Ma mi faccia il piacere

Scherzi telefonici. “Per il Quirinale, sulla carta, noi il candidato l’abbiamo già. Ho appena sentito Berlusconi ed è in gran forma” (Matteo Salvini, segretario Lega, Corriere della sera, 6.8). Fantocci, è lei?

La riforma delle pagelle. “Gli europei votano i leader. Prima Merkel, poi Draghi. Gli unici a prendere la sufficienza piena” (Corriere della sera, 2.8). Poi leggi l’articolo e scopri che Draghi ha preso 5,73: per Lui, la sufficienza piena parte dal 5.

Candido. “Palamara: ‘Destra o sinistra, mi candido alla Camera. Parto dal basso’” (Corriere della sera, 7.8). In effetti, più dal basso di così era difficile.

Premio Stakanov. “Cerco di restituire con l’attività politica una parte della fortuna che il buon Dio e gli italiani mi han dato, e spero di meritarmi lo stipendio che mi pagate, vi dico grazie” (Salvini dal Papeete Beach, 31.7). Sì, però vedi di non affaticarti troppo.

Il Ponte del Merlo. “Ponte sullo Stretto, cinque arresti: così la mafia puntava agli appalti” (Repubblica, 11.2.2005). “L’intossicazione ideologica mi sembra ormai marginale. E dunque aggiungerei che non c’è mai stato un momento migliore per farlo” (Francesco Merlo sul Ponte sullo Stretto, Repubblica, 6.8). Draghi lava più bianco che più bianco non si può.

Il mafiologo. “Le mafie dicono no alle opere che creano lavoro e portano sviluppo. La criminalità organizzata preferisce dire di no al Ponte sullo Stretto e sì al Reddito di cittadinanza” (Matteo Renzi, segretario Iv, 7.8.2021). Cosa Nostra e ‘ndrangheta annunciano querela per calunnia.

Il tossicologo. “Libero De Rienzo è stato de facto ucciso da un pusher extracomunitario del Gambia, da uno dei ‘suoi’. C’è tanto di quel dolore in quest’esito che attraversarlo indenni è impossibile” (Mario Adinolfi, leader Popolo della Famiglia”, Twitter, 28.7). Resta da capire come ci si possa ridurre così senza nemmeno un pusher.

Specchio riflesso. “Il Fatto Quotidiano, con la consueta ferocia, ha attaccato Renato Farina, nostro prestigioso collaboratore… Sappiano quegli sciacalli che noi siamo orgogliosi di ospitare la firma di Renato, che in quanto a collaborazioni improprie… è un dilettante rispetto a tanti colleghi legati a doppio filo non solo con i Servizi ma pure con magistrati e politici. Guardatevi allo specchio e fatevi schifo, giornalisti faziosi e dalla doppia morale” (Alessandro Sallusti, Libero, 7.8). Scusa, per curiosità: ma ti sei mai visto?

Mia Eccellenza. “… La Voce Repubblicana, un giornale politico – mai solo un giornale di partito – che formò alcuni eccellenti giornalisti…” (Stefano Folli, Repubblica, 3.8). Tipo Stefano Folli e il suo direttore Maurizio Molinari. A riprova del fatto che non solo i gatti si leccano il culo da soli.

Vedi sopra. “Di Maio lo stabilizzatore… tanto da proporsi agli occhi di Draghi, e in sostanza a quelli di Mattarella, come il garante della stabilità da oggi fino alla fine dell’anno” (Stefano Folli, Repubblica, 5.8). Sono soddisfazioni.

Bruti Cartabiati. “La riforma della giustizia è fatta, certi allarmi erano ingiustificati anche se alcune scelte sono criticabili. Nella magistratura prevale l’impegno ad attuare i cambiamenti. La fase transitoria sarà decisiva. Ora rimboccarsi le maniche” (Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore di Milano, Foglio, 4.8). Ma soprattutto rimboccarsi le lingue.

Il Mago do Rinascimiento. “È un Rinascimento Italiano? Forse sì. Sport e non solo, l’Italia vive un momento magico” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 4.8). Per non parlare del giornalismo.

Nun ce lassà. “Una richiesta a Mattarella perchè accetti un reincarico pieno – formulata per tempo e giustificata dall’eccezionale emergenza sanitaria ed economica – sarebbe un grande segnale di maturità e di unità nazionale delle forze politiche” (Ferruccio De Bortoli, Corriere della sera, 1.8). In effetti confessare che, su 950 parlamentari e 60 milioni di italiani, non ce n’è uno in grado di dire quattro banalità a Capodanno, tagliare qualche nastro e baciare qualche bambino, è proprio un bel segnale.

Il titolo della settimana/1. “Una classe politica cleptomane sta tenendo in ostaggio il Paese” (Stampa, 2.8). Si sperava che La Stampa avesse capito la riforma Cartabia. Invece parlava del Libano.

Il titolo della settimana/2. “’Fare luce su Gladio e Loggia P2′. L’impulso di Draghi alle indagini” (Stampa, 3.8). Quando basterebbe un colpo di telefono all’alleato B.

Il titolo della settimana/3. “Franco Di Mare: ‘Ecco la mia Rai3, raffinata e colta, ma mai elitaria’” (Repubblica, 5.8). Uahahahahahahah.

Il titolo della settimana/4. “Due pesi, due misure. Zingaretti passa per vittima. Ma se fosse il ko informatico successo a Fontana in Lombardia…” (Libero, 5.8). Il ko informatico nella Lombardia di Fontana è successo nel primo mese di non-vaccini, ma senza bisogno degli kacker.

Il titolo della settimana/5. “Simonetta Matone: io punto sui termovalorizzatori” (Corriere della sera-cronaca Roma, 5.8). Pure noi.

Libri in Mostra: il cinema senza idee scopiazza Balzac

Ciak, si (ri)legge. Che sia mancanza di idee originali – dopo 45 anni di autarchica carriera ha capitolato pure Nanni Moretti pescando da Eshkol Nevo Tre piani – o semplicemente di idee migliori, il cinema va sul sicuro o, più esattamente, sull’usato sicuro: adattamenti, trasposizioni, riduzioni, la terminologia varia, il copia (dalla carta) & incolla (sullo schermo) impera, anche laddove l’Arte cinematografica vuole la sua parte.

