Scuola, personale ridotto e classi pollaio: nulla cambia

C’è voluta una cabina di regia, un confronto con il Comitato tecnico scientifico, una Conferenza delle Regioni e tre ore di Consiglio dei ministri perché la montagna partorisse un topolino. Il “Piano Scuola”, reso ufficiale da giovedì sera, è la copia del verbale del Cts del 12 luglio scorso: più di venti giorni persi per non modificare nulla. Per chi torna tra i banchi, di là della decisione sul green pass (obbligatorio per il personale scolastico e gli studenti universitari) i problemi restano irrisolti.

Distanziamento e mascherine

Il primo è quello legato al distanziamento. Se fino a giugno era obbligatorio e lo resta per ristoranti, cinema e teatri, a scuola, invece, è solo raccomandato ove è possibile metterlo in pratica. Tradotto: molti presidi delle superiori non lo assicureranno altrimenti dovrebbero tornare alla didattica a distanza. Anche l’ex ministra Lucia Azzolina e l’ex coordinatore del Cts, Agostino Miozzo si sono chiesti “quale sia la base scientifica di questa scelta”. Legato a questo tema c’è quello delle mascherine, obbligatorie se non c’è il distanziamento salvo per le classi in cui siano tutti vaccinati. Ma quali saranno i dispositivi di protezione individuale distribuiti nelle scuole? I governatori hanno chiesto le più protettive Ffp2 anziché le chirurgiche, ma nulla è stato precisato. Intanto nelle scuole, centinaia di scatoloni con le vecchie mascherine sono accalcati nei magazzini.

L’incognita dei vaccini per i lavoratori

Nulla di chiaro per ora anche sul fronte dei vaccini del personale scolastico. Ancora non si sa esattamente quante siano le persone del mondo-istruzione che attendono la prima dose o la dose unica: i 220 mila scritti nel report settimanale dal commissario Figliuolo sono in eccesso e le Regioni stanno provando a dimostrarlo. Il problema è che a un certo punto della campagna vaccinale il personale scolastico è stato registrato non più per categoria ma per età. E così in Sicilia, ad esempio i non vaccinati anziché 60 mila sono 14 mila, sostiene l’assessore Roberto Lagalla.

Trasporti, aule gremite e insegnanti insufficienti

Altro caso: dalle parole del ministro Bianchi non è uscita mezza frase sulla necessità degli scaglionamenti in ingresso e in uscita dalla scuola seppur i prefetti, già al lavoro da settimane, li stiano prevedendo in ogni città per agevolare i trasporti. In classe, invece, sparisce il cosiddetto “contingente Covid”. Viale Trastevere ha stanziato 400 milioni (ricavati dalle economie del governo Conte-2) per attivare ulteriori incarichi temporanei di personale Ata e docente, in particolare per il recupero degli apprendimenti, ma il meccanismo rispetto allo scorso anno, sarà diverso. La ministra Azzolina aveva deciso di fare una deroga al decreto 81 firmato in epoca Gelmini in merito alla formazione delle classi, per acconsentire allo sdoppiamento. Con Bianchi, questa eccezione non ci sarà, ma i finanziamenti verranno dati agli uffici scolastici regionali che li stanzieranno alle scuole per fare progetti di potenziamento e recupero. In pratica non si potranno sdoppiare le classi usando queste persone, ma il personale in più potrà sostenere il lavoro degli insegnanti disciplinari.

Un ultimo capitolo è quello delle “classi pollaio”: il governo non ha cambiato i criteri “gelminiani” di formazione delle classi e anche quest’anno, alle superiori, ci saranno aule con anche 30 alunni per sezione.

La grana dei no vax

Infine, Draghi non ha fatto i conti con i “no vax” e chi non è tale, ma non condivide la linea del green pass. I primi oggi si troveranno a Milano in piazza Fontana. I secondi, con tanto di sostegno di una parte di sindacato, son pronti a dar battaglia nelle singole scuole causando qualche mal di pancia ai dirigenti scolatici.

“Il De Luca-ter incostituzionale: così si rischiano derive clientelari”

Vincenzo De Luca “non può candidarsi per il terzo mandato consecutivo in Campania”. E il motivo è molto semplice, secondo il costituzionalista Massimo Villone: “Così facendo violerebbe un principio costituzionale”.

Professor Villone, De Luca vuole approvare una riforma elettorale per poter correre una terza volta in Regione.

L’articolo 122 della Costituzione rimanda a una legge dello Stato per definire i criteri di incandidabilità. E nel 2004 il Parlamento ha disposto la non eleggibilità per un terzo mandato consecutivo. Questo non mi sembra suscettibile di discussione: nessuno può restare in carica per più di dieci anni.

In Veneto però Luca Zaia ha aggirato la norma.

Durante il suo primo mandato, Zaia ha approvato una riforma che ha imposto il limite dei due mandati, ma a partire dalla successiva consiliatura. De Luca potrebbe fare la stessa cosa, magari garantendosi addirittura altri due quinquenni. Ma è chiaro che una legge del genere andrebbe contro la ratio della norma del 2004 e di quanto stabilito dalla Costituzione. In quel caso il governo avrebbe l’obbligo di impugnare la legge con un ricorso alla Corte costituzionale.

Perché non è successo con la legge Veneta?

Non credo che a Palazzo Chigi non sappiano leggere. Ma spesso subentrano equilibri politici e così sarebbe anche nel caso della Campania. Siamo sicuri che un eventuale governo con dentro il centrosinistra si prenderebbe la responsabilità di impugnare una legge di De Luca?

