Quella “spinta gentile” che impone il Green pass

“Allora non sarebbe meglio l’obbligo vaccinale?”. La nuova tecnica da talk per contestare il Green pass è una pericolosa tagliola in forma di interrogativo. Intendiamoci, la certificazione verde si sta rivelando una strada accidentata, costellata di insensatezze (dall’obbligo di controllo per gli esercenti a quei focolai ambulanti che sono i mezzi pubblici dove non è richiesta). Ma, perlomeno porta da qualche parte: la corsa a vaccinarsi di milioni di persone con una impennata delle prenotazioni fino al 200 per cento.

Al contrario, l’obbligo vaccinale si presenta come un’autostrada a quattro corsie che finisce diritta in un burrone. Lo sanno perfettamente quelli di Fratelli d’Italia, i più anti-pass di tutti, che aprono al trappolone dell’obbligo sperando che il governo ci caschi come un sorcio davanti alla groviera (lunedì sera, ospite di Controcorrente su Rete4, Ignazio La Russa faceva il possibilista con l’aria di un felino appostato). Per saperne di più c’è l’esauriente intervista, rilasciata il 17 luglio scorso a Sussidiario.net da Alessandro Mangia, che insegna Diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. Testo che abbiamo saccheggiato sull’interpretazione dell’articolo 32 della Costituzione. Dove è scritto che gli obblighi vaccinali possano essere disposti con legge quando pone accanto al diritto “fondamentale” alla salute l’interesse della collettività. Si aggiunge, tuttavia, che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Ora, chi cita come precedente l’obbligo del decreto Lorenzin dell’estate 2017 sui 10 vaccini non considera che le polemiche di allora, abbastanza rabbiose, sarebbero amplificate oggi alla ennesima potenza dalle piazze e dai social già in subbuglio. Senza contare che quei “limiti imposti dal rispetto della persona umana” di cui sopra produrrebbero una montagna di cause e di risarcimenti. L’immagine di medici e forze dell’ordine che brandiscono siringhe e inseguono folle di cittadini in fuga non è roba da brivido? C’è di più, spiega il professor Mangia “poiché i vaccini Covid, nessuno escluso, sono stati autorizzati dall’Ema con una procedura speciale detta ‘autorizzazione condizionata’, una procedura abbreviata che non fornisce le stesse certezze dell’autorizzazione standard visto che un vaccino per essere commercializzato – stante quei profili di rischio inevitabili – richiede dai 10 ai 15 anni”. Insomma, con un obbligo fondato su basi scientifiche incomplete e provvisorie avremmo le barricate per le strade, e questo i Meloni brothers lo sanno benissimo. Tanto è vero che sollevano, giustamente dal loro punto di vista, il problema delle richieste di risarcimento che il governo intende evitare ricorrendo al Green pass (Mangia: “Immaginiamo le richieste di risarcimento conseguenti a danni vaccinali a seguito di una somministrazione obbligatoria fondata su un’autorizzazione provvisoria?”). Insomma, per la destra del “non mi sta bene nulla” la filastrocca andrebbe così riformulata: io, forse, mangio la minestra (l’obbligo di vaccinazione), perché tu governo salti dalla finestra. Visto che non si possono vaccinare a forza milioni di persone, e allora?

E allora non resta che la strada del “paternalismo libertario” che il giurista milanese spiega come la “spinta gentile” teorizzata da anni negli Usa e che si fonda sul comportamentismo sociale. “E sul principio per cui non ti impongo di fare una cosa, ma ti induco a volerla con la minaccia latente di importela”. Insomma il Green pass è una tecnica di governo – rispolverata dai Macron e Draghi – che appartiene al sistema delle libertà autorizzate. “Significa che sulla carta hai la libertà di fare questo e quello, ma solo dopo che ti è stato rimosso un vincolo apposto in via generale dalla legge. Sei titolare di un diritto, ma non ne hai l’esercizio. Per esercitarlo hai bisogno di un’autorizzazione. Le Costituzioni”, conclude Mangia, “non cambiano solo con le revisioni costituzionali”. Dunque avrebbero ragione coloro che denunciano la dittatura sanitaria nel nostro Paese? No, proviamo a rispondere, perché una dittatura presuppone un dittatore e il Green pass con tutti i suoi difetti ha ricevuto l’approvazione unanime del Consiglio dei ministri, organo esecutivo del governo sostenuto da una larga maggioranza parlamentare di cui è parte sostanziale la Lega. Meglio sarebbe parlare quindi, e non soltanto in Italia, di democrazia sanitaria venata di autoritarismo? Forse, ma in tal caso Mario Draghi non eserciterebbe la dittatura bensì un’ampia delega concessagli da tutti i partiti. Ad eccezione di FdI, più i cespugli sparsi. A questo punto saremmo curiosi di sapere cosa pensa Matteo Salvini, che ha approvato il Green pass (lui che solo un anno fa aveva problemi perfino a indossare la mascherina), del cosiddetto sistema delle libertà autorizzate. Temiamo che Draghi non glielo abbia spiegato per mandarlo a letto tranquillo.

