Hazte Oir, gli ultrà cattolici e quegli incontri in Vaticano

È un’organizzazione segreta cattolica, fondata in Messico negli anni della Guerra fredda e della Rivoluzione cubana, quando gli Stati Uniti, il potere politico, economico e il clero combattevano il comunismo in America Latina e nel mondo. Si chiama El Yunque, ovvero l’incudine. È di estrema destra, accusata di avere una natura paramilitare e di operare come un servizio di intelligence, ed è una delle entità che ricorre con frequenza nel database di oltre 17mila documenti interni all’organizzazione spagnola Hazte Oir, che ha appena rivelato WikiLeaks, in esclusiva con Il Fatto, il giornale spagnolo Publico, quello tedesco Taz e il magazine messicano Contralinea.

I file non riguardano solo El Yunque: aprono uno squarcio nella vita quotidiana dell’organizzazione ultra-cattolica Hazte Oir, con sede a Madrid, e in quella del suo braccio internazionale, CitizenGO. Dal 2013 CitizenGO punta a mobilitare l’opinione pubblica mondiale, dall’Europa all’America fino alla Russia, contro aborto, eutanasia, diritti della comunità Lgbtqi, con un attivismo digitale fatto di petizioni, raccolte fondi, mobilitazioni ed eventi. Come il tour dell’autobus che nel 2017 lanciava messaggi contro le persone transgender: “I bambini sono maschi. Le bambine sono femmine”. CitizenGO, assieme all’organizzazione “madre” Hazte Oir – vivaio di candidati per il partito Vox – sono nella galassia degli organizzatori del famoso World Congress of Families, che nel 2019 si tenne con non poche polemiche a Verona (presente, tra gli altri, Matteo Salvini).

Quello che i file ora rivelano è che, almeno fino al 2014, Hazte Oir e CitizenGO hanno avuto contatti anche con esponenti del Vaticano e del mondo cattolico non reazionario, come per esempio monsignor Vincenzo Paglia, oggi presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Nel 2014, quando Paglia li incontrò, guidava il Pontificio Consiglio per la Famiglia. “Si è mostrato veramente avvicinabile”, scriveva HazteOir nel suo report interno. E di Marco Tarquinio, direttore del quotidiano dei vescovi Avvenire, dicevano: “Era desideroso di collaborare con noi”. Mentre di monsignor Stanislaw Rylko, allora al Pontificio Consiglio dei Laici, annotavano: “Non ci ha incontrato… è evidente che è influenzato da qualcuno che [gli consiglia] di evitarci almeno per il momento”. Oggi, sia Paglia che Tarquini, interpellati dal Fatto, prendono le distanze. “Nell’ambito del suo incarico di allora, mons. Paglia ha incontrato esponenti di associazioni e movimenti appartenenti al mondo cattolico, di diverse posizioni, per approfondimenti e scambi di idee”, dichiara il suo staff, aggiungendo: “Oggi non ha contatti col movimento indicato”. E Tarquinio: “Li incontrai, su loro richiesta, in quell’unica occasione: vennero per illustrare la loro iniziativa. Non si muovono con uno stile come il nostro e non abbiamo più avuto rapporti. La posizione del giornale e quella mia personale sono note e testimoniate ogni giorno da ciò che pubblichiamo (compresi i miei editoriali sul World Congress of Families di Verona). Ci costano critiche continue e spesso violente proprio da quei settori di opinione”.

Gli oltre 17mila documenti rivelati da WikiLeaks arrivano in piena guerra di religione e di politica sul ddl Zan, e permettono anche di ricostruire i profondi rapporti di Hazte Oir e CitizenGO con la destra cattolica e cristiana Usa e con gli ultraconservatori russi – come il ricchissimo Konstantin Malofeev e Alexey Komov – oltre che di scoprire una fittissima rete di donatori, dalla Spagna agli Stati Uniti. Nel caso dell’Italia, si tratta perlopiù di cittadini che inviano piccole somme, ma secondo un file del 2015, in Italia si sono registrati almeno 6.230 donatori che avevano versato a CitizenGO anche una sola volta. Il numero più alto di donatori in Europa, dopo la Polonia, culla del cattolicesimo reazionario.