Dal 1° all’11 settembre, la 78esima Mostra di Venezia non lesinerà sul déjà-lu, con titoli dal sapore cartaceo chiamati a trasmutare lettori in spettatori. C’è l’imbarazzo, e non esclusivamente della scelta. Tra déjà-lu e déjà-vu combatte l’atteso Dune di Denis Villeneuve, con Timothée Chalamet quale Paul Atreides: adattando il libro (1965) di Frank Herbert, si confronterà con il cult di David Lynch (1984) e l’incompiuta di Alejandro Jodorowsky (il doc Jodorowsky’s Dune di Frank Pravich arriverà in sala il 6 settembre). Per il ritorno dietro la macchina da presa di Jane Campion a 12 anni di distanza da Bright Star non si dovrà fare confusione: targato Netflix, interpretato da Benedict Cumberbatch e Kirsten Dunst, The Power of the Dog non trasla Il potere del cane di Don Winslow, bensì Il potere del cane di Thomas Savage. Del resto, che c’azzeccherebbe la raffinata regista neozelandese con i cartelli della droga di Winslow? Al Lido ci sarà un posto al sole d’antan per Balzac, il cui capolavoro Illusions perdues (1837 – 1843) troverà il trattamento Xavier Giannoli, mentre gli italiani puntano sugli scrittori contemporanei: Edoardo Albinati con La scuola cattolica per la regia di Stefano Mordini e il Robertò Andò uno e bino (penna e camera) de Il bambino nascosto. Poi, la fenomenale – o fenomenica? – Elena Ferrante: La figlia oscura (2006) alimenta l’opera prima dell’attrice americana Maggie Gyllenhaal, con Olivia Colman Leda. Sempre derivativa, ma non letteraria è la serie Scenes of a Marriage che l’israeliano Hagai Levi (The Affair, In Treatment) ha mutuato dal caposaldo bergmaniano, sempre valida rimane la domanda: i libri salveranno il cinema dal blocco dei soggettisti? Di certo, la via è stretta, la traduzione labile, il futuro incerto: Hbo ha recentemente cancellato The Days of Abandonment, l’adattamento de I giorni dell’abbandono della Ferrante causa indisponibilità della protagonista Natalie Portman. E mo’?

“Baudo che sposta i fiori. Lo stress di Gianni Morandi. E il genio assoluto di Dalla”

La scelta della vita chiusa in un dialogo, un’alba del 1977. “La notte ero tornato tardissimo: avevo suonato. Ma i corsi di Architettura iniziavano alle 8.30. Quindi avevo dormito poco, mi stavo preparando ed ero brusco per il ritardo. Davanti alla porta mi ferma mio padre: ‘Prima di uscire devi rispondere a una domanda’. ‘Dimmi’. ‘Se ti laurei, poi fai l’architetto?’. ‘No’. ‘E allora perché continui?’. ‘Per te’. ‘Sei pazzo? non ti ho mai chiesto una prova del genere’. ‘Sì, quando ero bambino’. ‘Quelle sono cose che si dicono!’. ‘Mi sto facendo in quattro per non mollare nulla’. Silenzio. Pausa. E poi: ‘Oggi non ci vai, stai a casa: meglio se rifletti sul tuo domani e decidi dove indirizzare le energie’”.

Beppe Vessicchio ha ascoltato l’armonia di quelle parole, le ha posizionate come note sullo spartito dell’esistenza e ha deciso di cambiare il suono del suo futuro; oggi è uno dei grandi esperti di musica, è un maestro, osannato a Sanremo come una star, inseguito dai cantanti per ottenere un giudizio obiettivo su un nuovo pezzo; è stato uno dei giudici più ricercati nei talent e adesso è il Direttore musicale all’Art Village di Roma, sotto la direzione artistica di Luciano Cannito. “Ai giovani intendo trasmettere i valori della polifonia del passato per poi produrre idee da ricollegare a quello che siamo stati e siamo. E soprattutto: insieme”.

Il confronto è importante.

La musica elettronica è molto solitaria, è vissuta nelle stanzette, mentre gli strumenti classici obbligano al confronto: quell’incontro permette a ognuno di riflettere e crescere.

In questi anni da quale confronto si è sentito arricchito?

Lucio Dalla: quando è venuto a mancare ho pensato “e ora chi mi stupirà?”. Lui ha sempre cambiato, non si è mai ripetuto, altrimenti si sarebbe annoiato. Aveva un’apertura mentale non comune.

Esempio.

Attenti al lupo è il brano trainante dell’album Cambio, non è un pezzo suo ma di Ron: se un grande paroliere come Dalla dava spazio ad altri, era segno di un artista che non cedeva all’ego.

I talent hanno accentuato o ridotto la capacità di ascolto e di approfondimento?

Voglio vedere la bottiglia mezza piena, vista l’esistenza di Emma, Alessandra Amoroso, Marco Mengoni o i Maneskin; mi dispiace solo il modo in cui i ragazzi vivono il desiderio di partecipare: chi viene bocciato attende un anno per riprovare, ma nel frattempo non approfondisce la materia.

È una star di Sanremo.

Ho solo attraversato gli anni e le generazioni e non mi sono mai tirato indietro davanti alle novità. Poi ho affrontato tante edizioni mantenendo la mia barba e la mia capigliatura.

Da quanto porta la barba?

Mia moglie non mi conosce senza; (sorride) stiamo insieme dal 1977 e ora siamo bisnonni.

A quel tempo, com’era?

Dal punto di vista dell’immagine ero molto hippy, con la fascetta nei capelli, quasi ai margini del perbenismo sociale.

I suoi cosa ne pensavano?

Preoccupati; erano gli anni dell’eversione: a un certo punto mio padre temette che appartenessi a gruppi come le Brigate Rosse. Ovviamente si sbagliava, scappavo solo per suonare.

Non era uno scapestrato…

Assolutamente! Ero un amante della natura, ero un figlio dei fiori.

Tipo Hair.

