Trump, assalto al Campidoglio. Le tessere mancanti della lunga guerra americana

Enrico Deaglio, scrittore agile nel legare e narrare insieme situazioni nuove rispetto al passato e diverse rispetto al già accaduto, nel suo ultimo libro ha dato alla vicenda dell’assalto americano al Campidoglio l’attenzione e – forse – i dettagli che mancavano.

Ricordiamo tutti che cosa è successo quando, su esortazione rabbiosa del candidato presidenziale sconfitto Donald Trump, una folla (quanti non lo sapremo mai) ha invaso senza ostacoli, e come se ci fosse preparazione, il palazzo legislativo degli Stati Uniti. Lo ha occupato, vandalizzato e tenuto in possesso per ore, senza alcun intervento di polizia o guardia nazionale. L’occupazione del Campidoglio di cui ci parla Deaglio è avvenuta in modo misterioso (diciamo non chiaro e non spiegato), con una grande forza evidente, ed è finita quasi in silenzio, senza scontri e senza alcun ricorso alla violenza.

Chi ha voluto fare che cosa, a beneficio o in odio contro chi? Non risultano commissioni di inchiesta né investigatori addetti alla vicenda. E allora ad Enrico Deaglio, giornalista accorto e buon conoscitore della vita americana, non è rimasto che inventariare una serie di fatti che non sono i primi ma i più noti della vicenda e (si può scommettere) non sono e non saranno gli ultimi.

Deaglio ricorda due precedenti esemplari di violenza dell’America sull’America, pochissimo discussi Oltreoceano ma con una cifra totale di vittime molto più grande degli attacchi terroristici subiti dagli Usa. Deaglio ricorda che prima del Campidoglio c’era stata la devastante esplosione degli Uffici Federali (Palazzo del governo) di Oklahoma City (86 morti); e prima di Oklahoma City c’era stata l’esplosione di Waco, una chiesa-fortino piena di armi, guidata dal pastore David Koresh, morto nello scontro.

Sono episodi di una strana guerra iniziata negli Usa tanto tempo fa. Un conflitto ancora in corso, benché non si conoscono tempi, espedienti, sequenza, provocazioni. Deaglio ha capito che l’invasione del Campidoglio – casualmente senza vittime e perciò ingiustamente declassata – faceva parte di una catena ribellistica di cui non sappiamo niente e di cui un occasionale Trump può essere solo un detonatore. Deaglio si è anche accorto che due Americhe si fronteggiano: una ama l’altra perché è la Patria. L’altra la odia perché soffoca Costituzione e libertà. Si riferisce alla progressiva marcia delle leggi sempre più liberal: quelle norme che allargano, di mossa in mossa, la stretta di leggi e traduzioni con cui la giovane ansiosissima America aveva creduto di proteggersi nei suoi anni iniziali, prima dell’abbattimento della schiavitù.

Come avete capito il libro di Deaglio, che sembra un agile racconto di eventi appena accaduti, è un breve manuale di storia americana contemporanea. E come tale va letto.

 

Nonostante le parole del premier, in autunno sarà battaglia sul reddito di cittadinanza

Non finirà come coi prestiti “pandemici” del Mes (l’ex fondo salva-Stati), invocati dal commentatore unico fino a febbraio, inseriti persino tra i motivi della crisi del governo Conte, e oggi di fatto dimenticati nonostante sui tassi d’interesse non sia cambiato nulla. Il reddito di cittadinanza, a dispetto delle parole (generiche) di Draghi, non finirà nel dimenticatoio e sarà il luogo della battaglia d’autunno, dopo che – per insipienza o debolezza – è stata persa quella sui contratti a termine: dopo le ultime modifiche al dl Dignità si apre una prateria per il lavoro precario, dunque ora serve eliminare anche quella piccola distorsione anti-schiavitù rappresentata dal Rdc. Hai visto mai che l’assegnuccio abbia a minare il modello Bangladesh che tanto bene ha fatto in questi 30 anni all’economia italiana? Converrà ripartire da capo. Cos’ha detto Mario Draghi? Rispondendo a una domanda sulle richieste di modifica al Rdc ha risposto che “è troppo presto per dire se verrà ridisegnato, riformato o come cambierà la platea dei beneficiari, ma una cosa la vorrei dire ed è che il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno”. Non è una posizione sorprendente. Buonsenso e solidarietà minima a parte, forme di sussidi anti-povertà sono un pezzo dell’arsenale politico anche della destra liberale, e liberista, a fini anti-inflattivi (ma certo più inflattivi dello schiavismo, direbbero alcune imprese): d’altra parte l’introduzione di un sostegno tipo Rdc è stata per anni una delle indicazioni all’Italia della Commissione Ue, tanto è vero che il Pnrr di Mario Draghi lo cita tra le cose fatte e da rinforzare (pagina 26).