Ci sono poi 460 file, nel database, sull’organizzazione El Yunque. Emersa pubblicamente nei primi anni del 2000, grazie al giornalista messicano Alvaro Delgado e al suo lavoro di ricerca sull’Archivo General de la Nación, i membri di El Yunque sono accusati di operare come fossero spie, di usare tecniche per evitare intercettazioni o pedinamenti, di porre sotto controllo i membri dell’organizzazione di cui non si fidano… Di questa setta si parla anche nei cablo della diplomazia americana rivelati da WikiLeaks nel 2010: veniva definita “l’organizzazione religiosa segreta cui alcuni membri conservatori del Pan [il Partito di destra del Messico] a quanto pare appartengono”.

Il database rivelato da WikiLeaks non contiene alcuna pistola fumante che dimostri che Hazte Oir sia controllata da El Yunque. Contiene invece copia di numerose azioni legali e richieste di rettifica contro chiunque negli anni si sia azzardato a mettere in relazione le due organizzazioni. Tra queste, c’è una lettera dell’avvocato e senatore leghista Simone Pillon che, agendo per conto di Hazte Oir, nell’aprile del 2015 chiedeva al sito di informazione cattolica Aleteia di rettificare un suo articolo proprio perché quest’ultimo collegava Hatze Oir a El Yunque.

Il database contiene anche una guida marcata come “riservata” su come gestire le comunicazioni coi media nel caso in cui ponessero “domande difficili su El Yunque”. Tra queste: “El Yunque esiste?”. La risposta suggerita: “Non ho prove dell’esistenza di una tale organizzazione”. Il Fatto Quotidiano ha contattato sia Hazte Oir e CitizenGo sia l’avvocato Pillon. Non hanno risposto.

Beffa cinese: “Floyd uno di noi”

“George Floyd è uno di noi”. Si potrebbe riassumere così uno dei messaggi principali di un nuovo network di disinformazione cinese che si serve di centinaia account fasulli su Twitter, Facebook e YouTube, per creare una narrazione anti-occidentale e a favore della Cina. Lo ha scoperto il britannico Centre for Information Resilience (CIR), che descrive il network in un rapporto rilanciato ieri sul sito della Bbc. Visto che parliamo di disinformazione, cominciamo a fare chiarezza sulla fonte. Il Cir, che vanta fra i suoi consulenti esperti occidentali di cybercrime e disinformazione, si definisce ‘impresa sociale non profit dedicata a identificare, contrastare e denunciare operazioni di influenza” con la missione di aumentare la consapevolezza pubblica delle minacce alla democrazia di operazioni di influenza, compresa la disinformazione, ed è membro di Social Enterprise UK, l’ente che certifica le aziende sociali. Lo hanno fondato Adam Robert Rutland, diplomatico britannico fino al 2018, e Ross Burley, tuttora consulente civile della Stabilisation Unit del governo britannico, unità speciale di esperti civili e militari che lavorano per evitare conflitti e superare crisi con mezzi diversi dalla deterrenza militare. Sono, in sintesi, esperti di campagne di influenza, propaganda e impatto politico con una identità professionale vicina al Foreign Office, il ministero degli Esteri britannico. Il rapporto è firmato da Benjamin Strick, detective digitale, collaboratore del sito di giornalismo investigativo BellingCat e già autore di altri studi su network cinesi simili.

