La Lega vuole schierare un esercito di cacciatori per combattere il fenomeno degli incendi boschivi. La proposta-choc arriva dal consigliere della Lega nel Lazio, Pasquale Ciacciarelli. L’esponente del Carroccio a Roma ieri ha spiegato, in una nota, che bisognerebbe affidare ai cacciatori “competenze e i fondi per la sorveglianza” dei boschi, in quanto “sono coloro che visitano frequentemente le montagne”. Una proposta che va in controtendenza rispetto agli appelli delle associazioni ambientaliste (Wwf in testa), che hanno chiesto ai presidenti delle Regioni – fra cui Nicola Zingaretti, governatore del Lazio – di “sospendere l’attività venatoria per dare ristoro agli animali”. Intanto, mentre impazza il dibattito politico, sembra che le fiamme stiano risalendo pian piano la penisola. Dal sud, infatti, l’emergenza si è spostata al centro, con decine di roghi in Molise, Abruzzo, Lazio e anche in Toscana. Un vasto incendio ieri ha colpito anche una frazione del comune di Pietrasanta, in provincia di Lucca.
Dopo Gkn &C. arriva il dl anti-delocalizzazioni: “Ridateci i soldi”
Che i tempi fossero maturi per un decreto anti-delocalizzazioni (cioè lo spostamento all’estero delle produzioni da parte delle imprese) lo aveva in sostanza anticipato il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti sul Corriere della Sera di Ferragosto: “Stiamo studiando gli strumenti, che vadano soprattutto a colpire chi ha usufruito di incentivi pubblici. È un argomento delicato e una normativa deve anche fornire una base che non pregiudichi l’attrazione di investimenti esteri”. Ieri fonti ministeriali hanno confermato all’Adnkronos che un decreto sul tema, a cui lavorano la viceministra del Mise Antonella Todde e il ministro del Lavoro Andrea Orlando, sarà presentato in Consiglio dei ministri a fine agosto o a inizio settembre: il testo è pressoché pronto e i tecnici dei due ministeri stanno lavorando sugli ultimi dettagli.
In sostanza, l’intento del governo è rendere più difficile alle aziende che hanno ricevuto incentivi pubblici in qualche forma – cioè quasi tutte, specie le multinazionali – spostare all’estero la produzione senza motivo e senza confronto con le istituzioni e i sindacati. L’idea è evitare licenziamenti selvaggi e inattesi tipo quello dei 422 lavoratori cacciati via e-mail a giugno dalla Gkn di Campi Bisenzio (Firenze): col nuovo decreto le imprese dovranno comunicare scelte di questo genere in maniera preventiva alle istituzioni, aprire tavoli di confronto, utilizzare gli ammortizzatori sociali, redigere un piano di re-industrializzazione e riqualificazione, esplorare soluzioni alternative alla cessazione dell’attività. Infine, dovrebbero essere previste sanzioni per chi viola la nuova procedura, ivi compresa la restituzione degli eventuali incentivi pubblici ricevuti.
Non è chiaro se nello stesso decreto troverà posto la proposta di Giorgetti di dare “priorità” nell’assegnazione di fondi “alle imprese che si impegnano ad assorbire e collaborare con chi resta senza lavoro nelle aree di crisi” coi cosiddetti “contratti di sviluppo”.
Smaltire rifiuti al Sud costa il doppio che farlo al Nord
Come (quasi) tutti ormai hanno capito, i vincoli rigidi alla spesa pubblica hanno ucciso la qualità dell’intervento pubblico. È anche con la missione di smetterla con l’eredità dei tetti lineari di spesa che la settimana scorsa la Corte dei Conti ha pubblicato la sua delibera 14/2021 intitolata Prime analisi sulla qualità della spesa dei Comuni. Vengono indagate tre categorie di servizi che rappresentano il 45% della spesa corrente comunale per circa 24 miliardi di euro annui: siamo ben lontani – come pure il testo dei magistrati contabili ammette – da informazioni e misurazioni soddisfacenti, ma alcuni dati saltano all’occhio e il più sorprendente e netto è quello che riguarda i rifiuti. La diversità dei costi di smaltimento è un fenomeno dalle proporzioni abnormi: per capirci, da poco più di 200 euro a tonnellata in molte province lombarde si arriva a oltre 500 euro a Rieti o La Spezia.