Il fatto che Draghi condivida il principio alla base del Reddito di cittadinanza, però, non fermerà la battaglia in vista della legge di Bilancio. Intanto il premier non ha preso impegni precisi, quel che gli interessava era solo mandare un segnale di pace ai 5 Stelle – e al loro neo-leader Giuseppe Conte – dopo il rospo che sono stati costretti a ingoiare con la riforma della giustizia. E poi, a differenza del Mes, lo scontro attorno al Rdc non è solo una bandierina politica, né risponde all’esigenza di vincolare politicamente un governo inaffidabile (Draghi d’altronde è già di per sé il vincolo esterno), ma risponde a interessi sociali reali e in particolare a quelli della piccola e media impresa, specie dei servizi e dell’agricoltura: l’Italia ha compresso a tal punto i salari, facendone un pezzo strutturale del modello di business di moltissime Pmi, che persino un assegno da 500 euro in media per una platea di lavoratori ristretta può avere effetti destabilizzanti sul sistema via aumento delle richieste salariali (che esse riguardino lo stipendio, l’orario o altro). Per questo il reddito di cittadinanza sarà il campo di battaglia in autunno: modificarlo, migliorarlo, riformarlo sono parole che nascondono l’intenzione di un pezzo della società e della politica di renderlo meno generoso e più difficile da ottenere, magari spostando un pezzo dei fondi verso le imprese che assumono. Quanto alla canzone di Renzi, Salvini, Meloni & C. (“ostacola la creazione di lavoro”) è una menzogna interessata: venerdì sono usciti i dati Istat sui posti vacanti e non si nota alcun effetto Rdc (per carità, non che mentire sia un problema per questi tizi o per chi gli regge il microfono).

 

La teoria dello scrocco: “Il virus perirà di fiala altrui, io non mi vaccino”

 

PROMOSSI

Postulati e offesi. A forza di sentir ripetere certi concetti, finisce che le persone si convincono che sono veri. Allora l’unico antidoto è ripartire proprio dall’assioma incriminato ribaltandone la prospettiva, smontando di netto tutta l’epica della narrazione. L’ha capito bene il professor Andrea Crisanti, che ha voluto ribaltare il principio secondo cui l’utilizzo obbligatorio del “green pass” renderebbe cittadini di serie A i vaccinati e cittadini di Serie B quelli che non lo sono: “A me sembra che i cittadini di serie B siano coloro che si sono vaccinati, hanno accettato tutti i rischi che coloro che rifiutano la vaccinazione non vogliono correre, hanno superato paure e pregiudizi e devono subire le conseguenze di possibili future restrizioni, danni economici e didattica a distanza causate dal comportamento di coloro che non si sono vaccinati”. Il capovolgimento prospettico rende immediatamente palese come tutte le speculazioni politico-filosofiche attorno all’ipotesi di partenza – “il cittadino non vaccinato viene socialmente emarginato da un regime dispotico che ne limita i diritti civili, schermandosi dietro lo stato d’emergenza” – facciano acqua da tutte le parti, non appena osservate con la lente delle realtà. “Con l’esercizio della libertà individuale questi cittadini trasferiscono le conseguenze del loro comportamento in termini di allarme sociale e costi delle cure sulla comunità. Lascio ai filosofi discettare se questo sia moralmente accettabile”, ha proseguito Crisanti con una punta di sarcasmo. Ci permettiamo di suggerire qualche dotta speculazione anche su senso di comunità, contratto sociale, bene comune.

Voto 8

 

Meno male. “È troppo presto per dire se il reddito di cittadinanza verrà riformato, ridisegnato, se cambierà platea. Quello che vorrei dire è che il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno”: così il presidente del Consiglio Mario Draghi ha messo a tacere il fuoco incrociato con cui alcune forze della maggioranza hanno bersagliato la misura bandiera del Movimento Cinque Stelle. Matteo Salvini e Matteo Renzi, dopo innumerevoli “rendez-vous” precedenti, vedi alla voce giustizia, si sono dati appuntamento all’ombra del reddito di cittadinanza, per suggellare la loro affinità e per buttare giù la roccaforte del nemico politico comune. Fuori dai giochi tattici però, il reddito di cittadinanza resta uno dei provvedimenti che ha permesso al Paese di non collassare del tutto durante la pandemia e che ha impedito che il numero dei poveri aumentasse ulteriormente. L’intervento di Draghi è servito a ricordare a tutti coloro che lo utilizzano come arma politica, che esiste un altro livello più serio, più profondo, che ha a che fare con l’impatto delle misure sulle vite delle persone: ecco, per rispetto di quelle vite e di quelle persone, bisognerebbe imparare a pesare le parole prima di avanzare proposte.

