Il governo degli Stati Uniti ha annunciato che a partire dal 20 settembre inizierà a somministrare la terza dose del vaccino anti Covid. Il “booster” verrà iniettato dopo 8 mesi dalla seconda dose, ha fatto sapere l’amministrazione Biden, spiegando che la terza iniezione si è resa necessaria a causa della particolare contagiosità della variante Delta e dei nuovi dati sull’efficacia dei vaccini. “Sulla base delle nostre ultime valutazioni, l’attuale protezione contro malattie gravi, ospedalizzazioni e morti potrebbe diminuire nei prossimi mesi, specialmente tra coloro che sono a rischio più elevato o sono stati vaccinati durante le prime fasi del lancio della vaccinazione”, si legge in un comunicato firmato dal dipartimento della Salute americano insieme a vari esperti che seguono l’emergenza Covid negli Usa. I nuovi dati a cui si riferisce il governo statunitense sono quelli pubblicati ieri stesso dal Centers for Disease Control and Prevention: indicano che l’efficacia dei vaccini sta “calando in modo significativo” tra i residenti delle Rsa, una delle prime categorie a essere vaccinata negli Usa. I prodotti che verranno utilizzati fin da subito saranno Pfizer-Biontech e Moderna, ha fatto sapere Washington, e i primi a essere vaccinati saranno i cittadini più anziani, i lavoratori del settore sanitario e quelli delle case di riposo.
La terza dose è già una realtà da due settimane in Israele. Il governo Bennett ha iniziato a somministrare il “booster” alle persone con oltre 50 anni di età: finora è stata iniettato a oltre 1 milione di persone. In Europa i governi vanno invece in ordine sparso, anche se i Paesi più grandi sembrano seguire la stessa linea. Nelle scorse settimane il presidente francese, Emmanuel Macron, e il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, hanno detto chiaramente di voler procedere con la terza dose a partire da settembre, dando priorità alle fasce più a rischio della popolazione: anziani, malati e personale sanitario. Nessuna indicazione sulle tempistiche, per ora, da parte del governo italiano. “Siamo pronti, abbiamo dosi a sufficienza per fare la terza dose e aspettiamo le indicazioni delle autorità scientifica per dirci il tempo giusto per somministrare la terza dose, le prime indicazioni ci lasciano presupporre che si inizierà dai più fragili”, sono state le ultime parole pronunciate sul tema, lo scorso 5 agosto, dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Il dibattito nella comunità medica nostrana sulla necessità di procedere subito con la terza dose è in effetti aperto.
Da una parte c’è chi, come Massimo Galli, dice che “ci vuole qualcosa di un po’ più robusto per dire che la terza dose serve davvero, in che misura, quando e per chi”, dall’altra c’è chi concorda con Fabrizio Pregliasco, secondo cui la terza dose “è una protezione aggiuntiva e concreta alla luce di una situazione che ormai degenera (quella della variante Delta, ndr)”. Di certo c’è il parere della Organizzazione mondiale della Sanità, contrario alla terza dose per un altro motivo: “Capisco la preoccupazione di tutti i governi di proteggere la propria popolazione dalla variante Delta, ma non possiamo accettare che Paesi che hanno già utilizzato la maggior parte della fornitura globale di vaccini ne utilizzino ancora di più”, ha detto il direttore, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus. Dietro il dibattito sulla terza dose resta infatti un punto irrisolto. Con i brevetti nelle mani delle compagnie farmaceutiche, le forniture continuano a essere insufficienti per coprire l’intera popolazione mondiale. Il risultato, dicono i numeri dell’Onu aggiornati all’11 agosto, è che nei Paesi ricchi una persona su due è stata vaccinata con almeno una dose, mentre nei Paesi poveri la proporzione è di una persona ogni 61. La ragionevole certezza è che, andando avanti così, il virus continuerà a svilupparsi e a mutare dove i vaccini scarseggiano. Per poi tornare a colpire nel mondo ricco, rendendo così necessarie altre punture.