L’Afghanistan si prepara a vivere uno “choc culturale enorme”, secondo Olivier Roy: “I talebani – analizza il politologo – dovranno fare i conti con una nuova realtà, moderna e liberale. Loro non sono cambiati, Kabul invece non è più la città del 2001. La popolazione è raddoppiata. È emersa una classe media. Le ragazze studiano. Tutti posseggono uno smartphone connesso a internet e usano Facebook. La mentalità è cambiata. Chi ha meno di trent’anni non ha alcun ricordo dei talebani. Non penso che emergerà una resistenza armata in città, dal momento che gli abitanti non si sono mai battuti, ma delle forme di resistenza passiva e culturale tra i giovani mi sembrano più che probabili. Come reagiranno i talebani: lasceranno fare o sceglieranno la via della repressione?”
Professore, come spiega la loro avanzata così rapida?
I talebani non hanno solo approfittato del ritiro degli americani. Preparavano da tempo il loro ritorno e hanno dimostrato di avere una strategia. In tutti questi anni hanno saputo trarre vantaggio dall’incompetenza del governo afghano, corrotto e incapace di ristabilire l’ordine nelle campagne, dove erano i talebani a gestire la giustizia quotidiana. Hanno saputo negoziare con le milizie locali. Ma hanno anche potuto contare sul ‘santuario pakistano’. La Shura di Quetta, la camera di consiglio presieduta dai signori di guerra talebani in Pakistan, si è sempre riunita in tutta impunità. Non sarei sorpreso se il Pakistan avesse fornito loro sostegno logistico e tecnologico, come nel 1994.
L’esercito afghano ha ceduto quasi senza combattere…
Era un esercito corrotto, che esisteva solo su carta. Battaglioni che dovevano essere composti da ottocento uomini, nei fatti ne contavano non più di venti. E poi in Afghanistan non esiste un sentimento di unità nazionale. Si è leali al clan, alla tribù.
Come spiega la fuga del presidente Ghani?
Non aveva altra scelta. Lo conobbi vent’anni fa. Era una delle rare persone integre in Afghanistan. Si illudeva di essere al timone del paese, in realtà non comandava nulla.
Come sarà il nuovo Emirato islamico?
I talebani sono gli stessi di vent’anni fa. Ai vertici ritroviamo figure che all’epoca erano già presenti, come Abdul Ghani Baradar. Anche la base è la stessa: giovani non troppo educati, originari delle campagne. Quindi faranno quello che hanno detto e ripristineranno la sharia. Ma un totale ritorno indietro non sarà possibile perché la società afghana è cambiata e perché i talebani hanno imparato la lezione del 2001. Hanno capito che devono fornire garanzie alla comunità internazionale. Non potranno più dare asilo ad Al Qaeda. Il gruppo terrorista però ha legami forti con la rete Haqqani, un altro gruppo islamista, vicino ai talebani, attivo tra Pakistan e Afghanistan. Quindi Al Qaeda saprà posizionarsi a margine dello spazio talebano.
Che reazione aspettarsi dai paesi occidentali?
Grandi dichiarazioni e nulla di concreto. Il popolo afghano dovrà sbrigarsela da solo. Del resto, cosa può fare l’Occidente? Boicottare il nuovo regime? A che pro? I talebani se ne infischiano. Potranno contare su ambasciate in Arabia Saudita, negli Emirati, in Malesia, Pakistan, Iran. Russi e cinesi li riconosceranno. Non hanno bisogno di noi, hanno potere, sostegni e redditi da droga e contrabbando. Finora tutti gli interventi occidentali in Afghanistan sono stati catastrofici. Come in Iraq e in Mali, si è creduto di poter ristabilire lo Stato di diritto con le armi, dimenticando che ogni radicalismo ha le sue basi sociali. Gli Stati Uniti poi hanno alimentato il paradosso, combattendo i talebani come terroristi, ma negoziando con loro a Doha. Oggi l’Occidente ha una sola richiesta: il rispetto delle frontiere. E i talebani assicurano di non avere rivendicazioni internazionali. Sono in una logica conservatrice, non rivoluzionaria.