Ha preso in esame circa 350 account su Twitter, circa 50 su Facebook e 12 su YouTube, tutti falsi, e ha rilevato una campagna coordinata di disinformazione su una serie di temi di attualità come le ingerenze Usa a Hong Kong, i diritti umani negli Usa, le accuse (provate anche dalla Bbc) di genocidio degli uiguri da parte del governo cinese, discriminazioni razziali sempre negli Stati Uniti, gestione del Covid nei Paesi occidentali, con lo scopo, scrive Strick, “di gettare benzina sul fuoco delle tensioni, confutare critiche alla Cina e condannare i governi occidentali”. La narrazione, prevedibilmente, a senso unico, si concentra sulle stragi dovute alla diffusione delle armi negli Usa, sulla condanna del pregiudizio contro afroamericani e asiatici, sul solipsismo della politica estera di Washington che, questo il tema di una delle campagne, avrebbe abbandonato l’alleato indiano nella lotta contro il Covid. Il rapporto non riesce a trovare prove conclusive che questo network sia affiliato o diretto dal governo cinese, ma dimostra come molti contenuti, postati in cinese e inglese, riecheggino messaggi analoghi apparsi nello stesso periodo su media affiliati al governo di Pechino, o a post di pubblici ufficiali cinesi. In altri casi, l’attacco a obiettivi occidentali è funzionale a condannare dissidenti cinesi o a negare accuse di violazione dei diritti umani, da parte di Pechino, contro il movimento pro democrazia di Hong Kong o contro la minoranza musulmana uigura nella regione autonoma dello Xinjiang. Entrambi dossier caldi nei rapporti fra la Cina e le potenze occidentali. Un esempio è il post del funzionario governativo Lijan Zhao, che scrive: “È un fatto storico comprovato che gli Stati Uniti abbiano usato schiavi neri per raccogliere il cotone. Chi ha usato il lavoro forzato? Non insultate lo Xinjiang, dove non c’è nessun lavoro forzato!”. O quello in cui il direttore di un importante media filogovernativo mette a confronto la violenza e le stragi negli Usa con “la pace e l’armonia” raggiunte in Xinjang grazie alla repressione brutale della minoranza musulmana.

Qualunque sia il mittente, i suoi obiettivi sono perfettamente allineati a quelli del governo cinese: ripulirsi l’immagine con una narrazione rivista e corretta rispetto a quella occidentale sulla Cina.

Con esiti a volte comici: inglese incerto, con errori da traduttore automatico mal programmato; immagini di profili generate da un algoritmo di intelligenza artificiale e quindi non realistiche a una disamina attenta; riattivazione di account dormienti già connessi a una precedente campagna di disinformazione già smantellata dai social coinvolti. Alcuni di quegli account, con identità occidentali fasulle, producono contenuti: altri servono a divulgarli, con like o condivisioni, per creare l’illusione di una massa critica da campagna spontanea.

Obiettivi e tecniche simili a quelle scoperte, in passato, da siti di verifica online come Graphika o BellingCat e noti come “Spamouflage Dragon”, cioè network di disinformazione del Dragone.

Metti “Guerre stellari” a Frosinone

Tra le più svariate ipotesi sulla paralisi subita dal database della Regione Lazio (complotto internazionale, Putin, la guerra dei mondi, le cavallette), la più strepitosa è quella lanciata ieri dalle colonne del Corriere della Sera: “Attacco hacker: il pc usato dal figlio dell’impiegato in smart working”. Se poi aggiungiamo che il fattaccio è accaduto in quel di Frosinone, be’ con un soggetto del genere avremmo a disposizione una perfetta commistione tra horror, fantasy e commedia all’italiana: Carlo Verdone più Dario Argento, per capirci. Se ne potrebbe trarre un episodio dei “Mostri 4.0”, con il ragazzo che, stremato dalla guerra contro gli orchi nel videogioco di ultima generazione, lascia il computer paterno colpevolmente acceso. Dopodiché, entità malvagie ma reali, travolto l’antivirus (montato in una cartoleria del luogo) come fosse uno stuzzicadenti, prendono possesso dei pc della famiglia Zingaretti (incluso quello di Montalbano) e quindi dell’intero pianeta. Purtroppo, con la variante Delta all’arrembaggio e la campagna di vaccinazione bloccata c’è poco da stare allegri se non fosse che la Sindrome ciociara nella sua drammatica banalità ripropone il tema della difficile convivenza tra il Grande fratello digitale e noi comuni mortali, soprattutto se bisognosi di assistenza. Soggetti tra cui da tempo non esiste più alcuna forma di umana comunicazione, con il Mario Rossi di turno costretto a interloquire con il tasto 1, 2 o 3. Cosa c’entri tutto ciò con la guerra criminale che ci è stata scatenata addosso da forze oscure (forse con la complicità di un giovanotto imbambolato) è presto detto. Con questi chiari di luna, tra un paio di settimane, con l’inizio del campionato di calcio, il computer collettivo della tifoseria in ansia potrebbe essere esposto a incursioni di ogni genere. Ragion per cui, un malaugurato attacco hacker contro Dazn (la cui affidabilità, in passato, suscitò, diciamo così, qualche perplessità) mentre si gioca Roma-Fiorentina, ma anche Cagliari-Spezia, sarebbe, questo sì, davvero intollerabile.