Esatto, eravamo presi da questa fratellanza e sorellanza, sentivamo una necessità di collegamento anche con la natura.

Napoli di quegli anni era il massimo dal punto di vista musicale.

Stimoli spaventosi: gruppi rock, etno-rock, poi c’erano Pino Daniele, Napoli Centrale, Eugenio ed Edoardo Bennato, Teresa De Sio, Carlo D’Angiò; era un lievito potentissimo.

A chi era legato?

A Eugenio: era uno sperimentatore, un folle, cambiava sempre idea.

Con Pino Daniele percepiva il genio?

Era lampante; (ci pensa) è stata la persona in grado di raccogliere tutti gli umori e le sperimentazioni del periodo; il genere che Pino ha magistralmente portato avanti già esisteva con Enzo Avitabile, ma lui ha captato le forze, le ha coniugate e rese vincenti; il suo primo disco ognuno di noi lo ha comprato e ascoltato attentamente.

Secondo James Senese, Pino Daniele non era molto amato.

Qualche invidia è scattata, ma poi tutti sono stati costretti a riconoscere la sua maestria, anche come interprete.

Lei stava ancora a metà tra musica e Architettura…

Sì, fino alla domanda a bruciapelo di mio padre.

Un grande genitore.

Straordinario. Se non ci fosse stata quella mattina credo che sarei andato avanti, perché cerco sempre mediazioni: è lo spirito armonico a guidarmi, e ha condizionato la mia vita; (sorride) da quel momento mi ha liberato.

Quanti esami ad Architettura?

15: ero a buon punto.

Media?

Non era male, intorno al 26-27.

Studioso.

Non ho mai avuto problemi.

Questione di metodo.

Come sosteneva Rousseau, la musica è architettura liquida.

Oggi in molti le chiedono consigli…

Perché il mio parere è disinteressato e a volte può mettere in difficoltà: esprimo tutto quello che penso.

Si offendono?

Qualcuno cerca di difendersi, si chiude. Ma ogni volta insisto: “Se sei convinto del tuo lavoro, non ascoltare il mio giudizio. Se invece ti arriva il dubbio, allora il mio consiglio ti è servito”. Non bisogna mai legarsi troppo allo sforzo fatto: ricominciare da zero è un atto di coraggio.

Ha recitato in un cult-movie: Giggi il bullo

Certe scene me le mandano di continuo gli amici.. Mia moglie quel periodo se lo ricorda benissimo….

Cosa accadeva?

Lavoravo con dei comici, I Trettré, ed ero il musicista del gruppo: a un certo punto andarono via dei componenti e mi ritrovai a supplire in parti di recitazione. La situazione si doveva sanare presto, ma per questioni economiche siamo andati avanti così: dividevamo in meno persone la paga.

Fino a quando…

Arrivarono inviti a partecipare a progetti come quel film, e nel frattempo continuavo con la musica; una volta ero impegnato con I Trettré, ma avevo pure un appuntamento musicale, così gli altri musicisti mi hanno aspettato fuori dal teatro con il motore acceso.

Sembra una rapina.

Una volta in macchina siamo schizzati come folli verso Roma.

Come si trovava nelle vesti di cabarettista?

Mi rifugiavo dietro l’immagine di uno stralunato, ed è la chiave di chi non è attore: con barba e capelli assomigliavo ad Andy Luotto ai tempi di Arbore.

Le piaceva la ribalta?

È stata utile, ma a un certo punto ho sentito il rigetto: stavo utilizzando una fase importante della vita con impegni non giusti. Così come le donne di servizio, chiesi i trenta giorni e me ne andai.

I Trettré divennero famosi al Drive in

Io ero felice per loro, ma non avrei sopportato quel tipo di clamore: avrebbe totalmente bloccato le mie aspirazioni. Volevo occuparmi di musica in maniera profonda.

Sempre.

Durante il lockdown ho sfruttato il tempo per studiare anche la polifonica vocale del 600.

Sanremo non l’ha allontanata dal suo ruolo?

È vero. Però temo pure la muffa sui libri, l’aria di chiuso. Quando mi spingo verso un estremo, per bilanciarmi devo percorrere l’altro.

Il Festival viene spesso raccontato come un luogo di grande stress…

Per me no; (sorride) tanto ci posso tornare anche l’anno dopo, mentre gli artisti ne sentono l’importanza, sentono la precarietà del sistema e la tensione è sempre alta; (cambia tono) solo Elio e le Storie Tese sono andati lì per giocare e divertirsi.

Gli altri…

Ho sentito le mani ghiacciate di persone che hanno sempre mostrato grande sicurezza.

Tipo?

Ho visto la tensione anche in Gianni Morandi: lui che è il più navigato, che non stona neanche se gli dai una martellata, prima di entrare era avvolto dall’ansia.

Chi altro non stona mai?

Mia Martini: ne La nevicata del ’56, con la sua voce e la sua espressione, ha guidato tutta l’orchestra, anche le mie mani erano mosse da lei.

Impressionante.

Non mi è più successo; nessuna artista è stata più trasversale di Mimì; (ci pensa) di Mina non possiamo dirlo, si è eclissata da troppi anni.

Come viveva la storia della iella?

Ancora non la conoscevo di persona e un giorno entro in uno studio musicale: davanti trovo una figura riparata da una felpa con cappuccio. Dopo un po’ la riconosco e all’improvviso ho percepito tutti i danni procurati da quella vergognosa situazione. Io ero un suo cultore.

Glielo disse?

Mi presentai come fan, senza rivelarle che ero un musicista.

Perché?

Non volevo inquinare il senso della frase, non volevo che pensasse che dietro ci fosse un secondo fine; (pausa) tempo dopo abbiamo collaborato per un anno, è stato bellissimo.

Il conduttore più preparato di Sanremo?

Ho visto Pippo Baudo sistemare i vasi dei fiori all’ingresso dell’Ariston.

Attento.

Come lui nessun altro; a Roma era presente anche alle prove dell’orchestra, a sottolineare la totale immersione nel Festival; un anno ha corretto pure il finale di Con te partirò di Bocelli, e in altri casi ha cambiato introduzioni troppo lunghe dei brani.

Ci prendeva?