Voto 7

 

Sanremo, Amadeus fa tre e ci ha presi tutti per il naso due volte

 

BOCCIATI

How do you say “rosicare”? La vittoria di Marcell Jacobs nei 100 metri e dei ragazzi d’oro della staffetta nei 4×100 (oltre a Jacobs sono Lorenzo Patta, Fausto Desalu, Filippo Tortu) fa imbufalire tanti, soprattutto tra chi si aspettava di vincere e invece è stato beffato sul più bello. Così dagli Usa e dal Regno unito arrivano accuse e insinuazioni quotidiane ai danni degli italiani. Con Jacobs ci hanno provato prendendo di mira prima un presunto doping, poi le scarpe “magiche” con cui ha gareggiato. Il londinese “Times” (insieme a “l’Equipe”) ha perfino tirato fuori una storiaccia di traffico di anabolizzanti, in cui sarebbe coinvolto un ex nutrizionista di Jacobs. Come ha spiegato l’eroe della 4X100 Tortu, “It’s a miracle… and basta”. Dai raga, let it go: con questo rosicamento che dura dall’11 luglio avete scassato i cabassisi. Promossi i nostri meravigliosi atleti, bocciati gli invidiosi che non sanno cosa sia la sportività.

Uomo di parola. Qualche settimana fa su questa rubrica avevamo scritto che la vicenda del terzo mandato di Amadeus a Sanremo si sarebbe conclusa con una giravolta del conduttore. E avevamo ragione. Come già accaduto dopo il primo anno, Amadeus aveva categoricamente escluso un altro impegno al festival. “Non ci sarà l’Ama ter, lo abbiamo già deciso io e Fiorello, ci abbiamo scherzato. Se un giorno la Rai vorrà ancora affidarci il Festival, magari prima dei 70 anni, sarà una grandissima gioia. Ma il terzo di seguito non ci sarà. Sanremo per me è un evento, parte da un’idea e poi si realizza, non può essere routine”. La stampa gli aveva dato retta, nonostante quanto successo l’anno prima. Ora di nuovo si rimangia la parola data. Vedremo che farà Fiorello, sarebbe meglio per lui evitare di fare il terzo anno fotocopia. Ma a questo punto vale tutto. Ci scusiamo con i lettori per aver dato retta a gente che evidentemente ci ha preso in giro. Una volta si può capire, la seconda è da sciocchi. A giudicare dai titoli a caratteri cubitali su tutta la stampa all’epoca del “Non ci sarà l’Ama ter”, cca siamo tutti fessi.

 

PROMOSSI

Un calcio agli stereotipi. Bellissimo ritratto sul “Corriere della Sera” di Alfred Gomis, 27enne portiere cresciuto nel Torino poi a Cesena, Bologna, Salerno e Ferrara che ora gioca in Francia nel Rennes. Un giocatore di calcio con la passione dei libri. “Nella breve biografia del suo profilo Instagram @alfredgom1s ha scritto una frase – ‘Quello che faccio lo sanno tutti, quello che sono lo sanno in pochi’ – che non potrebbe essere più appropriata”. Dice il nostro che “leggere ti arricchisce. Comprare una Ferrari arricchisce il concessionario. È diverso. Leggo perché i libri mi portano in posti dove non sono mai stato, in epoche nelle quali non ho vissuto, mi mostrano i pensieri di persone che non potrebbero essere più diverse da me”. Il Centro per il libro e la lettura del Mibac potrebbe arruolarlo come testimonial!

 

NON CLASSIFICATI

(Non) facciamo squadra. In queste Olimpiadi così felici e fortunate per l’Italia, l’unico neo sono stati gli sport di squadra dove non abbiamo praticamente toccato palla. Sei team (volley maschile e femminile, pallanuoto maschile, basket maschile, basket 3×3 femminile, softball femminile), nemmeno una medaglia. Era successo solo nel 1932 a Los Angeles. Davide Mazzanti, ct del volley femminile ha detto: “Questa esperienza negativa può trasformarsi in una palestra che ci allenerà per il futuro. Ho raccomandato alle ragazze di staccarsi da quello che le circonda, perché la melma quando arriva, arriva; ed è dura levarsela di dosso. Staccarsi dai social è più difficile per loro che per me: ma questa sconfitta ci servirà anche su questo fronte”. Naturalmente la sovraesposizione non è un problema solo delle ragazze del volley. Viviamo in una società distratta e una stampa superficiale e perennemente alla ricerca di bandierine da sventolare.