 

Renzi, Bonetti, Bellanova e Scalfarotto: i quattro mascherati col pigiama

Spero che adesso, sei mesi dopo, qualcuno inizi a darci atto dello straordinario coraggio che abbiamo avuto aprendo una crisi contro tutti, controcorrente (Matteo Renzi, 2 luglio).

Cronache dal futuro. Nessuno avrebbe mai creduto ci fossero al mondo tanti renzofili, prima di vederli tutti riuniti a Firenze il giorno che, per festeggiare il centenario di Renzi, fra altre cose fu riprodotta, in un grande corteo storico, la conferenza stampa in cui il leader di Italia viva, insieme alle ministre Bellanova e Bonetti e al sottosegretario Scalfarotto, aprì la crisi di governo con pretesti (il Mes, e l’accusa a Conte di avere troppo potere) dicendo: “La crisi di governo è aperta da mesi, non è stata aperta da Italia viva”, per poi vantarsene un mese dopo sul Financial Times (“La possibilità di essere governati da Draghi era una speranza incredibile. Così ho deciso di rischiare tutto, perché il fine giustifica il rischio”). I treni da Livorno, da Siena, da Arezzo, giungevano carichi di entusiasti di ogni categoria, fin sopra i cieli dei vagoni. E da tutte le porte era un accorrer di diligenze tentennanti, e camion, barrocci e barroccini. A tendere l’orecchio verso la campagna, sembrava di udire un infinito cigolio di ruote e schioccare di fruste, sul bianco abbagliante delle strade maestre. La periferia si vuotò tutta nella città, gli abitanti e gli ospiti si strizzarono nel cerchio delle vie destinate al corteo. Allora le trombe annunziarono il prodigio. E le maschere dei quattro politici, come di ritorno dalla conferenza stampa fatidica, cominciarono a sfilare. Forse l’aspettativa era stata spinta incautamente a quel vertice, toccato il quale non v’è che la delusione. Appena spuntato il naso dei primi trombetti, vestiti di una stoffa da pantaloni a dadi bianchi e neri, ai miei vicini parve che bisognasse cambiare punto di vista, e subito lo cambiarono. Il problema vero era un altro, però. Una mascherata è un rito e non può essere che un rito, anche se è la più grottesca delle mascherate. Vorrà dire, in questo caso, che essa si propone di celebrare, ritualmente, appunto il grottesco, come quello di una conferenza stampa dove si accamparono pretesti per far cadere un governo in piena pandemia e consentire a Mattarella di nominare Draghi a capo di un esecutivo berlusconiano, nell’acclamazione delle borse internazionali, le stesse che sborrano ai licenziamenti selvaggi delle imprese. Una mascherata potrà essere celebrativa, mistica, fallica, parodistica; insomma tutto quello che si vuole. Ma non può non essere rituale, e non può non essere consapevole. L’uomo si maschera per esaltarsi. Se porta la maschera senza esaltazione, è meglio rimanga in pigiama. Ora, purtroppo, le quattro maschere del corteo non sentivano affatto di compiere un rito. Nonostante i bei vestiti, erano rimaste al semplice grado di borghesi, anziché esaltarsi a maschere, e maschere di politici di Italia viva. La matrona portava la borsa firmata come fosse una reticella della spesa piena di arance e porri, quasi vergognandosene. E, in tutti e quattro, una deplorevole mancanza di tono, di convinzione, di estasi. Rimane la nostalgia di ciò che un simile corteo avrebbe potuto essere se tutte le parti fossero toccate a gente capace di investirsi di una coscienza, appunto, rituale. Mi sarebbe piaciuto, per esempio, vedere la maschera di Renzi con una picca in mano, e tra le ginocchia un cavallo di quelli che hanno il diavolo in corpo, e specialmente nelle processioni si buttano di traverso e vogliono andare come gli pare a loro. Gli spettatori, non trovando il buono, voltavano in ironia la critica: i fiorentini sono troppo ricchi di spirito comico per non sapere che non si diventa maschera in un giorno. Sarà per il centenario prossimo.

