Purtroppo non è stata una voce isolata. Società scientifiche americane hanno persino consigliato bambole gonfiabili. Un libro che consiglio di leggere, Questo virus ha rotto gli zebedei! Noterelle sopra le righe di un urologo, tra pandemia, andrologia, sessualità mascherata, storia e politically incorrect di Francesco Gaeta, medico urologo, fa un’analisi con approccio scientifico, senza dimenticare una pennellata di umorismo e ottimismo. Il problema che si è creato è molto grave e, in gran parte non risolvibile. La sessualità ha tappe determinate dai processi di crescita di ciascun individuo. Una tappa saltata non si recupererà più.

*Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Aldo Grasso vs. Gentili (che osa battere la7)

Ci sono vari modi per attaccare una persona pubblica, basta trovare gli argomenti giusti. Aldo Grasso ha deciso invece di impallinare Veronica Gentili in base a niente. Veronica è infatti ormai generalmente apprezzata, fa buoni ascolti, ma conserva una pecca: collabora con il Fatto Quotidiano e il suo blog, come tutti, ospita la sua mini-autobiografia molto personale, che Grasso utilizza per sbeffeggiarla. Perché si dimostra che non sa fare il suo lavoro? Perché si evince che è la peggio di tutte negli ascolti? No, a scandalizzarlo è la frase finale: “Tutto il resto è silenzio”. “Come l’ultima frase pronunciata da Amleto”, scrive Grasso, che è “una perfetta massima per una conduttrice di talk show”. A pensar male, potremmo dedurne che per il critico tv del “Corriere” la Gentili farebbe meglio a stare zitta. A pensare ancora più male, diremmo che sul giornale di Urbano Cairo, proprietario di La7, la conduttrice Mediaset che tra luglio e agosto ha battuto In Onda di De Gregorio&Parenzo 34 volte su 43, non deve passarla liscia. Ma siamo sicuri che Cairo non c’entri e che Grasso faccia tutto da solo. Qualcosa in quella rubrica deve pur scrivere. Se proprio non vuole tacere.

Dopo Kabul andrebbero rivisti tutti gli impegni

Difficile pensare che dopo il ritiro dall’Afghanistan, sulle missioni militari internazionali tutto possa restare come prima. Il quotidiano Le Monde

, ad esempio, si è subito interrogato sulla presenza francese in Sahel che dal 2013, con l’operazione “Barkhane”, contrasta il Gruppo jihadista di sostegno dell’Islam e dei Musulmani (Gsim) guidato da Iyad ad Ghali. E in Mali, ad esempio, sono in molti a pensare che prima o poi si verificherà lo stesso scenario visto a Kabul con il ritiro dei francesi e l’avvio di una mattanza.

Il discorso con cui Joe Biden ha salutato l’Afghanistan, con la presa di distanza dalla teoria dell’esportazione della democrazia, modifica l’impianto che ha animato le diverse National Security Strategies da Bush jr. in poi. E che sono state riprese dai piani strategici europei.

L’Italia, ad esempio, si è impegnata maggiormente proprio in Sahel dove i francesi hanno avviato una graduale riduzione dell’operazione “Barkhane”. Tra gli uomini impegnati nella Task Force Takuba (200-250) e quelli impegnati in Niger (295) si tratta di circa 550 unità. Se i francesi si preoccupano della tenuta di una simile missione perché non dovrebbe preoccuparsi anche l’Italia? E che dire dell’Iraq dove il nostro paese ha una presenza di circa mille uomini: l’idea è di restare a vita a Baghdad? I problemi si pongono anche per l’altro grande stanziamento di risorse, la missione Unifil in Libano. Qui è stato lo stesso ministro della Difesa a sottolineare che “continua il preoccupante stallo istituzionale e il progressivo degrado della situazione economica, che rischiano di invalidare anche l’operato delle forze di sicurezza libanesi, che rappresentano oggi uno dei pochi elementi in grado di impedire il definitivo collasso del Paese”. L’Italia è presente dal 2006, quindi da ben 15 anni, e no sembra mettere in agenda il ritiro. Il punto è che dal “nuovo ordine mondiale” stabilito dagli Usa nel 1991 con la prima guerra del Golfo, le missioni militari costituiscono una proiezione della politica estera a protezione degli interessi economici dei singoli Stati. E non, invece, reali operazioni di pace con forze di interposizione a protezione delle popolazioni civili. Gli Stati Uniti sembrano voler ripensare questo modello. Gli europei rischiano di essere in ritardo anche questa volta.

Ecco “Full metal luttwak”: basta con i cacasotto!