Ma ha senso stabilire un limite di due mandati?

Certo, è un principio giusto per la buona salute della democrazia. Un presidente di Regione ha a che fare con la gestione del denaro pubblico, delle società partecipate, delle nomine e molto altro. Una lunga permanenza in carica comporta il rischio di incrostazioni non positive che possono portare a derive clientelari e zone d’ombra.

Puglia, Calabria Lazio & C.: blitz per il malloppo

Tempo di vacanze, tempo di regali. Mentre gli italiani sono sotto l’ombrellone, i consiglieri regionali di mezza Italia ne stanno approfittando per andare in ferie più contenti: in Puglia i rappresentanti di tutti i partiti hanno appena approvato un emendamento per ripristinare l’indennità di fine mandato abolita nel lontano 2012. Quello che comunemente si chiamerebbe il trattamento di fine rapporto. Nell’ultima seduta prima delle vacanze, infatti, i 50 consiglieri pugliesi hanno approvato all’unanimità (compresi quelli del M5S) un emendamento alla legge sui debiti fuori bilancio che ripristina l’assegno di fine mandato. Al termine del mandato, così, a consiglieri e assessori spetteranno 35.500 euro, pari all’indennità mensile (7.100) per i cinque anni di mandato. Costo per la Regione: 4 milioni di euro. Non solo, l’effetto sarà anche retroattivo, quindi sarà recuperato tutto ciò che la Regione aveva risparmiato fino a oggi. Se la consigliera dissidente del M5S Antonella Laricchia era assente, tutti gli altri hanno appoggiato la norma. Qualcuno, come il leghista Davide Bellomo, l’ha anche rivendicata: “I lavoratori sono tutti uguali, noi compresi!” ha detto. Invece la capogruppo del M5S, Grazia Di Bari, con un po’ di imbarazzo, ha fatto sapere al Corriere del Mezzogiorno che anche il tfr “sarà ridotto come avviene per le indennità che percepiamo come consiglieri”. In sostanza, sarà in parte restituito.

Ma non solo in Puglia la casta dei consiglieri regionali è riuscita a riempirsi ancora le tasche. Proprio mentre un attacco hacker metteva a rischio i dati sanitari dell’intera Regione, anche i consiglieri del Lazio decidevano di farsi un bel regalo. In linea col clima di restaurazione nazionale, il Consiglio regionale ha infatti approvato un emendamento presentato dal dem Daniele Leodori che aumenta la pensione agli ex eletti che percepiscono anche il vitalizio da Parlamentari europei. L’assegno – come riportato dal quotidiano Domani – si rimpolpa “di una franchigia pari al trattamento minimo Inps”, ovvero qualche centinaio di euro in più al mese al netto delle tasse. Il provvedimento, a cui hanno dato il via libera Pd e M5S, ha fatto infuriare la consigliera Francesca De Vito, in uscita proprio dal Movimento e indispettita anche dai metodi utilizzati dalla maggioranza: “Ritengo scandaloso che alle 19.27 la giunta abbia tirato fuori un emendamento economico del genere, soprattutto con la crisi legata all’epidemia”.

Anche in Trentino-Alto Adige però i consiglieri si sono dimostrati insensibili alla situazione economica del Paese. A fine luglio, infatti, gli eletti hanno approvato un emendamento alla legge di assestamento di bilancio proposto da Lega e Svp, che governano insieme, con il quale i consiglieri hanno adeguato i propri stipendi agli indici Istat della Regione, mediamente più alti rispetto al resto d’Italia. Non solo: visto che il congelamento delle retribuzioni andava avanti dal 2012, i consiglieri hanno deciso di aumentarsi gli assegni e di riprendersi anche tutti gli arretrati, fino a un totale di 600 euro in più al mese. Un bel colpo. Chi ci era già riuscito a dicembre erano stati gli ex consiglieri della Regione Veneto che, dopo una lunga battaglia in Tribunale, erano riusciti a farsi riconoscere le indennità di fine rapporto dopo l’abolizione del 2012. Il Veneto di Luca Zaia però ha un altro record negativo. Secondo il giudizio di parifica del bilancio del 2020, infatti, i vitalizi ai consiglieri regionali pesano addirittura più degli stipendi: 8,3 milioni (il 25% del bilancio regionale) contro i 7,6 milioni di “indennità e rimborsi spese”. Anche i Friuli-Venezia Giulia i tagli dei vitalizi sono stati contestati di fronte alla Consulta.

In Calabria, invece, dove si andrà a votare a ottobre, la voglia di emulare il caso pugliese è molto forte: nell’ultimo mese è stato tentato il blitz per ripristinare il vitalizio e il tfr per i consiglieri con una proposta in commissione Affari costituzionali. Dopo aver abolito i vitalizi, infatti, l’idea sarebbe quella di ripristinarli facendo spendere alla Regione 6 milioni di euro. La proposta Pd troverebbe d’accordo anche le altre forze politiche, tra cui Lega e Forza Italia che hanno la maggioranza in consiglio. Il parlamentino di Catanzaro si è riunito per l’ultima volta prima della pausa estiva e il tentativo è stato sventato, ma non è escluso che a settembre il regalino possa arrivare.

Agosto, parlamento mio non ti conosco

Cigolano di gran carriera le rotelle dei trolley sui pavimenti dei Palazzi, si svuotano emicicli e transatlantici: la lunga vacanza dei parlamentari è cominciata. Giovedì si sono chiuse le porte del Senato, ieri quelle della Camera. Non se ne parla più per un mese: gli eletti non torneranno ai loro scranni prima del 6 settembre. Trenta giorni tondi per i deputati e 31 per i senatori, i costumi parlamentari non cambiano, al massimo si allungano: le ferie del 2021 durano una settimana in più dell’anno scorso.