MailBox

 

“Conticidio”: il buono, il brutto e il cattivo

Le porcate che il governo Draghi sta facendo sulla giustizia e sull’ambiente spiegano perché è caduto il governo Conte-2. I poteri occulti, le lobby finanziarie, gli industriali padroni dei media son stati i mandanti del “Conticidio”, Renzi la pistola che ha sparato, Draghi il becchino.

Aurelio Scuppa

 

Caro Aurelio, condivido tutto, tranne un particolare: quei poteri non sono occulti, ma palesi: si vedono ogni giorno a occhio nudo.

M. Trav.

 

L’eclatante paradosso di Draghi e gli esperti

A pagina 7 del Fatto del 31 luglio leggo nel titolo le parole di Draghi: “Gli esperti? Se li ascolti troppo poi non fai nulla”. Dunque non dovremmo stare troppo ad ascoltare nemmeno lui, che è senza dubbio, un esperto.

Sembra quasi la storia di quel povero barbiere che, tutta colpa di un paradosso della logica, non poteva radersi ma neppure non radersi. “Il barbiere rade tutti quelli che non si radono da sé”… un calembour divertente. Ma è il “troppo” a inquietarmi un po’. Come regolarsi nell’ascolto degli esperti? A caso, un tanto per cento, oppure secondo certe opportunità?

Annamaria Guerrini

 

La Fondazione del Fatto e il sostegno dei lettori

Plaudo calorosamente l’annuncio del vostro progetto di lanciare una Fondazione a scopo umanitario. In un mondo in cui quasi tutti si occupano e si preoccupano solo di far quattrini, la vostra iniziativa è quanto mai lodevole e ad essa non farò certo mancare il mio, sia pur modesto, supporto.

Il Fatto Quotidiano si dimostra ancora una volta diverso, in meglio, rispetto agli altri giornali. Complimenti alla presidente, al direttore, alla redazione tutta. Suggerisco di concentrarsi su pronto soccorsi e ospedali. Si deve riorganizzare il sistema informatico, in quanto non è più immaginabile che i medici del territorio non abbiano un sistema unico che permetta loro di dialogare e condividere informazioni con l’ospedale e con l’amministrazione.

L’arretratezza informatica è sconfortante, ma il Ministero per l’Innovazione tecnologica e transizione digitale, oltre al Ministero della Sanità, se ne occupano? Lo faranno? Non ho letto nulla in merito.

René Verza

 

“Vorrei vedere di nuovo il direttore su La7”

Una delle presenze critiche più piacevoli su La7 era quella di Marco. Come mai non viene più ospitato? La Concita non gradisce? Oppure è accusato di “lesa draghità” su tutto il territorio nazionale? Marco non mollare!