Dopo una lunga assenza che aveva suscitato qualche apprensione tra noi fans, finalmente è ritornato Edward Luttwak. Si è appalesato non più con le consuete immagini di Washington D.C. alle spalle – all right all right, a Capitol Hill tutto sotto controllo – bensì con un video girato in qualche località segreta. Il volto piuttosto rubizzo, in merito al quale gli analisti hanno subito elaborato due ipotesi: esposizione mimetica troppo prolungata ai raggi del sole, oppure beh lasciamo perdere. Probabilmente con la tecnica del drone invisibile martedì sera lo abbiamo visto irrompere in tv a “In Onda”, noto covo progressista dove ha generato scompiglio attribuendo la catastrofe afghana alla consueta visione strategica sinistrorsa, buonista, capitolarda, cacasotto. Ma, soprattutto, noncurante dell’abc del bravo marines: prima sparare e poi chiedere spiegazioni. Infatti, nel mentre i conduttori confusamente rinculavano sul terreno il nostro dottor Stranamore enunciava la teoria generale e definitiva sul destino di quella terra martoriata. Primo: “L’esercito afghano era una truffa. Nella zona geografica chiamata Afghanistan non ci sono afghani, io ci sono stato varie volte e non ne ho mai incontrato uno”. Secondo: “Qualsiasi funzionario americano che era stato in Afghanistan e che quindi conosceva bene il territorio veniva escluso dalle decisioni perché c’era un consenso progressista, spinto dall’idea di liberare le donne e gli uomini dell’Afghanistan” (Puah, lo aggiungiamo noi). Il tutto esposto con lo slang da “Full Metal Jacket”, ma nello studio invece di un Signorsì signore! da quei renitenti alla leva solo sorrisetti. L’incursione di Luttvak apre la strada a plotoni di esperti geopolitici sicuramente prodighi di informazioni su tutti gli errori commessi in vent’anni d’inutile occupazione, purtroppo però a babbo morto. Si apriranno delle contese, come quelle tra virologi, ma forzatamente più cruente. Prima di evaporare in una nuvola di napalm, Luttwak ha rivelato di essere “attualmente consulente strategico del governo degli Stati Uniti”. Il che spiega molte cose.

Caruana, Malta chiede l’ergastolo per il mandante

Per l’omicidiodella giornalista d’inchiesta Daphne Caruana Galizia, avvenuto il 16 ottobre 2017, la procuratrice generale della Valletta, Victoria Buttigieg, ha richiesto l’ergastolo: rischia di rimanere in carcere per il resto della sua vita Yorgen Fenech, imprenditore francese che ha organizzato l’attentato ai danni della reporter. Mentre già pendevano sulla sua testa accuse di omicidio, associazione a delinquere e cospirazione criminale, Fenech è stato arrestato nel novembre 2019 mentre tentava di lasciare Malta sul suo yacht. Vicino a funzionari corrotti del governo, da quando è stato ammanettato, non ha mai smesso di dichiararsi “non colpevole” di tutte le accuse.

I due killer che hanno sistemato la bomba nell’auto della Galizia, i fratelli George e Alfred Degiorgio, sono invece in attesa di processo. Solo un terzo uomo che ha partecipato al crimine si è dichiarato colpevole ed è stato condannato a febbraio scorso a 15 anni di carcere. In cambio della grazia, ha rivelato dettagli dell’assassinio l’intermediario che ha messo in contatto i sicari con l’imprenditore.

Un’inchiesta indipendente, avviata dopo pressanti richieste del Consiglio d’Europa e pubblicata pochi giorni fa, ha riferito che del destino della reporter è responsabile “il clima di impunità” generato a Malta in tanti anni di mal governo. La giornalista è stata “uccisa dallo Stato”, proprio mentre tentava di fare luce sulla sua corruzione.

Nel 2017 il suo omicidio fu la miccia di numerose proteste massive che costrinsero alle dimissioni l’allora premier Joseph Muscat. La reporter 53enne lo accusava pubblicamente, documenti alla mano, di essere collegato allo scandalo dei Panama Papers. Muscat ha sempre negato di essere coinvolto nella frode finché non è stato provato che ne facevano parte i suoi più stretti collaboratori.