Eppure, nell’estate operosa del Covid e dei piani nazionali di resilienza, le cronache dei grandi giornali ci raccontano del lavoro incessante del presidente del Consiglio, praticamente ostaggio di Palazzo Chigi. Un uomo che non vuole nemmeno sentire la parola “ferie”, come nel racconto ammiratissimo di Marcello Sorgi su La Stampa: “Quest’anno nessuno dei ministri sa ancora quando e per quanto potrà staccare: chi ha chiesto, non ha trovato risposta da parte di Draghi. Il quale Draghi, ovviamente, ritiene che in un anno eccezionale come quello che stiamo vivendo l’idea stessa di vacanza, nel senso di allontanamento, distacco, pausa prolungata, non abbia senso”.

Lo spirito di rinascita nazionale incarnato dal premier non ha contagiato però i parlamentari, la più vilipesa delle categorie della Casta, la più esposta a venti e venticelli populisti. Loro no, non rinunciano: in vacanza ci vanno eccome, nonostante l’opera moralizzatrice del Vate di Palazzo Chigi. Tra le mura di Montecitorio è rimasto, forse per sbrigare faccende personali, giusto il renziano Ettore Rosato, che risponde dal suo ufficio di vicepresidente della Camera. “Tanti saluti al Fatto Quotidiano dalla mia scrivania”, ci scrive. Lo avvertiamo del rischio di rimanere chiuso dentro, ma è intrepido: “Conosco le uscite di emergenza”.

Qualcun altro è meno cordiale. “Andate a fare in culo”, strilla Maurizio Gasparri, al telefono da Spinaceto (o dalla Garbatella, non si capisce bene). Il senatore berlusconiano – ne deduciamo – non ritiene eccessivo il mese di vacanza dei parlamentari. “Sto lavorando, io, sto raccogliendo le firme per le liste delle elezioni comunali. Andate a fare in culo”. E due. “Affanculo lei, il Fatto Quotidiano e i parassiti come voi. Sono in giro a portare certificati, perché gli uffici della Procura di Roma si degnano di restare aperti solo dalle 12.30 alle 13.45”. La vita agra di Gasparri. “I dirigenti politici sono gli unici veri lavoratori d’Italia, e io faccio il dirigente politico. Ciao parassita”.

Il suo ex collega Lucio Malan, appena passato a Fratelli d’Italia, ha uno stile un po’ più british, ma tiene lo stesso il punto: “Guardi che il Bundestag tedesco ha chiuso il 24 giugno e ha aggiornato la seduta successiva per il 7 settembre. Quelle sì, sono vacanze lunghe”. In Germania però ci sono le elezioni, il Parlamento va rinnovato. “È vero, ma è sempre così, giorno più, giorno meno. Noi comunque non abbiamo problemi, siamo sempre lieti di essere convocati se ce n’è bisogno. Siamo pronti a venire in Parlamento a farci privare delle nostre facoltà a colpi di fiducia”. E Super Mario, che in vacanza non ci va proprio? “Siamo commossi che Draghi lavori ad agosto – ride Malan, ancora un filo velenoso – ma è una cosa perfettamente normale per un capo del governo. D’altra parte, da quando è cessato dalla carica di presidente della Bce a quando è stato nominato premier non mi pare abbia lavorato affatto. Ha avuto una vacanza di un anno e mezzo, può lavorare questo mese, ha tutto il nostro appoggio morale”.

Non ci sono più nemmeno i grillini di una volta. Gli eletti dei 5Stelle fino a qualche tempo fa avrebbero messo alla berlina la Casta balneare e le sue generose tradizioni estive. Il senatore M5S Andrea Cioffi si concede una mezza battuta sul calendario generoso varato dalla presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati (“Vien dal Mare”), ma poi si fa serio: “Certo, in linea squisitamente teorica le ferie della gente comune e dei lavoratori normali durano 15 giorni o poco più. Però guardi che io sto lavorando ancora: sono impegnatissimo nella campagna elettorale per le elezioni comunali di Salerno. È una grande campagna, stiamo costruendo una coalizione molto ampia intorno a una figura civica, una preside di un istituto salernitano. Una importante alternativa all’attuale sindaco, ovviamente legato a Vincenzo De Luca”. È andato un po’ fuori tema. “Il problema, stringi stringi, non sono le ferie, ma l’attività parlamentare. Bisognerebbe che ogni tanto le Camere fossero tenute nella dovuta considerazione, mi pare che il governo sia troppo dominante”.

Anche il leghista Edoardo Rixi trasuda stakanovismo: “Oggi sono nel mio ufficio a Genova, domani vado a Savona per impegni politici. Me ne starei più volentieri alla Camera, se fosse aperta: almeno lì ho un ufficio. Chieda al presidente Fico”. Gli fa eco il collega senatore Gian Marco Centinaio: “Il problema è che si lavora dal martedì al giovedì, mica le ferie d’agosto. Ma se dev’essere l’ennesimo fumo negli occhi che gettiamo agli italiani, bene, fateci lavorare anche a Natale e a Ferragosto. Io quest’anno ho 5 giorni di vacanza”.