Un fatto non neutro, né limitato al bilancio dei singoli enti, perché spendere di più, nel caso dei rifiuti, comporta quasi automaticamente che l’extra-costo finisca per pesare sulle tasche dei cittadini. In questa sede non potremo arrivare al livello di dettaglio dell’analisi della Corte dei Conti, ma in generale i comuni più virtuosi si trovano al Nord, quelli meno virtuosi al Sud: a questo squilibrio se ne aggiunge uno inspiegabile anche per le toghe contabili, cioè che nel Centro e ancor più nel Mezzogiorno un alto livello di raccolta differenziata comporta un più alto costo di smaltimento, mentre nel Nord avviene l’esatto contrario.
Andiamo con ordine. Ovviamente il costo di un servizio come lo smaltimento dei rifiuti può essere influenzato da molti fattori (economie di scala dovute alla dimensione dei comuni, orografia del territorio, presenza di località turistiche, etc), ma la spesa a livello regionale dà comunque alcune indicazioni e – scrivono i magistrati contabili – “offre una prima panoramica piuttosto eloquente e, per certi versi, allarmante rispetto ai forti divari regionali”: “La raccolta e smaltimento di una tonnellata di rifiuti in Lombardia mediamente costa 234 euro, mentre in Basilicata costa il doppio, 465” e “ci sono punte di oltre 500 euro in più di un quarto degli enti in diverse Regioni”. E ancora: il 25% dei comuni meno efficienti in Lombardia (277 euro a tonnellata) spendono come i più virtuosi del Molise (275 euro) e assai meno di quelli di Campania (euro 378), Puglia (euro 355), Basilicata (euro 381) e Calabria (euro 310).
Raffinando il livello dell’analisi le asimmetrie si fanno ancor più marcate. A livello provinciale, ad esempio, “il costo medio per il servizio rifiuti più elevato è a Rieti (526 euro a tonnellata), seguito da La Spezia (euro 520) e Avellino (euro 499), mentre il costo più contenuto del servizio è in Lombardia, nelle province di Lecco (209 euro), Mantova (210 euro), Bergamo e Como (in entrambi i casi 219 euro)”.
Il punto d’arrivo di queste analisi è definire una sorta di benchmark, in questo caso all’ingrosso un prezzo efficiente di riferimento: la Corte dei Conti lo ha individuato per i grandi comuni (oltre 50 mila abitanti) nella prestazione media del Nord-Est (283 euro a tonnellata) e per i comuni di medie e piccole dimensioni nella media dell’intero Settentrione (rispettivamente 250 e 290 euro a tonnellata): questo perché “il Nord, in effetti, è l’area del Paese nel quale, nel corso degli anni, si è sviluppata una gestione di carattere industriale all’interno di organismi partecipati o gestioni associate di varia natura giuridica, che ha dato vita a vari network in cui il modello consente di sfruttare economie di scala attraverso la costituzione di reti di gestione fra enti locali”. Ebbene, “i costi dei servizi sono più alti di oltre la metà rispetto al benchmark in tutte le categorie dimensionali (Sud: +51% per i piccoli, +56% per i medi, +53% per i grandi; Centro: +40% per i piccoli, +44% per i medi, +29% per i grandi)”.
Infine va citato quello che potremmo definire il paradosso della differenziata: “Al Nord maggiori livelli di raccolta differenziata hanno effetti benefici sulla spesa: -17% nei Comuni in cui la raccolta differenziata supera il 65% rispetto a quelli in cui non si raggiunge il 40% nel Nord-Ovest, dato che balza a -26% nel Nord-Est. Al Centro e in misura più spiccata al Sud la situazione è esattamente inversa: i costi aumentano del +3% al Centro e addirittura dell’11% al Sud”. Il motivo? “Andrebbe indagato”, alza le mani la Corte dei Conti.