Salvatore Castiglia

 

Altre morti sul lavoro: l’ipocrisia della politica

Il 3 maggio 2021 Luana D’Orazio, operaia, muore stritolata dal macchinario con il quale lavorava. Il 3 agosto 2021 Laila El Harim, operaia, muore stritolata dal macchinario con il quale lavorava. Non è cambiato niente, nonostante le ipocrite lacrime di tutte le più alte autorità del Paese, di tutti i leader politici e sindacali. Fiumi di retorica hanno sommerso il corpo straziato di Luana: un coro unanime ripeteva col ciglio umido: “non deve accadere mai più”. A tre mesi esatti di distanza, invece, è accaduto ancora. Laila probabilmente subirà meno retorica: siamo in estate, la gente pensa alle vacanze, i nostri politici, i nostri sindacalisti, avranno meno interesse a piangere in favore di telecamere.

Le cose non cambiano, i lavoratori muoiono, perché lo vuole il “sistema”: il governo per quali fini fa le sue scelte? Aumentare la produzione, far crescere il Pil, rendere il lavoro “più flessibile”, sbloccare i licenziamenti.

Questo stanno facendo i nostri governanti, gli impegni millantati sulla bara di Luana: “maggiori controlli”, “inasprimento delle pene per chi non rispetta le norme antinfortunistiche” si sono rivelate tutte balle, nulla è stato fatto per ridurre gli incidenti, anche nella riforma Cartabia non è contemplato il reato di “omicidio sul lavoro”. Luana, Laila e tutte le migliaia di vittime che ogni anno cadono sull’altare del dio profitto sono “l’inevitabile” conseguenza delle leggi economiche vigenti. Almeno ci fosse il coraggio di ammetterlo, ci risparmieremmo il voltastomaco che danno certe frasi ipocrite e false, certe facce fintamente addolorate, mentre si esibiscono a reti unificate.

Mauro Chiostri

 

Il “mio” giornale sotto assedio: non mollate!

Il cannone mediatico “sparamerda” su di voi sta assumendo livelli sempre più alti e questo mi preoccupa. Vorrei esprimere la mia gratitudine a tutta la redazione: siete l’unico giornale che ci informa, tenete duro!

Fabio Parenti

Ponte Morandi. La riforma Cartabia non deve lasciare impuniti i colpevoli

 

Gentile redazione, a seguito delle modifiche della “salvaladri” della signora Cartabia, non ho ben capito se i responsabili della morte dei 43 poveretti venuti giù col ponte Morandi che si sbriciolava, la sfangheranno o no.

Paolo Sanna

 

Gentile Paolo, la sola ipotesi che una riforma della Giustizia possa mettere in pericolo il processo per i morti del ponte Morandi è politicamente insostenibile, oltre che inaccettabile. Non a caso, dopo la circolazione delle prime bozze, la ministra Cartabia ha tenuto a precisare che l’inchiesta sul disastro di Genova (proprio quella) sarebbe rimasta fuori dalle nuove regole, che si applicheranno (in teoria) a reati commessi dopo il 1° gennaio 2020. Questa affermazione si basa su un assunto: la legge introduce l’inedita istituzione della prescrizione “procedurale”; in altre parole a scadere è il processo e non il reato (la cui prescrizione sostanziale, come previsto dalla legge Bonafede, si interrompe dopo la sentenza di primo grado). Questo passaggio è importante perché, sempre in teoria, le norme “procedurali” (che cambiano cioè la “procedura” e non la “sostanza”), anche se migliorative per il reo, non sono necessariamente retroattive: si traccia una linea e si decide che, da una certa data in avanti, il processo cambierà regole. Viceversa, questo non sarebbe possibile nel caso in cui una nuova norma più favorevole per un imputato (favor rei) intervenisse sulla sostanza. E qui sta il problema: cosa c’è di più sostanziale di una norma che può cambiare (addirittura cancellare) una pena?

Ipotizziamo che un imputato venga condannato e che questa sentenza venga confermata in appello e poi in Cassazione. Se l’appello durasse più di due anni, o la Cassazione più di uno (senza dimenticare che in Italia esistono gli appelli bis o tris), è scontato che l’avvocato presenti una eccezione di costituzionalità alla Consulta, sulla base del principio del favor rei. Tale ricorso sarebbe tutt’altro che infondato.