 

Quel no dei ricchi scemi al fondo Cvc: storia di un suicidio già scritto

Aproposito dei presidenti di Serie A, la domanda che tutti si pongono è: esiste qualcuno più imbecille di loro? La certezza è che quando 63 anni fa, all’indomani dell’esclusione dell’Italia dai Mondiali in Svezia del ’58, Giulio Onesti, presidente del Coni, scrisse nella sua relazione le seguenti parole: “Come si conciliano le spese da nababbi con le disastrose situazioni dei bilanci delle società? Oggi noi ci facciamo ridere dietro da mezzo mondo come i ricchi scemi del calcio”, stava scattando la stessa foto del calcio italiano di oggi: la differenza è che i ricchi ora hanno le pezze al culo e definirli scemi è dir poco. Prendete la questione fondi d’investimento.

La notizia è che la Liga di Spagna, capeggiata dal presidente Tebas, ha raggiunto un accordo con Cvc Capital Partners, finanziaria inglese, per cedere al fondo il 10% delle quote, oltre ai diritti d’immagine per 40 anni, in cambio di 2,7 miliardi: soldi che verranno distribuiti ai 20 club in base ai ricavi televisivi. Anche se Real e Barcellona al momento fanno gli offesi, tuttora persi all’inseguimento del sogno Superlega, con la nuova ricchezza e i fuoriclasse che la Liga attirerà, l’appeal del calcio spagnolo aumenterà fin da subito. L’obiettivo: essere venduto a cifre molto più alte in tutto il mondo. La scoperta dell’acqua calda? Forse. Ma sapete chi aveva in mano l’identico progetto (diverso solo nella cifra d’ingresso di Cvc: 1,7 miliardi) approvato all’unanimità in prima battuta e poi tragicamente bocciato? Proprio loro, i ricchi scemi del calcio italiano. Quelli che oggi non hanno i soldi nemmeno per comprare Scaccabarozzi. Una telenovela che ha dell’incredibile.

28 settembre 2020. La Gazzetta dello Sport titola: “Agnelli e Zhang a Casa Milan. Inter, Juve e Milan alleate per l’ingresso di un fondo d’investimento nella gestione dei diritti tv della Serie A”. Si parla di un’offerta di Cvc di 1,625 miliardi: “I 3 club spingono per l’ingresso dei fondi, un passaggio in grado di dare una svolta allo sviluppo della Serie A, in particolare all’estero”. Tutto bene? Benissimo. Infatti il 19 novembre sempre la Gazzetta annuncia: “La A fa un salto nel futuro, la Lega all’unanimità dice sì ai Fondi: entrano 1,7 miliardi”. E spiega: “L’assemblea ha accettato all’unanimità l’offerta del consorzio Cvc-Advent-Fsi che entra con il 10% nella media company creata per gestire e commercializzare i diritti tv. Il closing arriverà tra qualche mese”. Fantastico, le pene finanziarie sono finite. E invece. Il 19 gennaio 2021, a sorpresa, la Gazzetta titola: “Florentino Perez nella sede Juve: tre ore di incontro con Andrea Agnelli” e parla di un confronto sull’“idea di creare una Superlega per incrementare i ricavi dei grandi club”. Quasi nessuno ci fa caso, ma dopo questo incontro Agnelli cambia di colpo idea sulla questione-fondi: tanto che il 7 marzo, spalleggiata da altri 6 club (Atalanta, Fiorentina, Inter, Lazio, Napoli e Verona) la Juve invia una lettera di diffida alla Lega Serie A annunciando la sua contrarietà all’ingresso dei fondi nella costituenda media company. Motivo non detto: una clausola nell’accordo impedisce l’adesione dei club di A a nuovi format tipo Superlega per 10 anni. E alla fine salta tutto, il fondo viene messo alla porta. E il 18 aprile nasce la Superlega. Che il giorno dopo è già morta. I 19 club di serie A restano a bocca asciutta e la Juve due volte a bocca asciutta.

E questa è la storia dei ricchi scemi d’Italia. Sempre meno ricchi. Sempre più scemi.

 

Quando “l’uomo nero” vende sogni e gioia, la politica da incubo sbiadisce

Sulla sconfinata spiaggia tirrenica, sotto il sole di mezzo pomeriggio, compare d’improvviso in lontananza un oggetto semovente. Sembra un’allucinazione felliniana, una variopinta nuvola terrena. Fantasmagorica, surreale. Chi stia seduto sul bagnasciuga ha perfino la sensazione di essere vittima di una trance onirica: l’oggetto si avvicina infatti senza che all’apparenza nulla o nessuno lo sospinga. Alto all’incirca due metri e mezzo o tre, e largo più di due, avanza mosso da una invisibile energia, annunciando un trionfo di colori al suo passaggio. Via via che arriva si distinguono macchie di arancione, fulgori di azzurro e blu, serpentine verdi, isole rosa e lilla, ritagli neri e chiazze rosse.

Un frullato cromatico come mai ne ho visti in vita mia, nemmeno ai carnevali più pittoreschi. Finché appare evidente che l’oggetto sta viaggiando su due ruote, di cui in un baluginar di geometrie spuntano ferri e gomme. Ma non ci sono né motori né pedali a farle girare.