Gli embedded da divano arresi a Kabul
Oltre che militare, politica, umanitaria, l’Afghanistan rappresenta anche la catastrofe del giornalismo embedded. Che è l’informazione di guerra dei corrispondenti aggregati alle truppe. Che fu, ricordiamolo, la politica dell’esercito degli Stati Uniti già dall’invasione dell’Irak nel 2003, in base a uno scambio concordato: i giornalisti avevano l’opportunità di seguire le truppe da vicino ma con l’impegno di non rivelare notizie suscettibili di danneggiare la condotta bellica. Anche se limita fortemente la libertà d’opinione, l’embedded sul campo può avere una giustificazione nelle ragioni di sicurezza (ricordiamo il grande tributo di vite umane versato dai reporter e fotoreporter spesso volontari al fronte). Che all’embedded sul divano, o al sicuro dietro una scrivania non può essere riconosciuta. Soprattutto se il privilegio delle fonti cosiddette esclusive ti escludono dalla corretta percezione della realtà dei fatti. Com’è facilmente accertabile consultando gli archivi della stampa più “accreditata” che in questi vent’anni non ha mai smesso di magnificare l’esportazione della democrazia a Kabul e dintorni. Portata, abbiamo letto, sulla punta delle baionette e sugli investimenti in ambito economico e culturale. Nella realtà, pochi spiccioli se paragonati alle migliaia di miliardi spesi nel gigantesco arsenale “regalato” ai Talebani, come apprendiamo in queste ore, dai militari del governo Ghani in fuga. Una disinformazione a tal punto intossicata dalle veline che non solo non aveva previsto nulla della dissoluzione del regime fantoccio, ma che tre giorni fa ancora insisteva nel prevedere una resistenza di “circa tre mesi” intorno alla capitale. Una “fascia di sicurezza” che avrebbe garantito l’esodo ordinato e pacifico degli occidentali ma anche degli afgani desiderosi di sottrarsi allo stato islamico. Abbiamo visto com’è finita. Ebbene, invece di chiedere scusa per avere diffuso montagne di fake news debitamente timbrate dagli uffici stampa e propaganda delle famose cancellerie, riposto finalmente l’elmetto adesso i nostri Hemingway in panciotto continuano imperterriti a pontificare sulle cause della disfatta, come se la cosa non li riguardasse. È il trionfo degli opinionisti “secondo me”, gli stessi che chiamati a commentare la scomparsa di Gino Strada si permettono di criticare le “opinioni politiche” di chi sull’Afghanistan aveva previsto tutto. Col sorrisetto di chi la sa lunga. Loro che gli ospedali di guerra li hanno visti solo al cinema.
Arriva Leo Battaglia, il leghista che insidia anche D’Annunzio
Un nome si staglia all’orizzonte: Leo Battaglia, agente immobiliare di Castrovillari, candidato della Lega alle Regionali calabresi del 3 e 4 ottobre. Questo genio iridescente, lo scorso weekend, ha pensato bene di noleggiare un elicottero a bassa quota per scaricare sulla costa e sul mare della Calabria centinaia di involucri di plastica, contenenti – oltre alla maschera chirurgica – un volantino con il nome del politico, il logo del partito e la scritta “omaggio”. Il gesto non deve offendervi: è una mossa in realtà bellissima, che trascende la dimensione locale per assurgere a mossa situazionista e avanguardista degna del miglior D’Annunzio a Fiume.
La Lega, tramite l’agire maschio e impavido del Battaglia (nomen omen), si è peraltro confermata milizia politica assai coerente. In Calabria la Lega governa, e tramite il Battaglia ha dato conferma di come sia sempre impegnata nell’inquinare mare e spiagge. Un’attività che – lo si scrive qui a margine – gli riesce decisamente meglio rispetto a cose pallosamente ecologiste e marginali tipo far funzionare i depuratori per il mare o smaltire i rifiuti. Giova poi ricordare come il vispo e sveglio Battaglia (sempre nomen omen) non sia nuovo a simili imprese gagliarde. Infatti, per le Regionali del 2014, aveva fatto imbrattare i muri di tutto il cosentino, in particolare le strade statali e provinciali, con lo slogan “Leo Battaglia alla Regione” scritto a bomboletta spray. Un altro gran bel gesto, compiuto quando all’epoca militava in Fratelli d’Italia (peraltro con scarso successo: sette anni fa lo votarono in tre e ahinoi non venne eletto).