Di certo c’è una cosa: dall’ultima versione del testo, a valle delle modifiche richieste da Conte, i disastri colposi restano fuori dalle deroghe previste per “reati gravi e gravissimi”. È sufficiente richiamare le stragi di Viareggio, Rigopiano, il ponte Morandi e da ultimo Stresa, vicende italiane che presentano aspetti ricorrenti: accertamenti lunghi e complessi; responsabilità gravissime e difficili da accertare; contesti sistemici dove spesso si intrecciano tagli alla sicurezza e interessi economici; la necessità di invertire la rotta, per evitare che eventi simili riaccadano. Ecco perché un segnale di impunità sarebbe oltremodo devastante, oltre che uno schiaffo per le vittime e i loro cari.

Marco Grasso

Scuola, nulla è stato fatto per riaprire in totale sicurezza

Sia pure in ritardo, uno dopo l’altro, se ne stanno accorgendo un po’ tutti: il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, il sociologo Luca Ricolfi, l’infettivologo caro al centrodestra Matteo Bassetti, i sindacati e anche i colleghi di Libero, il quotidiano della famiglia Angelucci ormai fieramente schierato in favore di Mario Draghi. In questi mesi si è fatto poco, o meglio niente, per garantire una ripartenza in sicurezza della scuola. Il governo ha promesso che il prossimo anno i nostri studenti non saranno più costretti alla Dad, la didattica a distanza. E per mantenere la promessa ha scelto la strada più semplice e pericolosa. Forte di un parere del Comitato tecnico-scientifico, ha stabilito che in classe il distanziamento tra individui ci sarà solo “ove possibile”. Se invece per mancanza di spazi bambini e ragazzi si ritroveranno ammassati (le classi pollaio) sarà sufficiente indossare le mascherine per non entrare in Dad.

La situazione è triste. Perché, forti della lezione dell’anno precedente, per ridurre i rischi sarebbe bastato davvero poco. Per esempio cominciare a cercare già a maggio dei nuovi stabili in cui allargare gli istituti, approfittando dell’estate per i lavori di ristrutturazione e spingere i prefetti a coordinare aperture a orari differenziati di scuole, uffici, negozi e fabbriche in modo da evitare l’affollamento sui mezzi pubblici. Nel 2020, quando l’Italia si era trovata a fronteggiare un fenomeno nuovo e terribile come la pandemia, durante la bella stagione erano state create, a partire dal 7 luglio, circa 40 mila nuove aule ed erano stati firmati 70 mila contratti per seguire le classi “sdoppiate”. Tutto questo, è vero, non era bastato per evitare le chiusure. Ma non perché la strada scelta fosse sbagliata. Ma perché le aule non erano abbastanza.

Nel 2021 era insomma necessario far di più e invece si è finito per far di meno. Tanto che se lo scorso anno per il personale aggiuntivo erano stati stanziati 1 miliardo e 800 milioni di euro, oggi i milioni sono solo 400. Seicentosessanta milioni erano poi stati investiti nelle ristrutturazioni leggere, 70 milioni per gli affitti e 300 per i trasporti. Quest’anno invece di spazi nuovi si è parlato solo ieri, 5 agosto, con 270 milioni di fondi in totale. Come mai? C’è chi, come l’infettivologo Bassetti, mai tenero con il precedente governo, risponde con una battuta: “Era meglio Lucia Azzolina”. Noi invece ci teniamo lontani dai giudizi personali e crediamo che alla base dei tanti mesi persi ci sia stata una valutazione ottimistica ed errata che ha spinto il nuovo esecutivo a ritenere in via di risoluzione solo con le vaccinazioni la questione Coronavirus. Di fatto, il governo non ha preso nemmeno in esame la possibilità che qualcosa nella campagna vaccinale andasse storto (mancano all’appello ancora due milioni e mezzo di over 60 e la stragrande maggioranza dei teenager) e non ha nemmeno pensato che per chi ha meno di 12 anni il vaccino non è possibile. Insomma ha accettato di correre un pericolo senza predisporre un piano b.