 

L’interesse nazionale secondo Meloni

“Non abbiamo pregiudizi, solo il faro dell’interesse nazionale. Occorre che i cittadini sappiano quanto costa allo Stato il salvataggio della banca”. Dal balcone di Mf, con voce stentorea Giorgia Meloni arringa la folla sulla vendita di Mps a UniCredit: “Parliamo di almeno 15 miliardi!”. La leader di Fratelli d’Italia rivede dunque al ribasso i conti, visto che il 21 febbraio 2018 ammoniva “Abbiamo avuto governi che ci hanno messo un pomeriggio a trovare 20 miliardi” per il Monte. Nella foga tribunizia, Meloni però si smarrisce: posto che per l’istituto di Siena non c’è la fila dei pretendenti, l’interesse nazionale è salvare Mps e i suoi 21 mila dipendenti con i soldi del Tesoro o evitare l’esborso ai cittadini?

Super Mario dà i compiti ai fanciulli in vacanza

Ormai lo saprete: Mario Draghi non dorme, non ozia e soprattutto non va in vacanza. L’operosità del premier è stata oggetto, in questi giorni, di innumerevoli, ammiratissimi editoriali sulla grande stampa italiana. Dunque già sappiamo che Draghi non contempla la parola ferie, ma ieri Repubblica ha voluto regalare al pubblico un ulteriore spigolatura sulle virtù stakanoviane dell’amato premier: visto che i ministri del suo governo si sono comunque presi dei giorni di riposo, nonostante le raccomandazioni dell’Altissimo, l’inflessibile Draghi gli ha fatto avere i compiti per le vacanze. La notizia si è meritata il titolone centrale della prima pagina del giornale degli Agnelli: “I compiti a casa dei ministri”. Catenaccio: “Palazzo Chigi scrive per sollecitare i dicasteri al rispetto delle scadenze Ue per la ripresa”. Con SuperMario non si scherza e non si batte la fiacca, nemmeno quando si va al mare. Immaginiamo lo sconforto dei ministri raggiunti dalla lettera del fido Garofoli: “Un invito – scrive Repubblica – che ha soprattutto il carattere di un memento e non certo di un rimprovero”. Perché il nostro in fondo è benevolo. Ma sulle riforme non transige.

Non scegliere è immorale, disse il premier

“Non scegliere è immorale”, disse il primo ministro Draghi celebrando la festa nazionale del 25 aprile al museo di via Tasso, neanche quattro mesi fa. Una frase che prese in prestito da Emanuele Artom, intellettuale partigiano azionista torturato e ucciso dai fascisti nel 1944. Vale la pena di rileggere per intero quel passaggio del bel discorso di Draghi: “Non fummo tutti, noi italiani, ‘brava gente’. Dobbiamo ricordare che non scegliere è immorale, per usare le parole di Artom. Significa far morire, un’altra volta, chi mostrò coraggio davanti agli occupanti e ai loro alleati e sacrificò se stesso per consentirci di vivere in un Paese democratico”.

Parole che valgono anche per il sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e rendono doppiamente oscena la sortita del sottosegretario all’Economia, Claudio Durigon, che ha proposto di intitolare ad Arnaldo Mussolini il parco di Latina che oggi è dedicato agli eroi dell’antimafia. Ciò con la motivazione, ribadita di fronte all’indignazione generale, secondo cui sarebbe “nostro dovere considerare anche le radici della città”.