Il deputato del Pd Stefano Ceccanti sfoggia serenità epicurea: “Al di là della retorica su Draghi, è normale che il governo sia sempre in attività. Ma non penso che abolire le vacanze renda le persone più sagge, una pausa fa bene a tutti, in ogni settore”. Il compagno dem Emanuele Fiano ne fa una questione di qualità: “C’è chi lavora seriamente, con dignità e onore, tra commissioni, aula, mozioni, interrogazioni, studio e altro. E poi c’è chi partecipa all’1% delle sedute e viene in aula solo per sprofondare nel suo seggio. Ma se uno vuole lavorare, ce n’è da mattina a sera. A prescindere dalle vacanze”.

Il renziano Michele Anzaldi, infine, si abbandona a un ragionamento un po’ scombinato, a tratti lisergico: “Un mese forse è troppo, specie perché siamo in tempi di pandemia. Però in fondo che vuol dire chiusura dell’attività? Alcuni parlamentari se li chiami ti rispondono, anzi sono proprio loro che ti chiamano per mandarti i comunicati e le loro dichiarazioni. E poi se uno non va alle Maldive o a fare safari in Africa, ma resta vicino, in Sicilia, Toscana o Liguria… grazie alla tecnologia, siamo tutti collegati. Poi, certo, l’attività parlamentare è bloccata, ma anche al di fuori delle pause estive. Mica per colpa di Draghi, eh, ma per fare una legge servono le strutture, e le strutture sono a Palazzo Chigi. Inutile andare a cacciare i fantasmi, è così da tempo”.

C’è l’investitura degli iscritti 5S: così l’ex premier è il nuovo leader

L’ultima investitura è arrivata: Giuseppe Conte è il nuovo leader del Movimento 5 Stelle. Lo hanno deciso gli iscritti votando sulla piattaforma SkyVote, che ieri, dopo le 22, ha ufficializzato i risultati della consultazione: “Il mandato degli iscritti mi trasmette grande energia e responsabilità – dice Conte a caldo – Ce la metterò tutta”.

E se l’esito del voto era scontato, molto meno lo era il dato sull’affluenza: 62 mila clic in favore dell’avvocato su 67 mila votanti, il 93%. Più, dunque, dei 60 mila che martedì avevano dato il via libera al nuovo Statuto.

Numeri che testimoniano una partecipazione ampia, forse persino imprevista considerando che il nuovo Statuto era stato approvato con il bisogno di raggiungere il quorum della maggioranza assoluta degli aventi diritto – gli attivisti sono circa 115 mila –, vincolo non richiesto per l’affermazione di Conte.

Ma era stato lo stesso avvocato, settimane fa, a giurare dal Tempio di Adriano che non si sarebbe accontentato di “una maggioranza risicata”, puntando a iniziare la sua presidenza con pieno mandato da parte degli attivisti, anche per giustificare il pugno duro già mostrato nelle ultime ore con chi si è dissociato dal voto favorevole sulla riforma della giustizia alla Camera.

Così sarà, quindi: Conte prenderà in mano un Movimento rimasto nel guado per mesi, preda di un lungo scontro tra l’ex premier e il fondatore Beppe Grillo, che alla fine ha dovuto accettare un nuovo passo di lato sottoponendo agli iscritti lo Statuto a cui aveva lavorato Conte. Regole che l’avvocato pretendeva soprattutto per mettere nero su bianco la distinzione più importante: a Grillo resterà la custodia dei valori del Movimento, ma l’indirizzo politico sarà competenza del leader, che intende traghettare senza più ambiguità il M5S nel campo del centrosinistra, in un’alleanza strutturale con Pd e Articolo 1.

Ora Conte dovrà completare la propria squadra, per la quale però prenderà tempo almeno fino a settembre, se non alle Amministrative di ottobre. Settimane che serviranno per distribuire ruoli e funzioni, in un Movimento che dopo le fratture di primavera ieri si è compattato attorno al nuovo capo. Mentre il ministro Luigi Di Maio incoraggiava gli iscritti a votare, Vito Crimi definiva la consultazione “un momento di grande crescita per il Movimento”, con Stefano Patuanelli – da sempre vicinissimo all’ex premier – che lanciava la volata: “Giuseppe Conte è la persona giusta in questa fase di cambiamento, di trasformazione necessaria per affrontare le nuove sfide, proteggendo la nostra identità”.

“Nel 2023 campagna elettorale per cambiare la legge Cartabia”

L’avvocato diventato capo, anzi presidente, promette che con lui le cose cambieranno, dentro e fuori il M5S: “Ci faremo sentire ai tavoli, sui contenuti concreti, non con slogan e dichiarazioni”. E giura di non aver intenzione di disarcionare Mario Draghi: “Vogliamo cooperare in modo franco e costruttivo col governo”. Però alla fine Giuseppe Conte il punto di arrivo di un percorso lo indica: “Se i cittadini vogliono che la riforma Cartabia cambi, in caso di esiti insperati prima della fine del regime transitorio, ovvero del 2024, non dovranno che votarci in massa: ho preso il solenne impegno che non consentiremo impunità”.

È ufficiale, è stato votato dagli iscritti: lei è il presidente del Movimento, un movimento di cui ha sottolineato più volte la vocazione collegiale. Questo sembra però più un plebiscito per il leader di un partito personale, no?

Non ho alcuna intenzione di utilizzare a fini personali l’investitura ricevuta da questa amplissima partecipazione degli iscritti. Voglio rafforzare le competenze trovate nel Movimento.

Coinvolgerà, come si dice, anche molti esterni, sia nei ruoli del M5S che nelle future liste elettorali?