Procedono invece sulla battigia sospinte da piedi e mani umane, se è vero che una figura d’uomo si indovina tra le cento mercanzie che prendono forma a ogni giro di ruota. E che svolazzano a destra e a sinistra con levità sublime. Si librano, ben irrorate di ossigeno, ampie piscine gonfiabili mescolate a salvagenti turgidi e di tutti i colori. Ai loro lati oscillano cavallucci marini di un metro. E tutto sormonta a sinistra un’aragosta gigante, verosimilmente destinata alla funzione di materassino. Mentre dalla parte anteriore del prodigioso caravanserraglio si impennano verso l’alto squali paffuti e bicolori.

Quando l’instabile e gigantesco parallelepipedo è a pochi metri, tutto si rivela nei dettagli. Ecco i pinguini, battellini pronti a solcare le onde. E sui lati le classiche confezioni magiche dell’infanzia, avvolte nella sempiterna reticella: secchielli, palette, innaffiatoi, formine verdi e gialle, setacci e palline. Pendono verso il basso i racchettoni con palle da tamburello. E lunghi bracciali esotici con scarpe della durata di una luna. Né mancano, perché sono davvero obbligatori, grappoli di palloni di ogni forma e sostanza e consistenza: gialli e neri, bianchi e azzurri, totalmente arancioni.

Quand’ecco che si avvicina una nonna con nipotino di due-tre anni: “Ce le ha le biglie per le piste?”. Accanto a lei il bimbo sbarra occhi da incantesimo. Il costumino a pantaloncini a quadri, il sogno nello sguardo. “Adda” (“guarda”), dice. Contempla tutto, come incredulo, poi indica la retina delle biglie, la riceve nelle mani come fosse un regalo del cielo, “dieci biglie, pensa!”, fa la nonna. Il bimbo le tocca felice. Arriva un altro bimbo un po’ più grande con il padre. Vuole la palla verde a rombi neri.

La sosta attira i piccoli fin lì immersi nella grande buca scavata a mano. Fuoriescono dalla loro (e innocua) grande opera di irrigazione e si riversano in festa verso quello sgangherato treno di poesia. Sulla battigia su cui i liquami marini lasciano i contorni della schiuma bianca delle onde, in mezzo ai segni della civiltà inquinata, volteggiano sogni purissimi grazie a quel trabiccolo che odora di infanzia e immaginazione.

Artefice di tutto, quell’uomo magro, rugoso e dalla pelle scura venuto da chissà dove con il suo impossibile carico di mercanzie. Non posso non pensare che un’estate non troppo lontana quelli come lui furono a furor di popolo indicati come portatori di nequizie e di violenza. Da arrestare a vista. Ne nacque una grande campagna di pulizia etnica balneare.

Vedo i bimbi assembrarsi felici intorno a lui, portatore del suo rarissimo bazar, e penso che, anziché di venditori ambulanti di ideologie, questo Paese e i suoi abitanti avrebbero un bisogno senza fine di venditori ambulanti di sogni, sogni veri. Basta contemplare questa minuscola, infinitesima città della gioia. Spiaggia batte politica 4-0.

 

“È giusto rinnegare gli amici no-vax? C’è chi crede alla scienza, altri a Red Ronnie”

“Io, come Jennifer Aniston: addio ai parenti complottisti”

Cara Selvaggia, ho letto che Jennifer Aniston ha deciso di tagliare i ponti con gli amici che hanno deciso di non vaccinarsi. Insomma, la protagonista di Friends che non è più tanto friendly… fa abbastanza sorridere. Il suo gesto però mi ha fatto riflettere tanto perché senza che me ne accorgessi la stessa cosa sta capitando anche a me da mesi e con grande stupore. Ti spiego.

Io mi sono vaccinato, ho scritto alcuni post su Facebook in cui spiegavo l’importanza di farlo. Ho perso mio nonno a marzo 2020, tra i primi a morire in un ospedale del Sud senza poter avere noi familiari accanto. Una tragedia immane di fronte alla quale tanti amici e conoscenti mi hanno espresso solidarietà. Telefonate, messaggi e tutto il resto.

Poi passa un anno e mezzo e comincio a vedere che alcune delle stesse persone che mi avevano espresso solidarietà, che mi avevano telefonato o “messaggiato”, iniziano a scrivere cose assurde sulle loro bacheche. Storie di reazioni avverse, 5g, microchip, dna e cazzate assortite. Io sto zitto. Non dico niente. Dopo un po’ alcune persone tra quelle che ho citato cominciano a scrivere sotto i miei post che “non ragiono” o “un covidiota anche tu!” o “sei una pecora!”. Al che ricordo a tutti che ho perso mio nonno morto di Covid in quattro giorni senza neppure poter dire addio alla donna con cui ha trascorso 52 anni della sua vita. Non ci crederai ma qualcuno arriva persino a insultarmi e a dirmi che strumentalizzo la morte di un anziano che sarebbe potuto morire anche per un’influenza o un ictus.

