Cinque mesi ad aspettare un testo scritto, promesso entro la fine di luglio, ma tutto quello che è arrivato in extremis sulla riforma degli ammortizzatori sociali sono appena sei pagine di linee guida: il ministro del Lavoro Andrea Orlando le ha inviate la scorsa settimana alle parti sociali.
Un documento che non riporta cifre né – di conseguenza – fornisce alcuna indicazione sulle durate e sugli importi delle future tutele “universali” per i lavoratori: dalla cassa integrazione per tutti ai sussidi di disoccupazione da rendere più inclusivi e generosi di quelli attuali. C’è di più: anche quelle diciture generiche contenute sono comunque state, in alcuni passaggi, ritenute insufficienti da Cgil, Cisl e Uil che ieri hanno incontrato il ministro in video-conferenza, prima di salutarsi e darsi appuntamento a dopo le vacanze.
Tradotto: la riforma degli ammortizzatori sociali ancora non esiste. Non c’è un articolato, non ci sono costi né coperture. Tant’è che il segretario Cgil Maurizio Landini ha definito pure quello di ieri un incontro “interlocutorio”. Il crono-programma non è stato centrato e tutto sarà rimandato – come previsto negli scorsi giorni – alla legge di Bilancio, in pieno autunno. Le tempistiche qui non sono secondarie: il 31 ottobre, infatti, è prevista la fine del blocco dei licenziamenti per tutti i settori che non beneficiano di ammortizzatori sociali ordinari. Arrivarci con la riforma fatta era l’obiettivo, ma ormai ci sono poche possibilità di riuscirci. “Il governo ha accolto alcune nostre richieste – ha detto il segretario Uil Pierpaolo Bombardieri – ma restano ancora altre questioni da affrontare”.
La bozza circolata prevede l’estensione della cassa integrazione ordinaria a tutti i lavoratori, a prescindere dall’inquadramento (quindi anche apprendisti e lavoratori a domicilio) e dall’anzianità. E soprattutto la protezione anche di chi lavora in piccole aziende: a questo proposito, però, si dice che la durata dei trattamenti sarà differenziata a seconda delle dimensioni, senza specificare il numero di mesi. Dovrebbe poi essere istituito un meccanismo di premialità per le imprese che usano meno cassa e restano salvi i fondi bilaterali, molto cari sia ai sindacati sia alle associazioni di datori. Fin qui sono tutti d’accordo, ma era scontato.
Sugli ammortizzatori per chi perde il lavoro, la promessa è di alleggerire i requisiti per i sussidi di disoccupazione e intervenire sul cosiddetto “decalage”: oggi l’assegno viene decurtato a partire dal quarto mese, l’impegno di Orlando è di posticipare la data in cui l’importo comincia a scendere (si ipotizza il sesto mese, ma anche qui le linee guida non dicono nulla). Sarà poi allungata la durata della Dis-coll, sussidio di disoccupazione per i collaboratori, che oggi può essere percepita per massimo sei mesi (l’ipotesi è un anno, ma pure su questo non c’è nulla di nero su bianco), si prevede però un beneficio pari al numero di mesi lavorativi (oggi, invece, dura la metà): per Naspi e Dis-coll, dice Bombardieri, “restano necessità di miglioramento”.
“Senza conoscere gli importi e le disponibilità finanziarie che il governo destinerà – ha ovviamente fatto notare il leader Cisl Luigi Sbarra – è impossibile per noi fornire un giudizio compiuto”. Il nodo delle risorse ha una doppia valenza. Oltre a definire il quanto, sarà cruciale stabilire chi dovrà farsi carico delle nuove tutele. Le imprese non vogliono aumenti contributivi: “Restiamo in attesa di poter valutare l’impatto sul costo del lavoro”, ha chiarito la Confartigianato. Su questo ha insistito pure l’Alleanza delle Cooperative. Porre la cassa integrazione universale a carico della fiscalità generale potrà essere una via da percorrere nei primi anni, poi bisognerà creare un meccanismo assicurativo: finché non c’è accordo su questo, la riforma resterà ferma al palo.