Il Pasticciaccio all’Archivio di Stato tra Rauti e la “strana” nomina firmata da Franceschini

Ieri Gianni Barbacetto ha raccontato quali reazioni stia, per fortuna, suscitando la nomina del dottor Andrea De Pasquale alla guida dell’Archivio Centrale dello Stato. Le associazioni delle vittime delle stragi che hanno segnato la notte della Repubblica (quelle di Bologna, di Piazza della Loggia e di Piazza Fontana) non accettano che a vegliare sulla memoria dello Stato sia chi, da direttore della Nazionale di Roma, accolse in dono un ambiguo fondo Rauti, prestandosi poi alla propaganda del più pericoloso neofascismo italico. De Pasquale si segnalò anche per aver inaugurato la mostra “Cinquant’anni di stampa e propaganda della destra italiana (1945-1995)”, fianco a fianco a Ignazio La Russa, Isabella Rauti e Francesco Storace (febbraio 2020). Di fronte all’ostinato silenzio del ministro Franceschini, le reazioni si stanno moltiplicando: circola la notizia che siano pronti a dimettersi tutti i membri non ministeriali della Commissione per il monitoraggio della direttiva Renzi (sul segreto di Stato) istituita presso la presidenza del Consiglio. E sembra che la nomina firmata dal ministro della Cultura sia di fatto illegittima. Il dm del 2008 che regola l’Archivio Centrale dello Stato stabilisce esplicitamente (al comma 2 dell’articolo 1) che il direttore debba essere un archivista di Stato: laddove il De Pasquale è un bibliotecario, con esperienze archivistiche del tutto inconferenti a quel ruolo cruciale. È vero che, rendendo autonomo l’Acs, Franceschini ha riservato la direzione a un dirigente di prima fascia: rendendola così, guarda caso, di nomina ministeriale. Ma il dm del 2008 non è mai stato abrogato, e sarebbe del resto allucinante che l’archivista in capo della Repubblica italiana non fosse un archivista! È una vicenda paradigmatica: le ultime riforme dei Beni Culturali hanno umiliato il profilo tecnico dei funzionari, così da poter ampliare a dismisura la discrezionalità del livello politico. Di fatto, ora la politica dispone del patrimonio culturale come dispone della Rai: e, magari in vista dell’elezione al Quirinale, può sembrare utile non scontentare nessuno. In un Paese dove “c’è troppa tolleranza verso i fascisti” (come ci ha ricordato pochi giorni fa Edith Bruck), la conseguenza può essere un revisionismo di Stato contro il quale dovrebbero insorgere, insieme alle vittime del fascismo di ogni epoca, anche tutte le università italiane. Inquinare le carte della nostra storia significa compromettere insieme passato e futuro: e questo non deve essere consentito a nessun ministro.

Ferrara, sigilli allo stadio dove gioca la Spal

Parte dello stadio Paolo Mazza di Ferrara, casa della Spal, torna sotto sequestro. La Guardia di finanza ha messo i sigilli alla tribuna Est e alla copertura della gradinata Nord. Nuove perizie hanno segnalato ancora criticità della struttura dopo le presunte irregolarità nei collaudi ai lavori di ampliamento emersi già due anni fa. Nove sono gli indagati, tra tecnici e titolari/responsabili delle imprese che hanno ampliato il nuovo stadio, per frode in pubbliche forniture e falsi in progetto e collaudi. All’origine dei guai giudiziari del Mazza ci sono proprio i lavori dello stadio del 2018 quando i biancazzurri – oggi retrocessi in B – erano in serie A, promossi da circa un anno. Si decise di ampliare la struttura fino a una capienza di 16 mila posti. Dopo alcuni mesi dall’ultimazione dei lavori una delle imprese sub-appaltatrici inviò una diffida all’utilizzo delle strutture a causa di “criticità severe nella esecuzione delle procedure di montaggio tali da esporre gli spettatori a pericoli reali e sussistenti”. Di qui il sequestro probatorio a luglio 2019.

Incendi in Calabria, quinta vittima: “Siamo stremati”

La Calabria continua a bruciare nonostante gli aiuti chiesti e promessi e il fiume di volontari che rimboccandosi le maniche hanno deciso di difendere una terra già martoriata. Il bilancio di questo triste agosto fatto di fiamme sale a 5 vittime. Ieri l’ultimo ritrovamento, nel Vibonese, è il corpo carbonizzato di un 78enne. Tante le attività colpite dagli incendi e distrutte. E, a distanza di giorni dai primi roghi, la situazione non accenna a migliorare. Ad essere messa a dura prova è in particolare la provincia di Reggio Calabria che dalla Locride alla tirrenica vede intere montagne andare in fiamme. Ma la ferita più profonda, i criminali del fuoco l’hanno inflitta al cuore verde della Calabria: l’Aspromonte. Un patrimonio boschivo immenso che oggi piange di fronte a quel che resta: uno spettacolo infernale. “Siamo alla disperazione – ha detto il presidente dell’ente parco Leo Autelitano – Invochiamo interventi aerei e da terra, ma praticamente non è arrivato nulla. È una catastrofe. Manca il coordinamento”.

