C’è una legge, la 353 del 2000, che se fosse applicata nel suo complesso toglierebbe ai piromani buona parte dei vantaggi derivanti dalle loro azioni. Si tratta della normativa che ha introdotto il “catasto delle aree percorse dal fuoco”, meglio noto come “catasto degli incendi”. In sostanza, la norma prevede vincoli temporali molto lunghi (dai 10 ai 15 anni) per i terreni dati alle fiamme, impedendo una destinazione diversa da quella originaria. Ogni anno, i carabinieri forestali tracciano le cartografie, che attraverso le Regioni vengono girate ai Comuni. Arrivati a questo punto, però, la procedura si inceppa. Secondo i dati forniti da Legambiente, solo il 60% delle amministrazioni locali in tutta Italia recepisce – basta una delibera di consiglio – la cartografia. E, dunque, aggiorna il catasto. In Calabria, dove solo nell’ultima settimana sono andati bruciati oltre 11 mila ettari di boschi, i comuni in regola con questo breve passaggio burocratico sono solo il 20%. Come in tutto il sud Italia.
Un bel problema, perché in questo modo criminalità organizzata, “mafie dei boschi” e, in generale, chi ha interesse a speculare su determinate aree, può agire senza che i terreni in questione siano formalmente vincolati. “Non c’è solo la ‘ndrangheta – spiega a Il Fatto Nino Morabito, dirigente di Legambiente in Calabria – ma sacche di anti-Stato che sfruttano lo scarso impegno delle amministrazioni per ricattare le istituzioni stesse”. I vincoli previsti dalla legge 353, infatti, non riguardano solo la cosiddetta speculazione edilizia, ma anche attività “rurali” come l’allevamento o la caccia. “Per questo la scelta del governatore Antonino Spirlì di anticipare la stagione della caccia nel bel mezzo dell’emergenza è incommentabile”, sottolinea ancora Morabito.
Tra l’altro, il mancato aggiornamento del catasto degli incendi ostacola le indagini per individuare i piromani. “Gli inquirenti non sono messi in condizione di accedere subito ai dati necessari per indagare”, spiega Armando Mangone, del Comitato Stop Incendi Calabria. Un tema, quello dell’impunità dei piromani, che ritorna ciclicamente ogni estate. I deputati calabresi di Forza Italia hanno annunciato un’iniziativa parlamentare per “triplicare” le pene. In realtà, il reato di incendio doloso (articolo 423 del codice penale) prevede già pene dai 3 ai 7 anni di carcere, che possono arrivare anche a 10 anni per l’aggravante di incendi boschivi. Il problema è l’applicazione. La gran parte dei “piromani” – come i due pastori arrestati ieri a Siracusa – sono incensurati e, spesso, anziani. Il risultato è che, fra giudizi immediati e attenuanti generiche, non si arriva quasi mai a condanne superiori ai 3 anni. “Il dibattito sulle pene è demagogico – sottolinea Angelo Bonelli, coordinatore nazionale di Europa Verde – I danni derivano anche dalla riforma Renzi-Madia sul Corpo Forestale dello Stato, che ha tolto mezzi, fondi e competenze a una struttura indispensabile al contrasto della criminalità”.