Morale: inizio a togliere l’amicizia a queste persone alcune delle quali sono più che conoscenti su Facebook. Una tra le più invasate è una mia cugina di secondo grado. Ebbene, sai cosa è successo? Che io questa mia cugina venuta anche al mio matrimonio sei anni fa, la incontro dal tabaccaio in centro. Lei era col marito, ovviamente entra senza mascherina, il proprietario della tabaccheria per fortuna la sgrida e lei se la mette borbottando. Quando mi vede mi saluta calorosamente, come se niente fosse. Lei, quella che qualche giorno prima aveva scritto sotto un mio post “cugino, sei andato fuori di testa anche tu assieme al gregge che abbassa la testa di fronte al ritorno del nazismo”. Io la guardo e mi giro dall’altra parte. Pago le mie cose e me ne vado. Lei lascia il marito dentro e mi segue chiedendomi perché non la salutassi. Al che le spiego che se mi dai del filo-nazista e della pecora dopo che è morto un nonno che conoscevi bene anche tu, poi non ho molta voglia di salutarti. Lei nega. Tiro fuori il telefono e le mostro il suo commento. Al che fa “vabbbbbeeeeeeè ma sui social i toni sono sempre un po’ forti, non penso che tu sia un nazista, però io il vaccino non me lo faccio e sbagli a cedere a questo ricatto anche tu, è un vaccino sperimentale”. Le ho risposto che per me il nostro rapporto era bello che chiuso e che per me quello che aveva scritto sui social era grave nei toni, ma era ancora peggio nella sostanza anche se la forma fosse stata diversa. Le ho ricordato che il nonno, nella sua ultima videochiamata dall’ospedale, ci aveva detto di stare attenti e di proteggere nostra nonna, di non farla ammalare. Le ho ricordato che per il nonno l’ultima preoccupazione prima di morire era stata la salute della donna fragile che aveva amato tutta la vita. Poi me ne sono andato, con lei che mi diceva “sei un pazzo esaltato”. Lei, a me.

E così ho fatto il conto, e ho capito che come Jennifer Aniston io ho tagliato i ponti con tante persone senza rendermene conto, perché mai riuscirò a ricucire i rapporti con chi non rispetta la memoria di mio nonno e con chi non protegge la vita di mia nonna. Avrò meno amici ma la verità è che erano tutte persone di cui ignoravo egoismo e ignoranza. Posso farne a meno.

Salvatore

 

Caro Salvatore, ci sono amici che non sono più amici, ristoratori da cui non andrò mai più a mangiare, parenti che mi hanno delusa profondamente e con cui parlo a fatica da mesi. Il Covid ci ha illuminati e rivelati. Per quel che mi riguarda, sono felice di conoscere meglio l’umanità che mi circonda e di poter selezionare con maggiore consapevolezza chi voglio avere al mio fianco, anche solo per il tempo di uno spritz. Ieri leggevo il post amaro di un ginecologo che raccontava come una paziente alla quale aveva fatto nascere due figli, gli avesse tolto l’amicizia sui social perché no-vax. Si chiedeva come fosse possibile che una donna che si è fidata di lui in un momento così delicato, della sua competenza, dei suoi studi, avesse perso improvvisamente fiducia perché raccomandava i vaccini .

Ecco, credo che questa faccenda dei vaccini abbia ridisegnato rapporti e amicizie, ora sappiamo con chi abbiamo a che fare. Da una parte chi si fida della scienza, dall’altra chi si fida di Red Ronnie.
Selvaggia Lucarelli

 

 

305 km da Norcia a Montecassino: l’Italia di mezzo nel cammino di San Benedetto

Cammini. Sostiene Gaetano Quagliariello: “Agli inizi era solo un’esperienza religiosa. Con il nuovo secolo si è laicizzata e in tanti si sono catapultati lungo quei sentieri e quelle strade, spinti dalle più diverse esigenze personali o ricerche interiori. Oggi il cammino di Santiago è affrontato prevalentemente da giovani”.

Un tempo la “strada” sessantottina della Beat Generation. Oggi il cammino di Santiago di Compostela, il più famoso, ma anche quelli italiani, come il cammino di San Benedetto, da Norcia a Montecassino. Ex ministro, oggi senatore di Coraggio Italia, il partito di Toti e Brugnaro, Quagliariello è un grande camminatore. Durante il lockdown pandemico “accumulare passi è stato il mio stabilizzatore: un modo per preservare l’equilibrio interiore”. Ma che cos’è un cammino? Un viaggio, un pellegrinaggio, una processione infinita, un deserto da attraversare? Un po’ di tutto questo e al tempo stesso niente di tutto questo. Non solo. Un cammino si può “leggere” a più livelli: spirituale, ambientale, antropologico, geografico, turistico, culturale e perché no politico.