Il Battaglia assurge dunque non solo a exemplum morale comportamentale, ma diviene al tempo stesso il candidato-tipo di salviniani e meloniani. Egli ha infatti gravitato in entrambi i microcosmi destrorsi, distinguendosi oltremodo per garbo e illuminismo. Pur consapevoli che Meloni e Salvini non abbiano certo esempio dei nostri consigli, ci par qui giusto – prendendo spunto dal feldmaresciallo Battaglia – consigliare ai due gerarchi di questa sublime destra qualche nuova mossa elettorale per incendiare le masse, nonché ispirare le plebi tutte. – “Invadere la Polonia ascoltando Povia”. È vero, ci aveva già pensato qualcuno nel secolo scorso, ma sostituire Povia con Wagner darebbe al gesto una piacevole nuance postmoderna che renderebbe una tale mossa felicemente contemporanea. E addirittura quasi pop. – “Sganciare un Borghi o un La Russa, tipo bomba intelligente”. La cosa sembra fattibile. Basta noleggiare un caccia. Trovare una superficie adatta per l’arditissima operazione bellica. E chiedere poi alla Maglie o a Senaldi di raccontare l’evento (altrimenti mi sa che la parola “intelligente” la userebbero in pochi). – “Vaccinarsi mojito come terza dose anti-Covid”. Sarebbe una mossa esaltante, ancor più se effettuata da Salvini in persona, magari nei luoghi immacolati e intonsi del Papeete. Indurrebbe certo le masse fascioleghiste a vaccinarsi all’unisono, innalzando con ciò la percentuale nazionale e rendendo quindi prossimo il raggiungimento dell’immunità di gruppo. – “Volare sopra il Parlamento con un dirigibile a forma di Pillon”. Visivamente sarebbe un’immagine forte, e forse addirittura un po’ porno, ma la scena resterebbe indimenticabile nei secoli. – “Proporre di intitolare parchi e piazze a Mussolini e Hitler”. Ah no, scusate: a questo ci hanno già pensato loro da soli. Sono sempre avanti. Daje camerati, eia eia alalà!
Referendum online, la svolta democratica ora è per tutti
L’Italia è il primo Stato al mondo in cui è possibile sottoscrivere online referendum nazionali e leggi di iniziativa popolare, mentre altri Paesi lo consentono solo per petizioni non vincolanti.
Servirà una piattaforma pubblica e gratuita perché la riforma sia completa, dovrà essere realizzata dal ministro Colao dal 2022 e vigileremo per evitare passi indietro. Intanto però la svolta democratica è realtà: tutti i comitati promotori potranno raccogliere firme su piattaforme realizzate a loro spese.
Dal 12 agosto si può già firmare in modalità digitale il referendum sull’eutanasia legale dell’Associazione Luca Coscioni e la legge di iniziativa popolare “Politici per caso” per introdurre le Assemblee dei cittadini.
È una riforma storica, una vittoria per chi crede che la democrazia sia per tutti. Con la firma digitale promuovere un referendum diventa davvero un diritto di tutti i cittadini, che potranno raccogliere le firme senza dover chiedere permesso a grandi partiti e sindacati, gli unici ad avere risorse economiche e un esercito di autenticatori necessari per la raccolta su moduli cartacei e quindi gli unici ad aver deciso finora le priorità sociali e politiche.
I primi dati sono impressionanti, da case study: in tre giorni, 159 mila italiani hanno firmato online il referendum sull’eutanasia, a conferma che quando si permette alle persone di esercitare i loro diritti politici, la democrazia ne esce rafforzata.
Con il digitale, chiunque – come prevede la Costituzione – sarà in grado di promuovere gli strumenti di democrazia diretta che rappresentano l’altro modo – oltre alle elezioni – con cui i cittadini esercitano la sovranità popolare e il potere legislativo. In caso di emergenze sanitarie, poi, la democrazia non verrà più sospesa, come accaduto sotto Covid.
Una rivoluzione epocale che è il frutto di anni di battaglie nonviolente, politiche e legali. Decisiva è stata la clamorosa condanna dell’Italia da parte del Comitato diritti umani dell’Onu (di cui diede notizia solo Il Fatto), che due anni fa accertò che il nostro Paese aveva violato il Patto internazionale sui diritti politici nei confronti del sottoscritto e di Michele De Lucia, a causa delle “irragionevoli restrizioni” a promuovere referendum. Da allora, la nostra Repubblica è sotto l’obbligo internazionale di modificare la procedura referendaria vigente dal 1970, che prevede una serie di ostacoli vessatori per i promotori.