Nel goffo tentativo di contendere a Fratelli d’Italia l’eredità postfascista, un esponente del nostro governo rivendica quel passato ignominioso e calpesta le radici della Costituzione. Cito ancora il discorso di Draghi in via Tasso: “Constatiamo con preoccupazione l’appannarsi dei confini che la Storia ha tracciato fra democrazia e regimi autoritari, qualche volta perfino fra vittime e carnefici”.

Ebbene, se è vero che “non scegliere è immorale”, il presidente del Consiglio non può restare indifferente per mere ragioni di convenienza politica, di fronte all’Italia e all’Europa. Non ha bisogno di attendere il voto di sfiducia già preannunciato in Parlamento per estromettere Claudio Durigon dal governo della nostra Repubblica.

Bilanci Mps, la denuncia: “Falsati dal 2017 al 2020”

Mps “ha falsificato i bilanci 2017, 2018, 2019, la semestrale 2020 e tutte le trimestrali intermedie, manipolando il mercato, perché non ha stanziato alcun accantonamento a fondo rischi” per le cause sui bilanci e i prospetti di aumento di capitale dal 2012 al 2015. Lo scrive Giuseppe Bivona, manager di Bluebell Partners che sul Monte ha presentato 38 segnalazioni, in un esposto presentato lunedì 9 agosto alla Procura di Milano.

A gennaio il pm Paolo Filippini ha avviato una terza inchiesta sui fondi per i rischi legali della banca di Siena, ipotizzando i reati di false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato. Il primo procedimento è quello sulla contabilizzazione dei derivati Alexandria e Santorini, contro Mussari e Vigni per il 2008-11 e contro Profumo e Viola per il 2012-15. Il secondo, alla fase di indagine, è sulla iscrizione a bilancio dei crediti deteriorati nella gestione Profumo – Viola (2012-15).

A fine 2020, secondo il bilancio, richieste di risarcimento alla banca per 2,5 miliardi sono a rischio di soccombenza “probabile” e per altri 600 milioni sono a rischio “possibile”. A marzo, Consob calcolava in 5,2 miliardi il petitum totale restante a carico di Mps, a fronte di accantonamenti per 225 milioni. Ben 3,8 miliardi sono stati stralciati grazie all’accordo transattivo del 22 luglio con Fondazione Mps, tacitata con appena 150 milioni.

Dal 2015, Mps è stata sommersa da richieste di risarcimento di soci ed ex soci che avevano acquistato azioni tra il 2008-11 e 2012-15 “sulla base di informazioni finanziarie false. A luglio 2018 Mps decise di non costituirsi parte civile contro Profumo e Viola, di non avanzare azione di responsabilità e di non fare alcun accantonamento per i rischi connessi alle cause sul periodo 2012-15”, spiega Bivona. Solo il 5 novembre scorso, dopo la sentenza di primo grado che il 10 ottobre scorso a Milano ha condannato Profumo e Viola a sei anni, Mps decideva di riclassificare da “non probabile” a “probabile” il rischio di pagare i danni sul periodo 2012-15, accantonando 768 milioni principalmente per cause “su pregresse operazioni di aumento di capitale”. Secondo Bivona, “resta da capire se gli accantonamenti successivi siano commisurati e quanto petitum emergerà per il periodo dal 2017 a giugno 2020”.

Nel merito, Bivona ricorda che “con una lettera del 4 settembre 2018, informai il direttivo della Bce e l’allora presidente Draghi sul fatto che, a fronte di richieste di danni che all’epoca valevano già 3 miliardi, la banca non stava coprendo adeguatamente questo rischio. Non ottenni risposta. D’altronde già in precedenza la Bce ci aveva informato di aver archiviato le segnalazioni di Bluebell perché le violazioni contabili da parte della banca erano ‘considerate non rientranti nei compiti di vigilanza conferiti alla Bce’”.

Ora il nuovo filone d’inchiesta complica il quadro dell’uscita del Tesoro dal Monte. Anche se UniCredit trovasse un accordo con il governo, non va dimenticato che all’operazione servirà soprattutto il via libera della direzione Concorrenza della Commissione Ue. L’aumento delle richieste di danni (in ballo ci sono 3 miliardi) appesantisce l’onere per lo Stato, perché UniCredit non pare volersene fare carico. Oltre al danno per l’Erario, c’è il rischio che Bruxelles consideri l’onere come un aiuto di Stato vietato.