Ed è proprio quello che ha fatto Quagliariello nel suo diario benedettino da Norcia a Montecassino intitolato baglionianamente Strada facendo. In cammino lungo i sentieri dell’Italia di mezzo (Rubbettino, 131 pagine, 13 euro). Tra i suoi compagni viandanti anche Antonio Polito del Corsera, a sua volta autore delle Regole del cammino (Marsilio, 2020). Da Norcia, in Umbria, a Montecassino, nel Lazio sono 305 chilometri lungo l’Appennino. Quagliariello la chiama, appunto, l’Italia di mezzo. E la sua riflessione è soprattutto politica. Riguarda la “ricostruzione” del Paese dopo il Covid con i tanti soldi del Recovery Plan: “Vi è l’impellenza di decidere se vogliamo un Paese popolato oltre misura in alcune megalopoli e sulle coste, con spazi interni che si trasformino sempre più nel regno di camminatori, ciclisti e motociclisti, oppure una distribuzione demografica più organica, nella quale alcune delle città e dei borghi più belli d’Italia riprendano vigore”.

E qui diventa decisivo il modo di governare lo smart working. Per la serie: una giovane coppia, avendo la possibilità di organizzare il proprio lavoro a distanza, “preferirebbe prendere una casa spaziosa in un bel palazzetto d’epoca nel centro di Tagliacozzo (in Abruzzo, ndr), o affitterebbe per un costo quasi doppio un bilocale nella periferia di Roma?”.

C’è poi una specificità benedettina del cammino: Quagliariello è un antico teocon vicino al cardinale Camillo Ruini. La sua prospettiva cattolica è decisamente ratzingeriana. E così ritorna il dilemma della nota Opzione Benedetto di Rod Dreher in cui si piega il santo “europeo” alla battaglia minoritaria dei clericali di destra contro il mondo, affermando il primato della Dottrina più che quello di Dio. Con il senatore di Coraggio Italia, c’è pure don Liberio Andreatta, già dominus dell’Opera Romana Pellegrinaggi, che allarga così la visuale antropologica: “L’uomo moderno è gelosamente chiuso nel proprio io, incapace ormai di abbandonarlo, incapace di compiere alcun esodo dalla propria casa, dalle proprie abitudini, (…), dai propri egoismi, dai propri nazionalismi”.

 

Caro Padellaro, stiamo ridefinendo il Servizio pubblico radiotelevisivo

L’utile articolo di Antonio Padellaro (“Cara Rai, dacci un format anti-pandemia” pubblicato da questo giornale il 7 agosto) solleva un problema, il compito del Servizio pubblico di fronte al protrarsi della pandemia, che è già al centro della nostra attenzione. Va detto che la Rai in questi terribili diciotto mesi ha offerto spazi larghissimi di informazione e approfondimento, anche critico, dei grandi temi sollevati da un evento così vasto e inatteso. Ma il protrarsi dell’emergenza sanitaria e le questioni legate alla campagna vaccinale impongono uno sforzo ulteriore in due direzioni. Anzitutto alzare ancora l’asticella della serietà e dell’attendibilità. Un grande Servizio pubblico multimediale come quello rappresentato dalla Rai ha il compito di rappresentare, nel dibattito pubblico anche acceso e attraversato da controversie e contraddizioni, un riferimento sicuro e affidabile non per la sua neutralità ma per la serietà delle argomentazioni e del linguaggio. Solo a queste condizioni il nostro lavoro può ricevere la fiducia e il riconoscimento che lo giustifica. In secondo luogo va ancor più ampliata la nostra capacità di ascoltare e di generare condivisione. A scanso di equivoci, non si tratta di cedere o aprire varchi a pretestuose e infondate polemiche antiscientifiche che danneggiano la convivenza civile. Ma proprio perché il completamento del percorso vaccinale è oggi di vitale importanza, bisogna trovare gli spazi e il linguaggio per dissipare (senza supponenza, certo) resistenze e diffidenze. Nell’attesa di definire eventuali nuovi spazi di palinsesto a quest’impegno dedicati, i programmi di informazione e di approfondimento già previsti sapranno orientarsi in questa direzione.

Del resto tutta la Rai è chiamata a confrontarsi con questa sfida che, al di là della drammaticità dell’evento che la genera, rappresenta anche l’occasione per una ridefinizione del Servizio pubblico radiotelevisivo.