Non è stato facile centrare il risultato, essendo il sabotaggio dei referendum lo sport preferito da partiti e governi. Personalmente ho dedicato a questo obiettivo gli ultimi otto anni della mia vita, passando quaranta sabati in piedi davanti al Quirinale in duran adam, ricorrendo nei tribunali, coinvolgendo migliaia di cittadini in appelli, presidi e scioperi della fame. Ringrazio loro e in particolare Marco Gentili per una vittoria che avvera la profezia dell’antropologa Margaret Mead: “non dubitate mai che un piccolo gruppo di cittadini impegnati e preparati possa cambiare il mondo; infatti, è l’unico caso in cui accade”.
E adesso? Una cosa è certa: in Parlamento sarà più difficile far passare cattive leggi, perché rischierebbero di essere sottoposte subito a referendum abrogativo. Ma sarà anche possibile imporre all’agenda partitica temi altrimenti cancellati perché scomodi agli equilibri di potere. Penso alle questioni ambientali, alla legalizzazione delle droghe, ai nuovi diritti. Per non parlare degli effetti dirompenti quando la riforma arriverà anche a livello locale. Non c’è dubbio che ci sarà una reazione per fermare questo processo: alcuni chiederanno di raddoppiare il numero di firme, altri un filtro più restrittivo della Consulta. Piuttosto che avere paura dei referendum, farebbero meglio a coglierne la forza rivitalizzante per la democrazia.
La firma digitale è infatti solo un primo passo per una riforma complessiva che rimuova gli altri ostacoli ancora esistenti, fino a eliminare il quorum, orpello antidemocratico che esiste solo in Italia. Per questo, grazie al prof. Cesare Romano, abbiamo trasmesso una nuova segnalazione al Comitato diritti umani dell’Onu, nella speranza che le nostre istituzioni non aspettino altri richiami prima di agire.
La corsa all’indecenza offerta dai due Matteo
Il Fatto dello scorso 12 agosto pubblica a p. 4 la foto di un gruppo di otto persone sedute per un drink a un tavolo del ben noto Papeete: evidentemente anche lì (malgrado nella stessa pagina ci si informi che quell’area, la XIII Traversa di Milano Marittima, è fuori controllo) vigono certe regole, e quindi il gruppo indossa magliette di vario tipo. Una sola persona è a torso nudo (per giunta non proprio paragonabile, che so io, al Torso del Belvedere, la celebre, seppur frammentaria, scultura dei Musei Vaticani), ed è Matteo Salvini. Indifferente a ogni tipo di regola, anche estetica, e per giunta sentendosi come a casa sua nello stabilimento dell’amico Casanova, da lui fatto eleggere al Parlamento europeo (non si sa se sia più sconsolante che lui lo abbia proposto o che qualcuno lo abbia votato), il leader leghista forse quest’anno non promuoverà le ammucchiate a volto scoperto che contribuirono alla risalita dei contagi l’anno scorso, ma si accontenterà di tenere più basso possibile il livello di decenza. Non solo nel look (ci si potrebbe anche intrattenere sulla barba che mette prurito solo a vederla: lasciamo perdere), ma anche nella comunicazione verbale: le solite frasi pronunciate con supponenza in uno stucchevole birignao per sostenere idee sbagliate o per sottolineare (spesso senza fondamento) di essere lui a condizionare le scelte di Draghi. Non solo: Salvini evidentemente si ritiene invece convincente e piacevole, quindi inonda di selfie ogni possibile social, magari anche per rendere conto di pasti o di bevute.
