“Non esiste mondo fuori delle mura di Verona, ma solo purgatorio, tortura, inferno. Chi è bandito da qui, è bandito dal mondo, e l’esilio dal mondo è la morte”. Queste parole, che suonano come una condanna, sono impresse in una targa visibile sulla porta che dalla Piazza Brà della città veneta conduce all’inizio di Corso Porta Nuova, che altri non è che la strada che porta fuori dalle mura, in direzione della campagna. Ad averle pronunciate è l’eroe shakespeariano Romeo quando viene costretto all’esilio per aver ucciso un Capuleti. Nessuno, infatti, come il drammaturgo inglese ha eternato il paesaggio e la città di Verona. Nonostante non ci abbia mai messo piede, così come in Italia del resto, in Romeo e Giulietta la sua topografia è ricostruita alla perfezione. Più in generale, in molte sue opere non mancano riferimenti al Veneto: giusto per fare qualche esempio, la parola tipicamente veneziana coragio sul finale della Tempesta, oppure la frase “Io non potrò credere che voi siate mai stato in una gondola” in Come vi piace.
Non stupisce, dunque, che un’esposizione consacrata alla rappresentazione iconografica della capitale scaligera lo renda protagonista: è il caso di Tra Dante e Shakespeare – Il mito di Verona (a cura di Francesca Rossi, Tiziana Franco, Fausta Piccoli – alla Galleria d’Arte Moderna A. Forti, fino al 3 ottobre), in cui possiamo ammirare pittori che all’opera e all’immaginario di Shakespeare si richiamano come Tranquillo Cremona con Una visita alla tomba di Giulietta (1862) o Pietro Roi con il toccante Giulietta e Romeo (1882) che vede i due giovani innamorati nell’acme drammatico, quando lei si sveglia dal sonno indotto dalla pozione ma lui ha già ingoiato il veleno mortale. Per non parlare ovviamente de L’ultimo bacio di Romeo e Giulietta (1823) di Francesco Hayez.
Un’esposizione ottima in cui, insieme al Bardo di Stratford Upon Avon, figura Dante Alighieri. Dei soggiorni dell’autore della Commedia, dall’esilio del 1302 in poi, non rimane traccia negli archivi cittadini ma nelle sue opere sì: il poeta, infatti, non dimentica l’ospitalità del “gran Lombardo” (riconosciuto dalla critica in Bartolomeo della Scala di Verona), e nemmeno “lo primo refugio e ’l primo ostello” concessogli dal generoso Cangrande, cui nell’Epistola XIII dedicò il Paradiso. Per questo troviamo in mostra Dante in esilio (1860-65) di Domenico Peterlin, o ancora Dante legge la Divina Commedia alla corte degli Scaligeri (1864) di Luigi Melche, che mettono su tela la sua presenza nelle zone, come pure Dante visita Giotto nella Cappella degli Scrovegni (1865) di Leopoldo Toniolo. Soprattutto, su Verona precisamente, in un passo del Purgatorio scrive: “Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: color già tristi, e questi con sospetti!”. Citazione, questa, assai importante non soltanto per accreditare il suo passaggio in città o la verità storica di Romeo e Giulietta, ma perché lega il nostro a Shakespeare nella narrazione del mito di Verona. Da questa frase, infatti, un certo Luigi Da Porto trae ispirazione nel 1530 per il suo La Historia novellamente ritrovata dei due nobili amanti, il racconto di due giovani veronesi che pagano il loro amore con la morte, da cui Shakespeare si abbevera a piene mani per la sua nota tragedia (è infatti all’opera di Da Porto, come pure di Masuccio Salernitano e Mattia Bandello, che William deve la sua conoscenza della città e dei territori veneti in generale).
Ed è qui che la mostra si fa ottima, come si diceva, perché non si limita a celebrare Alighieri per via della ricorrenza, ma narra l’influenza che la sua opera da un lato e quella di Shakespeare dall’altro, entrambe legate alla città di Verona, hanno avuto nell’arte figurativa: basti pensare – per fare un esempio – a quante tele si sono ispirate all’episodio di Paolo e Francesca, dall’erotica interpretazione di Artemisia Gentileschi nel XVII secolo con le gote imporporate dal desiderio dei due amanti, fino al capolavoro di luce e ombra di Gaetano Previati del 1887 in cui, ai piedi del letto, il giovane ha la schiena trafitta e la sventurata è diafana ed esangue. Per dare la misura di tale influenza, infine, il percorso espositivo annovera un prestito eccezionale: si tratta di tre disegni dell’immenso Sandro Botticelli del 1492-95 provenienti dal Kupferstichkabinett di Berlino che sviluppano graficamente il tema dell’itinerario dantesco nel Paradiso insieme con Beatrice, e lo traduce nel cammino del poeta lungo le strade di Verona alla scoperta dei luoghi connessi alla sua memoria.