Visti i risultati, visti gli artisti usciti dai suoi Sanremo…

Consigli per le canzoni: cosa intonare sotto la doccia…

La gatta di Paoli: mi mette il buon umore.

In viaggio…

Hotel California.

Falò.

La canzone del sole: con tre accordi permette anche ai novizi la loro porca figura.

Qualcosa di sexy.

Je t’aime moi non plus è un brano ancora evocativo di una certa trasgressione.

Chi è lei.

Un uomo che si occupa di musica.

Orgasmi, pillole blu e muse: tutto esiste per finire in una gag

Quando sei incinta, c’è un sacco di gente che vuole darti consigli non richiesti. Ero di nove mesi, e una donna mi fa: “Ho un consiglio per lei: epidurale”. E io: “Oh, grazie, ma abbiamo già scelto il suo nome”. (Bonnie McFarlane)

LA PRASSI DIVERTENTE COME PARODIA

Questo nostro ruzzolone nella tana del Bianconiglio cominciò un anno fa con una teoria semplice e utile della prassi divertente: ogni gag (linguistica, gestuale, iconica, plastica, musicale, filmica, &c.) non è che la versione parodistica di atti fisici e linguistici neutri. Un atto neutro è un atto pertinente al suo contesto, la parodia lo traduce in un atto non pertinente. L’incongruità rispetto al contesto (marcatezza) è un parametro correlato a tutti gli aspetti comunicativi e sociali, e nelle 60 puntate successive abbiamo visto per quali motivi, a quali condizioni e con quali procedimenti la marcatezza ha un effetto divertente. (Sullo spettacolo comico come rito che eufemizza il sacrificio del capro espiatorio cfr. Qc 1.) Poiché la specie umana condivide le facoltà cognitive, psichiche, linguistiche e sociali; e ogni uomo condivide con altri i codici della propria sociocultura, che “governano il linguaggio, gli schemi percettivi, gli scambi, le tecniche, i valori, la gerarchia delle sue pratiche, e definiscono gli ordini empirici con cui ha a che fare” (Foucault, 1966); ogni essere umano può essere addestrato alla prassi divertente, ovvero può imparare i procedimenti metabolici (aggiunzione, sottrazione, sostituzione, permutazione) con cui tradurre: 1) atti neutri in gag, cfr. Qc #11 (e viceversa: la neutralizzazione è una forma di traduzione intrasemiotica che può avere un effetto divertente per il fenomeno dello scarto dallo scarto, cfr. Qc #16, di cui è un esempio la meta-comedy inaugurata da Mel Brooks negli anni 50 e ripresa 20 anni dopo da Andy Kaufman, cfr. Qc #52); 2) gag in altre gag (adattamento, nel gergo dei comici Usa switcheroo: Bob Hope, elogiando uno dei suoi autori, Al Boasberg, scrive che “sapeva ricordare le battute, sistemarle, adattarle, improvvisarci su, e anche crearle”); 3) gag di una specie (per esempio, verbale) in gag di altre specie (gestuale, iconica, plastica, musicale, &c.) (traduzione intersemiotica); 4) gag da una sociocultura a un’altra (traduzione interlinguistica, cfr. Qc #11).

Come ogni competenza, anche quella divertente è professionale quando, con la pratica e con lo studio, diventa abilità procedurale, cioè automatismo.

LA CREAZIONE DI UNA GAG COME ABILITÀ PROCEDURALE

Tutto, al mondo, esiste per finire in una gag. Crearne una comporta, in ipotesi, due passaggi. Con il primo, pre-espressivo, il comico trasforma un atto neutro in una assurdità mentale (tema, idea, trovata, invenzione); col secondo trasforma il tema nella sua espressione divertente (gag, variazione). Il tema può anche essere descritto con un giro di parole (traduzione intrasemiotica), ma in questo caso l’effetto divertente è minimo: al giro di parole manca la tecnica della gag, che serve a nascondere, fino al momento giusto, e nel modo migliore, la sorpresa che contiene. E’ il motivo per cui la parafrasi di un joke fa ridere poco o niente. (L’elemento sorpresa potenzia ogni effetto psicologico. Analogamente, una metafora è diversa da una similitudine: l’avverbio “come” riduce la sorpresa con cui l’immagine colpisce la coscienza). Il passaggio dall’invenzione all’espressione può essere immediato, o richiedere tempo. Lo stand-up comedian, di solito, prova diverse variazioni di una nuova gag davanti al pubblico, nell’arco di mesi, allo scopo di ottenere le informazioni che gli servono per migliorarla fino alla versione più efficace. “Do alle donne due tipi di orgasmo: finto, e nessuno” (Adam Carolla). A volte, invece, una gag improvvisata nasce già perfetta, poiché il comico professionista, con la pratica, automatizza certi circuiti cerebrali, trasformando il sapere consapevole in abilità esecutiva. Lo “stato di grazia” provato dagli artisti e dagli atleti consiste in questo agire procedurale, in questo controllo non cosciente (Salmon, 2018). Allo stesso modo, dopo un po’, guidiamo l’auto senza pensarci: l’insegnamento dell’istruttore e l’apprendimento per tentativi ed errori si sono trasformati in automatismi. Così accade quando parliamo (Kandel, 2007). L’acquisizione delle procedure conversazionali avviene per immersione sociale, nell’infanzia, attraverso imitazione, ripetizione, tentativi ed errori: abbiamo l’abilità innata di imparare a parlare (fonazione, intonazione, lessico, enunciati) senza conoscere le regole morfologiche e sintattiche che applichiamo. L’abilità procedurale del traduttore intersemiotico e del traduttore interlinguistico non è diversa da questa abilità intralinguistica, con cui sappiamo dire in vari modi più o meno una stessa cosa.