Sicuramente ci gioveremo anche dell’apporto della società civile, sia per i forum tematici che per la condivisione di contenuti e programmi, sia coinvolgendo tanti esperti nella scuola di formazione. Poi ci saranno tanti innesti anche nei nuovi gruppi territoriali e nelle amministrazioni locali.

Quando nominerà i vicepresidenti e gli altri organi?

La nuova squadra arriverà a settembre. Sarà la testimonianza di un grande rinnovamento, con l’inserimento di un centinaio di nuove figure.

Ci faccia qualche nome.

Ci sarà spazio per tantissimi. Vi faccio un solo esempio, anche se potrebbe apparire minore. Incontrando i parlamentari, ho conosciuto meglio il deputato Raffaele Bruno, un regista che da anni si dedica a progetti teatrali per la rieducazione dei detenuti.

Ha sentito Beppe Grillo? Non ha fatto neppure un video per sostenere la sua candidatura.

Non ho sollecitato alcun endorsement sul mio voto. Ho preferito che tutto venisse lasciato alla sensibilità degli iscritti.

Grillo l’ha definita senza visione, inadeguato. C’è stata una tregua, ma le scorie resteranno, no?

Con lui c’è stata una dialettica dura che appartiene al passato. Ci siamo parlati in modo franco, e abbiamo convenuto che questo progetto fa il bene del M5S. E il bene del Movimento sta a cuore a entrambi.

Luigi Di Maio sembra il garante del governo Draghi, anche rispetto a Conte: sbagliato?

Tra noi non c’è alcun dualismo. Nel M5S non ci saranno governisti e anti-governisti. Lavoreremo tutti per offrire leale collaborazione al governo di un Paese che deve ancora uscire dall’emergenza sanitaria.

Con Di Maio vi siete rinfacciati perfino le rispettive veline di stampa. Così bene non va tra voi…

Sono tre anni che remiamo nella stessa direzione. Luigi è una risorsa del Movimento, e continuerà a esserlo. Ha avuto un ruolo apicale nel M5S.

Lei auspica collaborazione col governo. Ma questo esecutivo sta smontando tutte le vostre riforme. E ora nel mirino c’è il reddito.

Il Movimento che esce da queste votazioni, rafforzato nella leadership, si farà ascoltare più efficacemente. È già successo sulla giustizia: grazie al nostro intervento la riforma è migliorata. Ma devo dire che apprezzo molto le ultime dichiarazioni di Draghi, che riconoscono l’importanza di un sistema di protezione sociale come il reddito di cittadinanza.

Ora però lei per recuperare consensi, dovrà farsi sentire dal governo.

Ci faremo sentire, ma sui contenuti, con le proposte. A differenza di altri, non ci sentirete gridare o giocare ad apporre bandierine.

Per tornare al Movimento, Alessandro Di Battista pretende che usciate da questo governo.

Io dico ad Alessandro che con il nuovo corso del M5S farà ancora più valere i suoi valori e princìpi rispetto al passato. Confido che possa tornare per dare il suo contributo.

A Palazzo Chigi c’è stata un’infornata di economisti turbo-liberisti. È la conferma che questo governo pende a destra?

Credo che i turbo-liberisti siano stati sconfitti dalla storia. Se il governo precedente avesse sposato un credo iper-liberista non avremmo ottenuto il Recovery plan dalla Ue durante la pandemia. Il massiccio intervento dello Stato a protezione del tessuto economico e sociale ha avuto il benestare di premi Nobel come Stiglitz e Krugman, che esortò l’amministrazione Usa ad adottare le stesse politiche del mio governo.

La pandemia non ce la siamo messa alle spalle. Al netto della scuola, ora sembra che sul virus a dare la palla sia più il leader leghista che il ministro Speranza o il Cts, pilastri invece del suo metodo…

Oggi abbiamo la maggioranza della popolazione vaccinata, anche se non siamo usciti dall’emergenza. Ma sono situazioni incomparabili. Durante il mio governo abbiamo assunto un metodo chiaro e lineare, nonostante all’inizio le informazioni fossero scarse, operando scelte politiche sulla base di evidenze scientifiche. È stato confortante apprendere da un recente studio dell’Iss che il nostro sistema di differenziazione delle regioni per colori ha contribuito a salvare vite umane e a far ripartire prima le attività economiche e sociali. Non dobbiamo ora, invece, lasciarci confondere dagli slogan di Salvini. Continua a rincorrere gli umori più contrastanti delle piazze. Ma così non si gestisce una pandemia, si creano solo disastri. Noi vigileremo perché siano adottate le misure necessarie, le meno restrittive possibili, e nel segno dell’adeguatezza e della proporzionalità. Il green pass è una buona soluzione.

Lo avrebbe reso anche lei obbligatorio per i docenti?

Sì, lo avrei proposto anche io, ma non credo sia una misura risolutiva. Il green pass è utile per conciliare salute ed economia, e va usato in modo intelligente per consentire le massime riaperture, anche dei luoghi più affollati.

Il tentativo di nominare all’Anas Ugo De Carolis, storico braccio destro di Giovanni Castellucci in Atlantia; Renato Farina, consulente del ministro Brunetta… Come fa a spiegarlo a un elettore 5S?

Ho visto Draghi molto attento a queste dinamiche, e sono sicuro che vorrà intervenire per scongiurare o rimuovere nomine inopportune che i cittadini stenterebbero a comprendere.

Il nuovo M5S, ha assicurato, avrà come colonna portante l’ambiente. Ma non ha lottato per “salvare” i reati di disastro ambientale dall’improcedibilità.