Intanto l’agenzia di rating Dbrs ha rivisto al ribasso da B a Ccc il rating dei bond subordinati del Monte. Gli analisti temono “l’aumento del rischio di condivisione degli oneri su questi strumenti man mano che il Governo si avvicina alla ricerca di una strategia di uscita da Mps”. Un’altra cattiva notizia per la banca senese.

Compiti a casa: la letterina di Palazzo Chigi ai ministri

Forse per evitare similitudini con un’altra letterina famigerata, quella della Bce a Silvio Berlusconi dell’agosto 2011, stavolta la firma di Mario Draghi non c’è. In fondo alla missiva con cui Palazzo Chigi augura buone vacanze ai ministri appare il nome di Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il senso, anche se meno ultimativo di dieci anni fa, è lo stesso: non vi dimenticate di fare i compiti a casa.

La lettera, anticipata ieri da la Repubblica, ricorda a tutti i membri del governo “le scadenze e il programmato e approfondito esame delle riforme e delle iniziative legislative delle singole amministrazioni” da attuare da qui in poi in relazione al Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e che, com’è noto, hanno una tempistica – anche intermedia – già contrattata con la Commissione europea al cui rispetto è subordinata l’erogazione dei fondi europei.

Le “riforme” agganciate al Pnrr da tabella sono 63 e molte scadenze riportano la data “dicembre 2021”: sono 23, infatti, le riforme da approvare o attuare entro l’anno (alcune già avviate come quelle della Pa e della giustizia): si va dalla rete ferroviaria alla sicurezza dei ponti, dal cloud nazionale alle residenze per universitari, dal biometano pulito alla politicamente sensibile legge sulla concorrenza, fino alla Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol), uno strumento per i disoccupati nell’ambito delle politiche attive del lavoro. “La predisposizione di un’ordinata agenda di governo – scrive Garofoli – oltre a rispondere a puntuali prescrizioni normative, è coerente con l’esigenza di organizzare al meglio la spesso complessa attività istruttoria. Un’esigenza ancor più forte in considerazione degli impegni assunti nell’ambito del Pnrr”. Ministro avvertito, mezzo salvato.

Calcio inglese, come comprare un club e riciclare denaro: l’inchiesta di Al Jazeera

Il calcio britannico è una macchina da soldi, fra club di oligarchi e ingaggi miliardari. Ma è anche, secondo un’inchiesta della squadra investigativa di Al Jazeera, uno dei settori utilizzati per il riciclaggio di denaro sporco. In cui un condannato per corruzione e riciclaggio può comprare club storici passando qualsiasi controllo, grazie alle competenze criminali e ai contatti di veterani dell’economia offshore. Gli uomini che vendono il calcio, si intitola il reportage esclusivo con un sottotitolo esplicito: How a convicted criminal can buy a english famous football club(come un criminale già condannato può comprare un famoso club inglese di calcio). Uno dei protagonisti è Christopher Samuelson (in foto), intermediario di affari nel mondo sportivo, detto il Mago per la sua abilità nel far sparire montagne di soldi in trust offshore. Partner di SocFin Ltd, società con sede a Gibilterra specializzata in vendita e passaggio di proprietà di club di football dei campionati di prima serie in Inghilterra, Spagna, Italia e Francia, è uscito sempre pulito da una serie di inchieste anti-riciclaggio delle autorità di diversi paesi europei. Nel reportage viene avvicinato da un reporter sotto copertura che si dice interessato all’acquisto del Derby County, storico club inglese, per conto di tal Mr X, investitore cinese condannato a sette anni per corruzione e riciclaggio, responsabile di esportazione illegale di valuta dalla Cina a Macao. “Referenze” che, per legge, non consentirebbero nemmeno di avvicinarsi alla English Football League: ma il Mago non si scompone e spiega che l’affare si può concludere occultando l’identità di Mr X tramite un sistema complesso ma infallibile, e ben rodato, di scatole cinesi, un passaporto cipriota, una nuova identità che renda facile passare le verifiche anti-corruzione. Garantisce di poter fare pressioni sulla League e organizza un incontro fra il giornalista e il proprietario del club. Del resto Samuelson ha un curriculum impeccabile di creatore di trust in paradisi fiscali, da Jersey alle British Virgin Islands, e con questo sistema ha spostato miliardi, e comprato club, per una serie di oligarchi russi. Nella sua ultima incarnazione, per l’acquisto del Derby County, un affare da 99 milioni di sterline, come ricostruito da Al Jazeera, avrebbe lavorato con Keith Hunter, ex detective di Scotland Yard divenuto investigatore privato, indagato senza esito dal dipartimento anti-corruzione del Met e sospettato di essere “un aggressivo corruttore di agenti in servizio”.