La creazione di una gag è piacevole, nell’istante in cui il comico la assapora dopo l’invenzione: ne resta quasi sorpreso, poiché la coscienza non riesce a registrare la maggior parte dei calcoli, rapidi e complessi, che il cervello esegue per produrre idee e affrontare situazioni. Non a caso i Greci parlavano di muse: un’idea ci sembra sempre arrivare da fuori, donata chissà da chi, ma questa illusione è creata dal cervello, poiché è inconsapevole dei suoi meccanismi, cioè dei pattern di miliardi di neuroni che: calcolano in parallelo; possono essere formati, modificati ed esercitati fino all’automatismo; e sono dotati di sistemi di auto-apprendimento, auto-correzione e rinforzo (Qc #13 & 14). Una parola accende uno schema associativo che viene compreso in un quinto di secondo, cioè quando la parola non è stata ancora pronunciata del tutto (Pinker, 1999). Il 98% dell’attività cerebrale è inconscia (Gazzaniga, 1998).

Rispetto all’artista, il pubblico fa il percorso inverso: con una retroversione mentale, riporta la gag all’atto neutro (e ne ricava piacere: per questo paga il biglietto o il libro). Anche questa operazione cognitiva è un’abilità procedurale di cui è capace ogni cervello umano, previo addestramento. Il grado di addestramento varia secondo l’età e la cultura: per questo, fra l’altro, c’è chi coglie certe sfumature ironiche e chi no. L’esposizione alla comicità complessa, quella che spazia dal comico allo spiritoso all’umoristico, e che fonda la sua finezza su pattern intertestuali e intrastestuali (la ricorrenza di immagini e motivi, e di parole dalla collocazione contagiosa), educa il gusto, dell’artista e del pubblico: è la pillola rossa. Una dieta di cazzate radiotelevisive o web non educa a gustarsi Aldo Buzzi o Pinter: è la pillola blu.

(67. Continua)

Isis, parte dal Mozambico la nuova leva di estremisti

La diplomazia statunitense aggiorna la sua mappa del terrorismo internazionale e mette nella lista dei “terroristi globali” cinque leader di gruppi jihadisti in Africa: Sub-Sahara e Corno d’Africa fanno – com’era prevedibile – la parte del leone tra Mali e Somalia, ma il primo della serie è Bonomade Machude Omar, che guida lo Stato Islamico in Mozambico. Una prova in più del fatto che la sconfitta dell’Isis tra Siria e Iraq non ne ha eliminato la minaccia, ma l’ha solo ‘polverizzata’ su un arco territoriale più vasto dall’Afghanistan all’Africa, anche là dove la presenza jihadista era, in passato, modesta. L’aggiornamento della lista è annunciato sul sito del Dipartimento di Stato dal segretario di Stato Antony Blinken. Omar guidò in marzo il sanguinoso attacco all’Hotel Amarula, nella città di Palma. In quell’azione, gli jihadisti fecero una dozzina di morti, decapitarono residenti e devastarono edifici, costringendo oltre 800 persone ad abbandonare le loro case. Omar è pure ritenuto autore d’altri attacchi in Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, e in Tanzania, nell’area di Mtwara. Gli altri quattro nuovi terroristi globali sono Sidanag Hitta, alias Abu Qarwaniand Abu Abdelhakin al-Kidali, “comandante responsabile della regione di Kidal in Mali del Gruppo di supporto all’Islam e i musulmani” e Salem Ould Breihmatt, alias Abu Hamza al-Shanqitiand Hamza al-Mauritani, “leader del Gruppo ed emiro di Arbinda e Serma nella regione di Mopti in Mali e pure responsabile della supervisione del Gruppo in Burkina Faso”, un esperto d’esplosivi; Ali Mohamed Rage, alias Ali Dheere, “portavoce di Al-Shabaab e leader del gruppo”, che ha pianificato attacchi in Kenya e in Somalia; e Abdikadir Mohamed Abdikadir, alias Ikrima, esponente dello stesso gruppo. Gli Stati Uniti vogliono “interrompere i flussi di finanziamento dell’Isis in Mozambico, del Gruppo e di Al-Shabaab”. Blinken avverte che “qualsiasi istituto finanziario straniero che faciliti consapevolmente una transazione significativa o fornisca servizi finanziari significativi” ai cinque nuovi “terroristi globali” sarà soggetto a sanzioni.

Elezioni, ai coniugi Ortega piace vincere senza rivali

Ormai è un dato di fatto: la coppia presidenziale, che guida ininterrottamente il Nicaragua dal 2007, non vuole rivali alle elezioni del prossimo novembre ed è disposta a tutto pur di mantenere il potere. Il presidente Daniel Ortega, ex leader del movimento sandinista che nel 1979 rovesciò il dittatore Anastasio Somoza, sostenuto dalla moglie Rosario Murillo, già nominata dal marito vicepresidente cinque anni fa, si è trasformato in uno dei più spietati dittatori del pianeta. Quella degli Ortega non è altro che una dittatura familiare che sfrutta il proprio passato di sinistra assieme alla retorica anti-americana per giustificare la violenta repressione delle proteste di piazza avvenuta tre anni fa.

All’epoca, l’uomo che sconfisse i paramilitari somoziani “Contras”, sostenuti dagli Stati Uniti, e la moglie poetessa, figlia dell’élite latifondista, non ascoltarono le richieste dei nicaraguensi, ridotti alla miseria da anni di esercizio rapace e corrotto della cosa pubblica. Anzi, alla domanda di un’equa distribuzione delle ricchezze, di servizi pubblici decenti e di un piano per l’occupazione, gli Ortega risposero mandando le squadre antisommossa a bastonare, uccidere e incarcerare chi li aveva votati, confidando nel loro passato “comunista”.

Ieri il Consiglio elettorale del Nicaragua, costituito da fedelissimi del clan Ortega, ha estromesso il partito di opposizione dato per vincente nei sondaggi sulle consultazioni. Il consiglio ha ordinato “l’annullamento dello status giuridico del partito Cxl, “Cittadini per la Libertà”, in seguito a una risoluzione del Tribunale.

Nel testo della risoluzione si dichiara che il partito di opposizione stava compiendo “atti verbali che minano l’indipendenza, la sovranità e l’autodeterminazione del Nicaragua”.