Abbiamo creato, con le nostre modifiche alla riforma, una cintura di protezione ai processi direi ben sufficiente.

Vale quindi il “bicchiere mezzo pieno”? E allora i tanti magistrati che continuano a bocciare la riforma? Ora che i reati di corruzione rischiano per legge l’impunità, che dice?

Senza il nostro intervento, le importanti modifiche ottenute non ci sarebbero state. Per i processi contro la PA e per quelli per reati ambientali, così come per tutti, abbiamo un ampio regime transitorio fino a tutto il 2024, che ci consentirà, prudentemente, di monitorare l’impatto anno per anno dei nuovi provvedimenti, col vincolo, da parte del ministro della Giustizia, di intervenire coi necessari correttivi, qualora l’obiettivo di velocizzare i processi non venga raggiunto. E, poi, nel regime ordinario, con un’ordinanza del giudicante, sarà possibile portare a 3 anni tutti questi processi. Molti dei quali, per corruzione o traffico di rifiuti, ricadono nella fattispecie di reato del 416bis.1, collegati a organizzazioni mafiose. E questo consente di allungare ulteriormente i tempi.

Ha detto che, nel caso, interverrete. Come?

Lo dico chiaro a tutti i cittadini: se ci darete fiducia e forza alle prossime elezioni politiche, io prendo sin d’ora un impegno solenne. In prossimità della scadenza del regime transitorio, vigileremo affinché la durata media dei processi sia davvero più breve, in modo che non siano a rischio di estinzione. Altrimenti interverremo coi correttivi necessari. I cittadini devono essere consapevoli: se voteranno il centrodestra rischiano modifiche nel senso di una maggiore impunità. Se voteranno M5S avranno la solida garanzia di rafforzare un attento guardiano della tenuta del sistema di giustizia penale.

Intanto siamo entrati nel semestre bianco. Teme che Matteo Renzi e Matteo Salvini, concordi quasi su tutto, facciano asse per eleggere un candidato di centrodestra al Quirinale?

Voglio sperare che per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica non ci saranno maggioranze precostituite, per lavorare al ribasso, ma un confronto sereno e trasparente.

Anche Giorgia Meloni ha aperto alla candidatura di Draghi.

Ho già detto che Draghi non va tirato per la giacchetta, anche perché queste iniziative finiscono per nascondere finalità strumentali di corto respiro.

Lei un anno fa alla Festa del Fatto aprì a un Mattarella-bis. Ora lo invocano in tanti…

Siamo in una fase prematura. La mia opinione su Mattarella è nota: è persona di grande saggezza politica e istituzionale.

Ha annunciato un tour dell’Italia, che partirà dal Nord. Come avverrà?

Sarà un modo per dialogare con tutti i cittadini, comprese le imprese del Nord. In passato hanno dimostrato di non comprendere certe nostre posizioni. A loro illustrerò il nostro Statuto degli imprenditori, concepito per semplificare la burocrazia e concentrare i controlli sulle imprese. E spiegherò il nuovo corso del Movimento.

Mario Er Vescica

Qualche settimana fa, volendo in fondo un gran bene al nostro premier, fummo colti da un vago senso di inquietudine nell’apprendere da Il Tempo che “Draghi non molla mai, neanche per andare in bagno”: “Alla Camera la sua resistenza in aula è stata lodata da tutti e alcuni hanno proposto di conferirgli l’ambitissimo premio ‘vescica di ferro’, dedicato a chi rimane al proprio posto per ore e ore senza andare al gabinetto”. Egli non evacua: trattiene. Ora, nell’imminenza del Ferragosto, pensavamo che si sarebbe concesso un po’ di relax per recuperare le energie e soprattutto le minzioni perdute. Invece niente. Ieri Repubblica titolava: “Il potere che non va in vacanza da Andreotti a Draghi: storie di stakanovisti e insonni. Il premier fa sapere che non andrà in ferie”, lui che “si è preso sulle spalle il suo compito con uno spirito che Giuliano Amato, altro ragionevole stakanovista del potere, ha sintetizzato con la formula latina coactus tamen voluit, l’ha voluto per obbligo, ma l’ha voluto”. Un po’ come il Duce, che lasciava “la luce accesa nottetempo a Palazzo Venezia… per cui gli italiani si riposavano e lui, fervido, vegliava”. Come Parri, che “si fece posteggiare una brandina nel suo ufficio al Viminale”. Giù giù fino al babbo Silvio e all’erede Matteo, che vantavano pacchianamente ritmi vertiginosi e veglie leggendarie. Ma, “lontano da certi accomodamenti nazionali”, “Draghi non è tipo da produrre questi spettacolini”: “a Palazzo Chigi si lavora in piena estate e la scelta non dovrebbe troppo sorprendere”. Vuoi vedere – ci siam detti – che Er Vescica trattiene pure ad agosto? Poi, inoltrandoci nella lettura, abbiamo scoperto con sollievo che “ha trovato il modo di passare qualche ora di meritatissimo riposo”. Non, si capisce, in una volgare o banale località di villeggiatura. Forse alla toileette.