Nella corsa all’indecenza, l’altro Matteo non è da meno. Anzi, a dar retta ai sondaggi, questa singolare gara la vince lui. Perché, se Salvini arranca, Renzi è sempre più vicino allo zero. Si fa sorpassare nelle classifiche da Calenda, e si fa surclassare nelle scelte politiche dalla sua ex-ministra Bellanova, che tutti davamo per telecomandata: invece ora, nell’inqualificabile vicenda Durigon (sì, fra i due Mattei c’è sempre qualche collegamento), la Bellanova chiede le dimissioni del sottosegretario ammiratore di Arnaldo Mussolini, Renzi no. Non è qui il caso di ripercorrere la lunga lista delle sue colpe, dal ruolo di maggiordomo-colpevole giocato nel Conticidio alla perdurante collaborazione con potenze straniere: è anche il suo protervo modo di presentarsi che continua a stupire. Sulla sua mimica facciale e sulla sua gestualità si sono avanzate sempre riserve: ora il senatore sembra la parodia di sé stesso. Fra le cose più brutte in assoluto che si siano viste in questi ultimi giorni c’è un suo ennesimo sconnesso discorso sul Reddito: dopo essersela presa con quelli che ne usufruiscono stando sul divano, eccolo che si fa filmare mentre torna a parlarne, a sua volta, stravaccato su una poltrona, con microfono penzolante in mano, con indosso una sorta di canottiera male indossata, con una porta-finestra aperta sullo sfondo, attraverso cui si intravvede un parcheggio. Una sorta di elenco delle cose da non fare e da non filmare. C’è perfino di peggio: il poveretto continua a (stra)parlare addirittura di referendum abrogativo, immemore dei suoi travolgenti insuccessi in questo tipo di consultazioni, perfino dopo che Draghi ha dichiarato di essere favorevole (pur consapevole della necessità di modifiche e miglioramenti) al Reddito stesso. Un volta tanto, in maniera chiara e netta.
lo schiavo, il barbaro e il capro espiatorio: dal vaiolo alla guerra
Nel 1980, l’Oms dichiarava solennemente la liberazione del mondo dal vaiolo, dopo una campagna trentennale globale di monitoraggio, quarantena e vaccinazione. Nel 1800, le campagne di vaccinazione britanniche in India e in Birmania furono ostacolate dalla diffidenza della popolazione locale nei confronti della vaccinazione. Con le loro profonde riflessioni, due filosofi indiani contribuirono non poco a confondere le idee alla gente, e a gettarla nel panico.“A proposito della vaccinazione contro il vaiolo”
di Sri Agamben e Maharishi Maesh Cacciaranda
Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia dovuta al virus del vaiolo, occorre chiedersi perché i media e le autorità britanniche si adoperino per diffondere un clima di terrore, con gravi limitazioni dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita e di lavoro in intere regioni. La risposta è nella tendenza a usare lo stato di emergenza come paradigma normale di governo. La quarantena con sorveglianza attiva fra gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di vaiolo è una grave limitazione della libertà, e l’invenzione di un’epidemia offre il pretesto ideale per ampliare oltre ogni limite simili provvedimenti d’emergenza. Ma non ci sono state, come in altre occasioni, proteste e opposizioni, perché in un perverso circolo vizioso la limitazione della libertà imposta dagli inglesi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi inglesi che ora intervengono per soddisfarlo. Che cosa è, però, una società che non ha altro valore che la sopravvivenza? Che non crede più in nulla se non nella vita biologica da preservare come tale a qualsiasi prezzo? L’uomo è soltanto un essere di transizione. E la soglia che separa nell’uomo la vita biologica da quella sociale è un’astrazione che si incarna ogni volta in figure storiche concrete e politicamente determinate: lo schiavo, il barbaro, il capro espiatorio, l’uomo-lupo, i prigionieri dei campi di concentramento in Sud Africa durante la seconda guerra boera, i mille massacrati nel giardini di Jalliawala, i 20 milioni di indiani affamati a morte dall’impero britannico, e la vedova che si immola sulla pira del marito. Oggi, nella gestione dell’epidemia di vaiolo, il malato viene isolato; e il non vaccinato (che la propaganda imperialista vorrebbe far passare per “nemico della scienza”) può essere privato delle sue libertà, assoggettato a divieti e controlli di ogni specie. Monitoraggio, quarantena e vaccino sono come il battesimo di una nuova religione, definiscono la figura rovesciata di quella che un tempo si chiamava cittadinanza. Battesimo non più indelebile, perché il neo-cittadino ne esibirà per sempre il certificato sotto forma di cicatrice sul braccio. Ogni regime dispotico ha sempre operato attraverso pratiche di discriminazione, all’inizio magari contenute e poi dilaganti. Non a caso le colonie dell’impero spagnolo in America e nelle Filippine dichiarano di voler continuare con tracciamenti e controlli anche al termine dell’epidemia di vaiolo. Nessuno invita a non vaccinarsi! Ma non si può tacere sul fatto che ci troviamo tuttora in una fase di “sperimentazione di massa” e che il dibattito scientifico è del tutto aperto. Lo stesso Edward Jenner ha dichiarato che non è possibile prevedere i danni a lungo termine del vaccino, non avendo avuto il tempo di effettuare tutti i test di tossicità. Una guerra con un nemico invisibile che può annidarsi in ciascun altro uomo è la più assurda delle guerre. È, in verità, una guerra civile. Il nemico non è fuori, è dentro di noi.