A quanti, specialmente all’estero, ancora si illudono che gli Ortega, con i loro 7 figli incardinati nei gangli vitali dello Stato, facciano tutto questo per difendere il paese dai tentativi di golpe dei “capitalisti” americani (nei comizi la coppia presidenziale sbandiera sempre questo spauracchio), va ricordato che il Plc, Partito liberale costituzionalista di destra, il più grande partito di opposizione in Parlamento, ha dichiarato di sostenere il governo in questa richiesta di mettere del tutto fuori gioco il Cxl . In una dichiarazione sui social media, il Cxl ha dichiarato: “Queste azioni del regime mostrano quanto teme un percorso elettorale basato sul senso civico”. All’inizio della settimana, la polizia ha inoltre messo agli arresti domiciliari la candidata alla vicepresidenza del partito, Berenice Quezada.

Ortega si candida dunque per il quarto mandato consecutivo con la moglie senza più rivali. Le autorità avevano già arrestato nei mesi scorsi sette candidati alla presidenza. Il leader sandinista, che aveva già governato il Nicaragua dal 1979 al 1990, con il tempo ha cercato di riposizionarsi come un politico pragmatico favorevole al mercato libero. A causa del giro di vite in atto, gli Stati Uniti hanno imposto restrizioni sui visti a 50 persone, in primis alla vicepresidente Murillo, a parenti di legislatori, pubblici ministeri e giudici nicaraguensi, tutti legati all’entourage di questa coppia che ricorda sempre più i Ceausescu. La restrizione del visto include anche la moglie di Ortega, Murillo. Anche l’Unione europea, lo scorso 2 agosto, aveva imposto sanzioni alla first lady e ad altri sette alti funzionari accusati di gravi violazioni dei diritti umani e di minare l’assetto democratico del Paese, uno dei più poveri al mondo.

“Eravamo le Pussy Riot e ancora le cantiamo a Putin e alla sua cricca”

Il braccialetto elettronico con cui la polizia russa controlla che non violi gli arresti domiciliari, Masha Alekina, una delle tre Pussy Riot che nel 2012 cantarono contro il presidente Putin nella cattedrale di Cristo Salvatore, è nero e stretto. Nata a Mosca nel 1988, la ragazza che fa parte del collettivo politico punk divenuto celebre in tutto il mondo da quell’esibizione avvenuta nell’anno della terza rielezione del presidente al Cremlino, è entrata e uscita molte volte dalle prigioni russe: “Adesso sono chiusa in casa da mesi, non ho diritto nemmeno all’ora d’aria fuori per fare una passeggiata”.

Gli ultimi casi penali aperti contro di lei riguardano il suo account Instagram e la sua partecipazione alle proteste per chiedere la scarcerazione dell’oppositore Aleksej Navalny.

Maria, lei si ricorda il numero di volte che è stata arrestata in tutti questi anni?

Non tengo più il conto da quando ho superato la decima.

Le elezioni sono alle porte e gli arresti dei dissidenti si sono intensificati.

L’ultima ondata di repressione non è dovuta solo alle elezioni di settembre. È una “nuova” politica, cioè è esattamente uguale alla vecchia, ma ancora più dura: vogliono completamente polverizzare l’opposizione, non solo quella politica, ma di qualsiasi tipo. Per questo anche poeti ed artisti, che forniscono una versione alternativa a quella della propaganda del potere, finiscono in galera o in esilio. Le elezioni sono solo un vettore per accelerare la direzione di una politica che evolve verso la dittatura totale, in stile cinese.

In carcere in Russia si sconta una doppia pena: quella imposta dal tribunale e quella del virus.

Quando ti arrestano, vai prima nella stazione della polizia, poi negli uffici amministrativi, poi in cella, senza fare test e senza che nessuno ti chieda se sei vaccinato. Finisci in prigione con gente che ha il Covid o sei tu stesso a trasmetterlo agli altri. Non ci controllano perché, come ai tempi di Stalin, non ci considerano persone. Adesso è interessante come molti casi penali aperti siano “sanitari”: quasi tutti i nuovi dissidenti vengono accusati di aver violato le restrizioni anti-Covid.

Come spiega l’aumento dei trattamenti sanitari obbligatori?

Come da tradizione sovietica, dissidenti e critici del Cremlino finiscono in clinica psichiatrica, un luogo che ritengo peggiore della prigione, dove non solo ti isolano, ma sei completamente nelle loro mani.

Due giorni fa è stato oscurato Open Media, solo l’ultimo di una lista di giornali indipendenti vietati, i cui giornalisti sono finiti nella lista di “agenti stranieri”.

Tra loro ci sono molti miei amici che hanno perso il lavoro. C’è una buona notizia: molti russi non credono alla storia degli “agenti stranieri”. Ma c’è una cattiva notizia conseguente: non scenderanno a protestare in strada, le manifestazioni oceaniche che abbiamo visto due e tre anni fa non sono più possibili. La situazione cambia in maniera molto veloce e sotto gli occhi di tutti i cittadini c’è l’esempio bielorusso: abbiamo cominciato a percorrere quella stessa strada. Non arrestano solo oppositori famosi come Aleksej Navalny, ma tutti.

Quasi tutti i dissidenti bielorussi sono fuggiti da Minsk. Accadrà anche agli oppositori del Cremlino?

Non tutti sono scappati: Maria Kolesnikova, una delle tre “fidanzate di Minsk”, è rimasta in patria ed è in prigione. La considero un esempio da seguire, un idolo politico. Il processo contro di lei è appena iniziato, rischia decenni di carcere.

E allora come sopravviveranno i dissidenti russi?

Forse con l’aiuto di Dio!

Nel 2012 lei e altre due componenti delle Pussy Riot organizzaste uno show nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, per intonare una canzone contro il presidente. Siete state condannate per teppismo e istigazione all’odio religioso e siete rimaste in galera per anni. Quel concerto sarebbe ancora possibile?

Quello che abbiamo fatto all’epoca è stato uno choc, uno scandalo non solo per la Russia, ma anche per il resto del mondo. Tutti ne parlarono. Nessuno si aspettava che quelle tre ragazzine potessero riuscire in quell’impresa. Se la analizziamo adesso, non è stata una azione inutile. Oggi quella parte di cittadini russi che aspirano alla democrazia sono quelle tre Pussy Riot: lo sono da quando in centinaia sono finiti prima nelle celle delle prigioni, e poi nelle notizie quotidiane dei tg della propaganda solo per aver manifestato un parere. Le persone magari hanno più paura di allora, ma è un fatto che continuano a protestare, anche se meno rumorosamente.