 

Il j’accuse di Monti a Draghi, ma il disastro era prevedibile

Sul Corriere il senatore MMario Monti ha ricordato nei giorni scorsi le drammatiche vicende dell’estate 2011. Quando il Paese, sotto la precaria guida di Silvio Berlusconi e del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, rischiava di affondare nella tempesta dello spread, l’allora governatore uscente della Bce Trichet e quello entrante Draghi scrissero al governo italiano una controversa lettera che Monti, senza averlo fatto all’epoca, critica ora radicalmente. “Sotto il profilo del riequilibrio di bilancio — o dell’austerità, che per anni avrebbe reso più difficile la vita degli italiani e avvelenato il dibattito politico — la Bce peccò decisamente per eccesso… Nei confronti dell’Italia, quando nella lettera di agosto Trichet e il suo successore imposero, e il governo Berlusconi accettò, che per il nostro Paese, e solo per esso, l’impegno ad azzerare il disavanzo venisse anticipato dal 2014 al 2013. Il governo successivo (quello guidato da Monti dopo le dimissioni di Berlusconi) chiese che, a fronte della robusta manovra subito programmata, venisse consentita un’attuazione meno brusca, con l’obiettivo del pareggio riportato al 2014. I presidenti della Commissione europea e del Consiglio, consultati in via riservata, risposero di no: l’annuncio di un rientro meno veloce di quello imposto dalla Bce sarebbe stato preso malissimo dai mercati, il rischio di default si sarebbe ripresentato”.

Monti ci sta dicendo che il suo governo fece, in continuità col precedente, tutto quello che l’Europa, intesa come Bce e Commissione, ci chiedeva, tuttavia non credendoci completamente allora e per nulla ora. Si trattava di politiche fiscali fortemente restrittive, principalmente attraverso grandi aumenti di tassazione. Scrive ora Monti: “Guardando indietro a quella stagione, vi è oggi un consenso sul fatto che le politiche di bilancio volute dall’Ue e dal Fondo monetario internazionale siano state troppo restrittive e pro-cicliche, abbiano cioè aggravato la recessione in corso in quegli anni”. Ma non ci voleva molto a comprendere gli effetti nefasti di quelle politiche, del tutto prevedibili. Il 6 dicembre 2011 Il Fatto diede questa valutazione della prima manovra del governo Monti: “Centrata ancor più di quelle di Tremonti su aumenti di entrate rispetto a riforme in grado di risparmiare sulla spesa, ha conseguenze depressive pericolose, accentuate dall’essere rientrati in una fase recessiva”.

L’economia italiana, la sua capacità produttiva e la sua finanza pubblica non si sono mai completamente riprese e non hanno mai colmato il gap generato con quelle tragiche decisioni. Il disavanzo pubblico non è stato eliminato nel 2013 né in seguito e il suo valore più basso in rapporto al Pil è stato conseguito dal governo Conte nel 2019. Le manovre sconsiderate del 2011, dettate da una miope Europa, ne hanno rallentato la discesa anziché accelerarla. Nel 2010, grazie a un ritorno alla crescita, il deficit/Pil era migliorato di nove decimi e l’anno seguente di sei. Nel triennio 2012-14, in cui si sono manifestati gli effetti delle manovre del 2011, il miglioramento è stato in totale di soli sei decimi.

Quelle manovre avrebbero dovuto mettere in sicurezza la finanza pubblica, ma l’hanno peggiorata. Il rapporto debito/Pil, che avrebbe dovuto migliorare se si fosse arrestata la crescita nominale del debito col pareggio di bilancio, non solo nel 2012-14 ha continuato a crescere ma lo ha fatto a una velocità molto più elevata. Dopo la recessione del 2008-09, che aveva fatto salire il rapporto di 13 punti di Pil, la successiva ripresa, ancorché debole, aveva permesso nel 2009-11 di contenerne l’aumento in soli tre punti. Invece dal 2011 al 2015 è peggiorato di altri 16 punti. Le manovre del 2011 hanno prodotto una recessione auto-indotta quasi identica alla recessione causata dalla crisi finanziaria del 2008-09: nella prima il calo del Pil reale fu del 7,5% e in gran parte era inevitabile; nella seconda crisi il calo fu del 5,3% ed era evitabile. La seconda crisi è stata peggiore per le ripercussioni di lungo periodo. L’economia italiana non si è mai completamente ripresa e il Pil reale non è mai riuscito a tornare al livello del 1° trimestre 2011.

E se nel 2011 non si fosse fatto nulla? Un’ipotesi, prudente, è una crescita economica pari alla metà di quella tedesca, come si era verificato tra la fine della recessione e la metà del 2011. Se questa condizione si fosse protratta sino al 2019, avremmo avuto nell’anno pre-pandemia un Pil nominale più elevato di 130 miliardi e un gettito fiscale maggiore di almeno 50 miliardi. Gran parte dei problemi dell’economia italiana esistenti all’arrivo del Covid derivano dalle cattive scelte del 2011, che non sembrano essere state adeguatamente imputate a chi le decise.