Il Mago nega di essere stato informato del “passato criminale di Mr X”, così come Hunter rivendica di essersi congedato dalla polizia di Londra con un curriculum ineccepibile.

Polonia, premier Morawiecki caccia il suo vice

Terremoto in Polonia dove il premier Mateusz Morawiecki ha espulso il suo vice e manifestazioni si sono svolte a Varsavia. I cittadini sono scesi ieri in strada per difendere la libertà dei media da un disegno di legge che rischia di mettere a tacere l’ultima emittente televisiva indipendente del Paese, la Tvn, tra gli ultimi media ancora liberi di criticare il governo nazionalista del Pis, partito Diritto e giustizia al potere. L’emendamento (che impedirebbe a non europei di avere quote di partecipazione nelle società proprietarie di media) spingerebbe la Discovery, società Usa che possiede la Tvn, a vendere la sua quota a una rete che già gestisce la maggioranza dei canali che milioni di polacchi guardano ogni giorno. Si è opposto all’emendamento Jaroslaw Gowin, ministro dello Sviluppo e vice del premier Morawiecki, che però lo ha espulso. Gowin a sua volta ha annunciato che il suo partito uscirà dall’esecutivo. La scossa arriva dopo che il partito di Gowin si era opposto alla riforma fiscale del Pis. “Attraverso i media altri Paesi influenzano la nostra vita sociale”, ha detto per giustificare la sua scelta il premier Morawiecki, che ha ribadito che la legge mira a proteggere la società polacca da “entità straniere” che stanno cercando di influenzare il dibattito pubblico in Polonia sulle vaccinazioni contro il Covid-19. In nome di una presunta sicurezza nazionale, negli ultimi anni, il Pis ha nazionalizzato ogni canale di notizie del Paese e silenziato tutti i media e giornalisti critici del suo potere. “La politicizzazione del rinnovo della licenza per l’operatività della tv è preoccupante, come il voto che ci sarà questa settimana, non solo per la nostra azienda, ma per ogni società che investe in Polonia. Lo stato di diritto e la libertà dei media sono una parte cruciale di ogni democrazia e continueremo a difendere con forza il nostro ruolo come principale fonte di notizie indipendente del Paese”, ha detto Jean-Briac Perrette, presidente dell’emittente.

Laila El Harim non era formata all’uso del macchinario: i dubbi della Procura

Laila El Harim, l’operaia morta sul posto di lavoro il 3 agosto scorso, non era stata formata all’utilizzo del macchinario nel quale è rimasta incastrata e da cui è stata uccisa. Questa, secondo alcune indiscrezioni, è una delle conclusioni cui sarebbe arrivata l’indagine della Procura di Modena in merito al decesso della 40enne avvenuto in un incidente all’interno dell’azienda di packaging Bombonette di Camposanto, nel Modenese. Una versione che però l’azienda contesta. Nell’incontro con i sindacati di venerdì scorso, Bombonette ha riferito che l’operaia aveva 15 anni di esperienza su un macchinario simile e che aveva avuto un tempo congruo di addestramento, circa un mese, con un collega addetto a una macchina gemella. Al momento i pm hanno iscritto nel registro degli indagati (il fascicolo aperto è per omicidio colposo) il legale rappresentante dell’azienda e il delegato alla sicurezza dello stabilimento, nipote del rappresentante stesso. Intanto, ieri pomeriggio si sono svolti i funerali della donna. A Bastiglia, la città dove Laila El Harim viveva con la famiglia, è stato proclamato lutto cittadino.