Per non rischiare l’ennesimo arresto alcuni membri delle Pussy Riot sono appena scappati all’estero. Lei farà lo stesso quando sarà possibile?

Io non me ne andrò, questo è il mio Paese e non ho intenzione di fuggire.

La ministra Bellanova chiede la mia testa

Ieri la viceministra alle Infrastrutture e mobilità sostenibile Teresa Bellanova ha chiesto le mie dimissioni da rettore dell’Università per Stranieri di Siena (ma lo sarò solo da ottobre) perché non so “tenere la lingua a freno”. È davvero gravissimo che un membro del governo si permetta di violare l’autonomia dell’università, con l’intenzione di reprimere l’espressione di una libera opinione, garantita a tutti (e perfino ai rettori) dall’articolo 21 della Costituzione. O si vuol chiedere di nuovo ai professori un giuramento di fedeltà al regime?

Avevo scritto su Twitter: “È un segnale infallibile, da anni : il #pontesullostretto è lo stigma di mafiosi, corrotti, mestatori, politici finiti, venditori di fumo, berlusconiani nativi e di ritorno, telepredicatori del progresso de noantri, servi dei padroni, sviluppisti d’antan, sauditi e pennivendoli”. È la mia opinione, argomentata prima in tanti articoli e libri: ritengo che il Ponte sullo Stretto sia ormai il manifesto ideologico del peggio di questo Paese. Oltre a essere esattamente il contrario di quella sostenibilità (ambientale, economica, sociale) che la viceministra dovrebbe servire.

Spero che la sua uscita sia solo un incidente, dovuto a profonda ignoranza istituzionale. Le porte dell’università sono aperte a tutti: anche alla senatrice Bellanova. Frequentandola, potrebbe scoprire che l’università serve a nutrire il dissenso, a combattere il pensiero unico, a costruire strumenti per criticare il potere. Non è mai troppo tardi.

Scuola, il ministro resta insufficiente

Luigi Einaudi diceva che “nessuno è così poco perito nell’arte di governare come chi è perito in tutt’altra cosa”. Conte è perito in diritto; Draghi in finanza. Nessuno dei due, prima di fare il premier, aveva fatto politica. Viene dunque da chiedersi come sarebbero andate le cose se la presidenza del Consiglio fosse toccata prima a Draghi nel 2020, quando la situazione era del tutto imprevedibile, e poi a Conte nel 2021, quando la situazione era ormai sotto controllo.

Nei primi dodici mesi di Covid si moriva come mosche senza sapere neppure perché; mancavano le mascherine, i vaccini non esistevano; sette milioni di lavoratori facevano telelavoro senza averlo mai fatto prima; dieci milioni di studenti e insegnanti tentavano di cavarsela con una teledidattica sconosciuta. Come sa la sarebbe cavata Draghi in simili frangenti, mentre dai giornali e dai talk show, 24 ore su 24, uno stuolo di grilli parlanti confusi e confusivi giudicava, criticava, starnazzava e chiedeva dimissioni?

E come se la caverebbe Conte se fosse presidente del Consiglio a partire dal marzo 2021, se avesse ereditato una situazione sotto controllo, con dodici mesi di esperienza alle spalle, con i magazzini colmi di vaccini, un tesoretto di 219 miliardi e tutto un coro osannante di adulatori?

Un gioco analogo si potrebbe fare ministero per ministero. Ad esempio, cosa sarebbe successo ai vertici della Pubblica amministrazione se nel 2020 ci fosse stato come ministro Brunetta (maschio, anziano, analogico) e nel 2021 ci fosse la Dadone (donna, giovane, digitale)? E al ministero della Pubblica Istruzione se nel 2020 ci fosse stato Patrizio Bianchi e nel 2021 ci fosse Lucia Azzolina?

Già nel giugno 2020 l’Azzolina fu in grado di varare, dopo averlo concordato con le Regioni, il piano necessario per gestire il rientro a scuola nell’autunno successivo. Furono tempestivamente stanziati fondi per 1,8 miliardi finalizzati a un organico aggiuntivo di insegnanti, tecnici e amministrativi per consentire lo sdoppiamento delle classi e tutta la necessaria flessibilità didattica. Fu inoltre incrementato il fondo relativo all’offerta formativa grazie al quale sono stati stipulati 106.674 contratti con docenti, assistenti tecnici e amministrativi.

Per l’anno accademico 2020-21 l’Azzolina stanziò 411 milioni con cui consentire agli enti locali di acquisire e adattare strutture aggiuntive da destinare all’attività didattica o al prolungamento della permanenza a scuola degli allievi o per adottare misure funzionali al contenimento del rischio da Covid-19. Fu così effettuata la distribuzione di mascherine gratuite per tutti i docenti e studenti, furono assunte 70.000 unità di nuovo personale, nel corso dell’estate 2020 furono realizzate 40.000 aule in più, grazie ad accordi, provincia per provincia.

Qui si inserisce la querelle relativa ai banchi che, per la regola del distanziamento, dovevano essere monoposto. A fine giugno fu inviato un questionario per sapere dai dirigenti scolastici di quanti e quali banchi avessero bisogno. Il risultato del sondaggio fu: 2 milioni di banchi monoposto tradizionali e 400 mila banchi con le rotelle per effettuare una didattica innovativa come quella già in atto al Liceo Massimo di Roma. Tutti i banchi richiesti furono consegnati entro ottobre, cioè in appena 3 mesi. I banchi a rotelle non furono una trovata bislacca della ministra, ma un’esigenza esplicita di presidi innovatori.

L’adozione forzata della didattica a distanza ha richiesto lo stanziamento di risorse per formare rapidamente 572.000 docenti alla didattica digitale integrata cui vanno aggiunti altri 8.000 docenti formati online durante i mesi estivi. Altri 331 milioni sono stati impiegati per acquistare servizi di assistenza tecnica per la sicurezza sui luoghi di lavoro, per l’assistenza medico-sanitaria e per l’assistenza psicologica anche attraverso sportelli di ascolto, ecc.