Chi non ha di questi problemi è Salvini: già non faceva una mazza neppure da vicepremier e ministro dell’Interno, figurarsi da senatore, cioè da disoccupato. Ieri dal Papeete Beach, tra una visita della Guardia di Finanza e l’altra, anziché festeggiare gli ori degli atleti italiani, twittava contro il sottoscritto che, a suo dire, tifava contro (fatto mai accaduto). Si può comprendere un poveretto che da due anni non ne azzecca una ed è costretto ad arrampicarsi sui campioni olimpionici per fingere di aver vinto lui. Ma in Italia c’è un solo leader che fino a qualche anno fa ripeteva “Il Tricolore mi opprime” e tifava contro gli Azzurri perché “Non esiste un articolo della Costituzione in cui c’è scritto che bisogna tifare Italia”. Il suo nome è Salvini. Il che smentisce almeno la sua fama di fannullone: secondo un noto aforisma, infatti, “i cattivi a volte si riposano, gli imbecilli mai”.

Da Risi e Citti a Garrone, il cinema nostrano ha il “Sapore di mare”

“Passammo l’estate su una spiaggia solitaria e ci arrivava l’eco di un cinema all’aperto”. Ha fatto bene Christian Uva a evocare il compianto Franco Battiato in esergo al suo libro L’ultima spiaggia. Rive e derive del cinema italiano (Marsilio): vi contiene la magia di un binomio di per sé legato all’immaginazione, al sogno popolare, financo alla nostalgia privata e collettiva di un sentimento antico ed eterno insieme. Cinema e spiaggia, di fatto, ben si accompagnano nelle gioie e nei dolori d’Italia.

E se non è una novità che il mare sia divenuto nel XX secolo uno dei principali topoi socio-culturali, inedita è l’idea di raccontarne la prolifica relazione con il cinema, in un reciproco scambio destinato a costruire (e rafforzare) l’immaginario collettivo. Per Uva, saggista e professore ordinario a Roma Tre, il concorso spiaggia/cinema diviene luogo per eccellenza in cui effettuare la radiografia di un popolo e dei suoi “costumi”, vocabolo dall’ambivalenza mai così felice e pertinente. Il cinema ha dunque raccontato l’Italia attraverso le spiagge fin da fine anni Venti: dai lidi di regime si è spostato ai litorali neorealistici (La famiglia Brambilla va in vacanza del 1941, I bambini ci guardano del 1943…) per approdare alla grande stagione dei 50 con le “spiagge felliniane” e, il toponimo La spiaggia di Alberto Lattuada (1954) a sintetizzare la pregnanza simbolica, e non poco problematica, di quegli innumerevoli segmenti sabbiosi sparsi nei 7.500 km di costa tricolore. Il boom economico, le beach comedies che si esaltano di arenile e dove ogni cosa si confonde e si livella all’orizzonte: emblematico il Poveri ma belli (1957) del vate Dino Risi che alcuni anni dopo avrebbe sintetizzato l’italico Zeitgeist con il “litoraneo” Il sorpasso come pure con L’ombrellone (1965), il canto del cigno della commedia “balneare”. Perché poi sarebbero arrivati gli anni 70 di Citti (Ostia del 1970, Casotto del 1977) spazzati dal trash degli 80 coi suoi cine-ombrelloni vanziniani il cui Sapore di mare (1983) è il più iconico. Ma emblematico è che nel medesimo anno arrivi l’Amore tossico di Caligari, dramma assoluto e profetico della “(de)riva” del Sogno. L’ultima spiaggia, infatti, inizia proprio lì: è l’alba del disagio intimo e sociale del nuovo millennio, è il prodromo dell’esplosione criminale (Gomorra film e serie, Suburra la serie) e della tragedia migratoria (Terraferma di Crialese, Fuocoammare di Rosi).

La sera in cui ci “difese” da moglie e scorta. E il vaffa al giornalista

Nel panorama mondano degli anni Sessanta, c’era una bella anomalia: Sandro Pertini. Noi fotografi lo incontravamo la sera durante il nostro il giro di locali, quando uscivamo a caccia di personaggi pubblici da immortalare e poi rivendere alle riviste. Lui era quasi sempre seduto al ristorante, quasi sempre da solo, iconicamente accompagnato dalla sua pipa. Ci vedeva. Ci salutava. Pacche sulle spalle. E poi ci invitava a prendere il caffè per scambiare quattro chiacchiere. Non era ancora presidente della Camera, né tantomeno capo dello Stato, eppure ci piaceva, ci era simpatico, ogni tanto gli scattavamo una foto e il “tu” arrivava spontaneo. Questo rapporto non è mutato con gli anni e le responsabilità: una volta eletto al Quirinale diede indicazioni alla scorta di non importunarci “perché stanno lavorando”, parole sue; ma il massimo lo raggiunse una sera del 1980, al teatro Argentina di Roma: come raccontavo prima, la sera usciva quasi sempre da solo, la moglie non amava il clamore, preferiva andare oltre il semplice passo indietro. Quella sera no. C’era la prima del Cyrano. Pertini si presentò – con la coniuge – in frac, con tanto di papillon, ma non troppo disponibile ai nostri scatti. Fu lui a dettare la linea: “Carla, stai tranquilla, rappresentano uno dei pochi mestieri onesti di questo Paese”. Noi raggelati. Non ci potevamo credere. Ho ancora la sensazione del mio indice della mano destra irrigidito dallo stupore e dall’emozione: è il più grande regalo della mia carriera, ancor più grande di quando mi invitò nel continuare a dargli del tu: “Umbe’, ci conosciamo da una vita, per te sono Sandro”. “Non ci penso proprio, scoppierebbe un casino”. E pensare che lui era un duro, non uno tenero: un pomeriggio ho visto un giornalista avvicinarlo per ottenere un’intervista. Pertini lo ha guardato, si è tolto la pipa di bocca e ha chiuso in velocità la pratica: “Con quale coraggio osa? Mi ricordo benissimo cosa scrisse di me quando ero al confino”. E ricominciò a fumare.