Mail box
In Afghanistan i disastri dell’Occidente in fuga
Se l’Occidente avesse ancora una faccia presentabile la starebbe perdendo in Afghanistan. Dopo aver invaso e violentato quel Paese per 20 anni, adesso scappa a gambe levate preoccupandosi solo di salvare i propri connazionali e lasciando al suo destino un intero popolo. Gli Usa, insieme ai suoi alleati (leggasi “sottoposti”), tra i quali l’Italia, sono responsabili di questo disastro umanitario, ma nessuno di loro pagherà. Saranno gli afghani, soprattutto le donne comuni, a pagare per i crimini commessi da altri.
Mauro Chiostri
Il “Conticidio”: cronaca di un delitto politico
Complimenti al direttore per il suo Conticidio. È la cronaca puntigliosa e fedele di un vero delitto politico, supportata da fatti, dichiarazioni e articoli inconfutabili, perché reali. Andrebbe letto nelle scuole di giornalismo. C’è tutta l’evidenza di cosa può diventare la professione, quando perde di indipendenza e onestà intellettuale. Sono lettore del Fatto dal primo numero, sicché tante cose le conoscevo già. Eppure, rileggere e mettere in fila una tale sequenza di schifezze mi ha fatto comunque indignare. Ho quindi una domanda: qualcuno dei giornalisti citati nel libro ha mai rettificato o si è mai scusato per la manifesta disonestà? Sono curioso.
Aldo Storace
Ovviamente nessuno. Preferiscono tacere.
M. Trav.
Kabul insegna, il potere ai militari è un errore
Miliardi di soldi pubblici buttati alle ortiche. Perché non c’era, all’origine, una strategia, solo la legge delle armi, della violenza. I colleghi del generale Figliuolo (assoldato come eccellenza per salvare l’Italia e gestire una situazione che non necessita di figure militari), hanno dimostrato il fallimento di chi si affida ai militari. La democrazia è percorso ben più complesso. L’intervento Nato in Afghanistan lo dimostra: in poche ore si è tornati alla situazione che si voleva combattere. Era rimasto solo Gino Strada a parlare per quei morti e per quei soldi dissipati, ora nemmeno più lui. Si possono ridurre le spese militari, anche se si fa un dispetto a FdI e Crosetto.
Melquiades
Cristo non si è fermato a Eboli, ma molto prima
Nel mio territorio le “istituzioni” esistono solamente sulla carta e mai vicino al popolo. Qualche mese fa mi sono rivolto all’Arpac nonché al Comune di Angri per chiedere ai sensi della Legge 241/90, alcuni documenti di interesse pubblico e diretto, ma invano. Ho scritto al Consorzio di bonifica competente, per chiedere un intervento di pulizia di un canale vicino casa mia: nessuna risposta. Certamente vi è nei primi due casi violazione di legge, mentre menefreghismo nel terzo caso. Cristo non si è fermato a Eboli, ma molto prima.
Elio Alfano
La riforma Cartabia è un vero pasticcio
La questione giustizia sembra una maionese impazzita. Dal paradosso Cartabia all’inverecondia della improcedibilità, vulnus costituzionale a cui all’ultimo minuto Conte ha il più possibile posto riparo. Poi la mina vagante del referendum radicale in cui un Matteo convinto e un altro Matteo meno hanno dato il loro appoggio, con lo spirito di sottrarre al giudizio le loro azioni. In seguito arriva pure Bettini, con il suo bisogno di dettare sempre l’indirizzo. Ma non basta questo far stracci del panno della giustizia. C’è pure chi, come il giornalista Cesare Giuzzi, vorrebbe un altro strappo: “eliminare l’opposizione all’archiviazione del procedimento”, così da non portare mai il denunciato davanti al gip. Ma lo sa Giuzzi che spesso l’archiviazione si basa sul nulla e che solo a forza di opposizioni si arriva a una udienza? Sembra si voglia una giustizia multipiano, ma solo per alcuni. Non ci resta che piangere, per ora, sperando di ritrovare fiducia.