Nell’aprile 2020 Bianchi coordinò la task force ministeriale, istituita proprio dall’Azzolina per pianificare e gestire la ripartenza dell’anno scolastico 2020-2021. Dunque possiede tutta la scienza e l’esperienza necessarie per parare i danni che il Covid arreca al mondo della scuola. Eppure, come si prospetta il prossimo anno scolastico con Bianchi ministro?

Oggi, a 30 giorni dall’apertura delle scuole, non si scorgono avvisaglie di un attivismo paragonabile a quello del precedente governo. Fino al 31 dicembre resteranno disponibili le sole risorse residue del vecchio piano Azzolina, a cui sono stati aggiunti 70 milioni da trasferire agli enti locali beneficiari e 10 milioni per la sanità in generale. Nulla è stato previsto per il 2022 né tantomeno per la formazione dei docenti. Di sicuro si sa solo che, per entrare in aula, occorre il green pass.

 

Mail box

 

Tamponi a prezzi esorbitanti a Padova

Gentile redazione, ho deciso di scrivervi essendo da anni un vostro lettore e un vostro fedele abbonato. Mia figlia più giovane vive da un anno a Pescara, a fine luglio è tornata a Padova per farsi la prima dose di vaccino. Per il Green pass servono 15 giorni dopo la prima dose, altrimenti ci si muove avendo fatto un tampone in farmacia. A Pescara i costi per il tampone sono esorbitanti, approfittano della situazione in un modo inaccettabile e vergognoso. Parliamo di 22-25 euro a tampone! Nella mia regione (Veneto), in alcuni posti sono anche gratis. Possibile che non ci siano controlli o multe per chi se ne approfitta? Il governo non ha dato una soglia massima di prezzo? Potete fare una piccola indagine al riguardo? Possibile che in Italia, i “furbi” la fanno sempre franca? Sono davvero arrabbiato e indignato. Chi specula sulla salute pubblica, arriva davvero al livello più basso in cui si possa arrivare!

Luigi Tognazzo (Padova)

 

Incendi: processi in fumo come i boschi?

Gemono i boschi, piangono le montagne. Ulivi millenari uccisi. Atroce morte di animali. Abitazioni distrutte. Attività economiche andate in fumo con il fuoco degli incendi. Un simile disastro ambientale con il rischio di vittime umane non è equiparabile al reato di strage? Per i delitti nei confronti dell’ambiente sono previste eccezioni alla “improcedibilità”? Questi reati comportano complesse indagini e lunghi tempi procedurali: andranno dunque in fumo insieme ai boschi?

Enza Scalisi

 

Complimenti al “Fatto” per la Fondazione

Mi complimento e vi ringrazio sentitamente per l’istituzione della Fondazione e nel limite delle mie possibilità mi metto a vostra disposizione per le eventuali iniziative che verranno intraprese. Un saluto cordiale.

Diego Merigo

 

Scuola, collaboratori “fuori sede” in difficoltà

Sono un (ex) Collaboratore scolastico assunto con contratto Covid nel Modenese: mi hanno licenziato per raggiunti limiti di assenza. Mi domando perché nelle cause del licenziamento non hanno scritto i veri motivi che hanno determinato la mia assenza? “Il Collaboratore scolastico non riusciva a trovare un alloggio compatibile con lo stipendio”. Vivo in Sicilia, come facevo a vivere al nord con affitti e costi di vita esagerati? Quindi da vittima a colpevole, per questo merito il licenziamento. Chiedo: posso ottenere il licenziamento per giusta causa? Saluti.

Ignazio Messana

 

Il tentato “Draghicidio” del direttore Travaglio

Sono preoccupato. Pare che le lancette dell’orologio dell’apocalisse si siano avvicinate sempre di più a mezzanotte. Pensavo che la causa fossero i problemi climatici (con i tanti incendi e alluvioni in tutti i continenti), oppure il rischio di una guerra nucleare (visto i centinaia di nuovi silos missilistici in Cina), invece ho scoperto, dal Giornale Unico, la causa principale era invece il tentato Draghicidio perpetrato dal Direttore del mio giornale preferito! Comunque la capisco, può succedere… specialmente quando uno viene osannato e istigato dai seguaci di un simpatico politico visionario che vede mucche nei corridoi…

Claudio Trevisan

 

Il Green pass, tra nuove regole e paradossi

Premesso che sono favorevole all’introduzione del Green Pass, noto una discrepanza non di poco conto: dal 6 agosto per entrare in un ristorante o bar dovrò esibire il mio pass, ma chi mi assicura che al di là del bancone ci sia personale già vaccinato?

G. T.

Nessuno, perché il decreto dei migliori non lo prevede!

M. Trav.

 

Riforma Cartabia: su La7 sembra un’altra

Le comunico un sentimento di angoscia e disgusto dopo aver ascoltato, sul problema del processo penale, Cassese, Mentana e la giornalista Concita De Gregorio durante il programma In Onda su La7 del 30.07.2021. Mai sentite falsità così concentrate, unitamente all’assenza di un minimo di onestà intellettuale. Mi vergogno per loro.

Eugenio Girelli Bruni

 

DIRITTO DI REPLICA

In merito all’articolo a firma di Gianluca Roselli dal titolo “Fuortes taglia pure sul Papa: ‘inviati diminuiti del 40%’”, si precisa che nel caso di RaiPlay, il taglio è stato di 100.000 euro e non di 4 milioni come asserito nell’articolo; nel caso della Direzione Comunicazione si tratta di 150.000 euro e non 300.000; per quanto riguarda la Direzione Marketing la cifra è 50.000 e non 150.000.

Direzione Comunicazione Rai

 

Grazie per la precisazione. A quanto mi risulta i tagli a Raiplay dovevano essere molto maggiori di quanto viene ora comunicato. Faccio notare che tutte le altre cifre riportate nell’articolo sono corrette. Faccio altresì notare che si tratta di tagli superiori all’1 per cento dei budget annunciati dall’ad Carlo Fuortes in Vigilanza.

Gi. Ros.