“Scrivo per pagare l’affitto: la trama è da fruttivendole”

Anticipiamo stralci dell’intervista di Madeleine Chapsal a Louis-Ferdinand Céline (1957), edita ora in Italia da Stampa alternativa

Allora vuol dirci come scrive?

Sono uno stilista… diciamo… un maniaco dello stile… Mi diverto a fare piccole cose… A un uomo si chiede moltissimo, ma lui non può fare molto… Enorme illusione del mondo moderno chiedere a uno d’essere ora un Lavoisier… ora un Pasteur… di far tornare sempre i conti. Uno che trova qualcosina nuova è già tanto… già completamente sfinito! Ne ha per una vita!… Si parla di “messaggi”: mica mando messaggi alla gente, io. L’enciclopedia è stracolma di messaggi… niente di più volgare, a chilometri e tonnellate… e via con le filosofie, le visioni del mondo!

Come definirebbe ciò che ha inventato?

Come una musica… una musichetta calata nello stile, e basta. Tutto qui… La trama, perdio, è cosa secondaria… roba da fruttivendola… se non arrivi alla fruttivendola, manco arrivi alle grandi tirature… È questo che interessa al pubblico… che vuole l’automobile, gli alcolici e le ferie… Oggi, mica vai a leggere Balzac per sapere chi è un avaro o un medico condotto. Le trovi nei vostri giornali, nelle riviste, al cinema! E allora a chi importa un libro?… Una volta s’imparava a vivere, da un libro… Ma che belle trame, ora… pieni i giornali: ce n’è sulle carceri, sui manicomi!

Quando i lettori hanno comprato il Voyage hanno comprato una trama, non solo un nuovo stile.

Macché! Hanno comprato uno scandalo. Oggi invece chiunque ha facoltà o licenza per scrivere un romanzo… Lettere alla cuginetta, formato gigante!… Uguali dappertutto… né c’è medico o notaio senza il suo bel romanzo nel cassetto!

Ciò forse vuol dire che scrivere è un bisogno.

Sì, ma per colpa della… lavatrice… La moglie pensa: “Una lavatrice, che funzioni, costa 200.000 franchi…”. Il marito, lui, sa scrivere… articoli qua e là… Lei pensa sempre alla lavatrice… e un bel giorno… davanti alla vetrina fa: “Guarda un po’, è uscito l’ultimo libro della Sagan, se ne parla molto. Lo vendono a cinquecento franchi. Quant’è che s’incassa a copia? 20%?… Ah, 100 franchi a libro?”… Pensa sempre alla famosa lavatrice, lei!… e dice a lui: “Senti, tu non potresti?”… “Oh, io no, lo sai bene”… “Oh, ma sì che lo potresti fare un romanzo come quella lì. Non è così straordinario… io l’ho letto”… Allora, via! ecco che arriva un altro romanzo!… spedito a Gallimard… Ogni anno si zavorra di quattrocento romanzi, Gallimard… li butta nella Senna!… non li legge nessuno!… Il lettore vuol mangiare la verdura ben cotta e presentata… il piatto ben guarnito, con dentro la buona solita pappa!

Lei comunque si rivolge ai lettori…

È un artificio… Invece li disprezzo… quel che pensano e che non pensano!… Se ti preoccupi di quel che pensano, stai fresco!… No, non ce n’è bisogno: se legge, bene; se no, peggio per lui!… Il Voyage l’ho scritto per pagarmi un appartamento… semplicemente… Se no, giammai l’avrei pubblicato… Avessi una rendita, non pubblicherei nemmeno adesso… rinuncerei a tutto ’st’impiccio, e mi riposerei… Tutti parlano di pensione a quarantacinque anni… Ne ho sessantatré, io! Ho un proiettile nella testa e un braccio a pezzi… sono invalido al 75%. Forse basta… Mi son fatto due guerre.

Lei si definisce pacifista?

Contro la guerra da capo ai piedi, io che l’ho fatta… Una cosa diversa, la Francia: tutti sonnambuli prima del ’14, tutti filosofi dopo. Tutti impegolati nella critica con Sartre, Camus: loro credono che sia meglio “pensare”!… Io l’ho visto l’esercito, so cosa dico. Non stavo a correre dietro alla divisione in fuga, come Malraux!… Stavo davanti ai tedeschi, io… per fermarli. Questione di fegato: non è come dire “bellaciao”.

Lei crede che tutto finirà con la catastrofe atomica?

Non ce n’è bisogno. I cinesi non hanno che da farsi avanti, armi in spalla. Hanno dalla loro l’idra viva, la natalità… Scomparirà, la razza bianca… Il bianco non è un colore, ma un fondotinta! È il giallo, il colore vero.

Dopo il ’14 tutto è degenerato? Che spiegazione dà?

L’alcolismo, prima di tutto…: i milleduecento miliardi in alcolici che si bevono in Francia ogni anno… gran belle spugne!… Le so bene le virtù alcoliche… illusione di potenza… pericolosissima… illusione di forza… Parole e pretese a vanvera… Poi il fumo…: settecento miliardi l’anno. Ti dà sensazioni pseudopoetiche e apparentemente profonde, il fumo… e pure false idee… Io mi fiderei solo di uno che beve acqua… e che non è sempre lì a ruttare e a digerire! Cose che te l’abbrutiscono, l’uomo… Muore, e non ha mai pensato… però ha partecipato!… per cosa, ci si chiede… ma non importa!