Alessandra Salvini
Un uomo come Strada non dovrebbe morire
Il dolore per la morte del dottor Strada non l’avrei mai immaginato. Queste persone non dovrebbero mai morire.
D. B.
DIRITTO DI REPLICA
In riferimento all’articolo pubblicato il 14 agosto dal titolo “Lasciapassare, svista del governo”, a firma di Riccardo Antoniucci, si precisa che in caso di positività al Covid-19 accertata chi esce di casa o viola l’isolamento commette un reato, “con o senza Green Pass”, come correttamente spiegato nel vostro articolo. Il Dpcm 17 giugno 2021, inoltre, prevede la revoca della Certificazione Verde in caso di positività e il sistema tessera sanitaria prevede l’inserimento della revoca nella banca dati dei DGC (Digital Green Certificate).
Ufficio Stampa del Ministero della Salute
Bari e il Covid. La disabile è positiva, ma l’Asl programma il 2° vaccino
Gentile redazione, vi contatto da Bari per raccontarvi quanto accaduto a mia sorella, paziente cardiopatica, invalida, con una disabilità mentale dalla nascita. A marzo tutta la mia famiglia ha contratto il Covid. La prima a manifestare i sintomi sono stata io. Dopo qualche giorno mia sorella, che era a casa sua con la badante, ha iniziato ad avvertire un forte bruciore alla gola e una tosse persistente. Ho allertato subito il suo medico di base e un’infermiera privata si è recata a domicilio per farle un tampone rapido. Anche per lei l’esito era positivo. Le sue condizioni cliniche e psicologiche mi hanno subito allarmata. Il suo medico di base ha formulato la richiesta all’Asl per il tampone molecolare, che le è stato fissato presso un drive-in ospedaliero. Ma nessuno di noi familiari avrebbe potuto accompagnarla: eravamo tutti positivi, rinchiusi a cinque chilometri di distanza. Ho insistito col medico affinché segnalasse il caso e l’Asl provvedesse a recarsi a domicilio. Ma ciò non è accaduto. Nel frattempo, come a tutti noi, anche a lei è stato prescritto il cortisone e l’antibiotico. Dato che i parametri del saturimetro non erano buoni, è stata attivata l’Unità speciale di continuità assistenziale (Usca) che l’ha visitata a domicilio, senza però sottoporla a tampone molecolare. Mia sorella per l’Usca e per il medico di base era una paziente positiva al Covid a tutti gli effetti. Lo certificano i documenti. Le sue condizioni fortunatamente sono migliorate. A distanza di due mesi, quando a me è stato concesso di uscire, l’ho portata al drive-in per il tampone molecolare. Anche lei si era finalmente negativizzata. Il problema si è posto qualche giorno fa, quando l’ho accompagnata a fare il vaccino e ho appreso che per l’Asl di Bari lei non ha mai avuto il Covid, non essendoci un tampone “ufficiale” che ne attesti la positività. Pertanto, intendono somministrarle anche la seconda dose. Mi è stato per giunta detto: “Avrebbe potuto mandarla in taxi al drive-in”. Sono sconcertata.
Lucia A.
Gentilissima Lucia ciò che lei racconta è la riprova che le maglie della burocrazia – specie in tempi così tragici – avrebbero bisogno di meno algoritmi e di più esseri pensanti. Se avesse chiamato il taxi – come le hanno suggerito ex post – avrebbe commesso un illecito (art.438 c.p.). Il suo caso purtroppo non è isolato. Mi auguro che la direzione dell’Asl Bari intervenga. È impensabile che l’Azienda sanitaria abbia trascurato la disabilità di sua sorella e ora pretenda di inocularle la seconda dose del vaccino a causa di una propria inadempienza.
M. C. Frad.