Lega, occhio alle casse: ora l’ex avvocato Brigandì chiede 9,5 milioni a Salvini

L’udienza è fissata per il 16 settembre, quando il giudice del tribunale di Milano, Orietta Micciché, dovrà decidere su una vicenda che rischia di creare seri problemi finanziari alla Lega. In estrema sintesi, la questione è semplice: Lega Nord e Lega Salvini Premier sono o no la stessa cosa? È a questa domanda che dovrà rispondere indirettamente il giudice. L’udienza nasce infatti da un ricorso presentato lo scorso giugno da Matteo Brigandì, ex avvocato di Umberto Bossi e della Lega Nord, da anni in rotta con Salvini. Brigandì chiede al tribunale il sequestro conservativo di 9,5 milioni di euro. Si tratta di vecchie parcelle che, sostiene l’ex legale di Bossi nell’atto di citazione, il Carroccio non gli ha mai pagato, nonostante un contratto stipulato nel gennaio del 2012 tra lui e il Senatùr. Per questo motivo Brigandì chiede al giudice di sequestrare preventivamente la somma totale di 9,5 milioni di euro. L’ex legale di Bossi non si limita però a chiedere di prelevare il denaro dai conti della Lega Nord, cioè dal partito per cui lui ha lavorato per oltre 20 anni, ma punta a ottenerli anche da Lega Salvini Premier, il movimento creato quattro anni fa dall’ex ministro dell’Interno. Motivo? “Lega Salvini Premier, in buona sostanza, è la stessa associazione di Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, si legge nell’atto di citazione. A sostegno della tesi Brigandì elenca vari aspetti: la coincidenza delle sedi dei due partiti (a Milano in via Bellerio), il fatto che molti dirigenti di Lega Nord lo siano anche di Lega Salvini Premier, la presentazione alle elezioni del 2018 del simbolo Lega Salvini Premier e dello statuto di Lega Nord, alcune interviste in cui è stato Salvini stesso a dire che esiste una sola Lega. Sostiene Brigandì nel ricorso per il sequestro preventivo: “La contemporanea esistenza di Lega Nord e di Lega Salvini Premier è un escamotage posto in essere al fine di costituire una bad company gravata del debito dei famosi 49 milioni di euro (da restituire in 70 anni e senza interessi), lasciando così la Lega Salvini Premier libera da ogni peso”. Se la tesi dell’ex legale di Bossi dovesse convincere il giudice, per la Lega sarebbero guai. Perché oltre ai quasi 10 milioni di euro richiesti da Brigandì, potrebbe riaprirsi anche la partita dei 49 milioni di euro.

Viterbo, il rave al lago è “fuori controllo”, ma nessuno interviene

Alle prime luci dell’alba del 14 agosto ci sono stati i primi posti di blocco che però a nulla sono serviti per arginare l’arrivo di 10 mila persone da mezza Europa che da sei giorni stanno partecipando al rave party non autorizzato nel comune di Valentano (Viterbo), tra Lazio e Toscana. Partito a sorpresa a Ferragosto, grazie al passaparola via Telegram, nessuno riesce a fermare il mega raduno. Non è bastata neanche la morte di un ragazzo di 24 anni ritrovato lunedì nel lago di Mezzano, a poche centinaia di metri dal terreno dove si sta svolgendo il rave, a far spegnere la musica. Decesso su cui la Procura di Viterbo ha aperto un fascicolo. Prefettura e forze di polizia monitorano la situazione: la scelta fatta è di evitare un intervento diretto per sgomberare l’area, cercando piuttosto di arrivare a un accordo con i promotori per fare in modo che il rave si chiuda in tempi più rapidi rispetto ai dieci giorni previsti. “La situazione è fuori controllo”, ha ammesso l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, secondo il quale “nessuna trattativa è possibile”. Non esiste distanziamento né precauzioni per il Covid. Il sindaco di Valentano, Stefano Bigiotti, non smette di ripetere che “il Comune è totalmente inerme” e che “la responsabilità è in capo al Viminale”. Rassicurazioni, in tal senso, sono arrivate ieri sera dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Al telefono ha confermato al sindaco che tutte le forze dell’ordine continuano a presidiare la zona e a svolgere un’azione di contenimento. Intanto, tra musica alta, in migliaia accalcati sotto al sole, centinaia di camper, roulotte e tir c’è chi parla di una seconda vittima che, stando alle indiscrezioni, sarebbe morta per overdose o per infarto. Nessuna conferma. Così come si parla di decine di cani morti e di una ragazza che avrebbe partorito. È accertato che mentre si continua a ballare, è salito a 4 il numero di ragazzi in coma etilico. Due sono le denunce per violenza sessuale. Le polemiche su come si sta gestendo l’evento non accennano a placarsi.