Noi, ovviamente, incrociamo le dita e speriamo, di cuore, che la variante Delta e le altre possibili mutazioni del virus non combinino disastri. Ma crediamo che questa storia debba servire da lezione. Nel 2020 la stampa e le opposizioni con i loro attacchi continui e feroci al vecchio governo – a volte motivati, più spesso no – almeno un risultato positivo l’avevano ottenuto. Avevano spinto chi era pro tempore al potere a dare il massimo. Oggi con il governo del tutti dentro e i media messi a pecora, i nodi vengono invece al pettine in grave ritardo. Perché di fatto il pettine non c’è.

Bye bye Lukaku: l’Inter è “pazza”, ma tutto il calcio è in svendita

Persone assennate cercano di attenuare la nostra furia di tifosi addolorati mostrandoci, cifre alla mano, il come e il perché l’Inter non possa permettersi di non vendere Lukaku, cioè il suo miglior attaccante, il gigante buono divenuto simbolo della nostra riscossa. Dopo che ha già venduto il miglior terzino destro disponibile su piazza, Hakimi, e dopo essersi liberata di un allenatore antipatico ma vincente come Antonio Conte, artefice dello scudetto atteso da undici anni. Riuscirà difficile alla proprietà cinese scaricare sul giocatore, a cui il Chelsea propone quasi il raddoppio dello stipendio, la responsabilità della scelta. Fino a ieri Lukaku, esempio virtuoso di sportività e altruismo in campo e fuori, ha ribadito più volte di trovarsi benissimo nelle vesti di “re di Milano”. Posso comprendere che sotto gli ombrelloni i tifosi di altre squadre godano delle disgrazie di un’Inter ritornata pazza e in svendita – fa parte del gioco – ma vorrei invitarli a un attimo di resipiscenza: il precedente è clamoroso, segna una degenerazione del calcio solo anticipata dalla fallita secessione della Superlega europea dei ricchi e dalla sarabanda dei diritti tv; insomma, preannuncia umiliazioni che verranno inflitte anche a chi è innamorato di altri colori. La vendita improvvisa di Lukaku, a due settimane dall’inizio del campionato, configura lo smantellamento rapido di una società che prima del Covid portava 66 mila spettatori paganti a San Siro. Significherebbe cioè che il calcio di alto livello sia destinato a rimanere ostaggio di pochissimi oligarchi, sempre di meno, in grado di sperperare cifre insensate a tutela dei loro interessi extrasportivi. Attenti perché se succede all’Inter vuol dire che potrà succedere anche alla vostra squadra. Non conosciamo le dinamiche che intercorrono fra il gruppo Suning e il regime cinese: Nanchino è troppo lontana. L’unica spiegazione logica di andare all’incasso dei 130 milioni che Abramovic sembra disposto a scucire per portare Lukaku al Chelsea è che appena possibile Suning voglia liberarsi di tutta quanta l’Inter, dopo aver fatto fatica a pagare lo stipendio dei calciatori nella stagione scorsa. A maggior ragione, si tratta di un problema più generale. Cosa ne sarà del calcio italiano campione d’Europa? Sarà ancora possibile immaginare tornei competitivi, in grado di coinvolgere ogni settimana un grande pubblico televisivo e in presenza, senza affrontare il tema del tetto alle maxi-cessioni e ai maxi-ingaggi? Gli esperti di bilanci sostengono che i cinesi avrebbero potuto ottenere entrate ben maggiori dalla squadra vincente che stanno mettendo in liquidazione. Ma questo richiederebbe non solo una migliore gestione del marketing, ha a che fare con l’assetto proprietario di società capaci di suscitare la passione di milioni di sostenitori che oggi si sentono tagliati completamente fuori. Per questo, da un’idea di Roberto Zaccaria, è nata Interspac: progetto di azionariato popolare e diffuso delle nostre squadre del cuore. Col suo solo annuncio ha ottenuto l’interessamento di oltre centomila appassionati che hanno risposto a un questionario online (lo trovate su interspac.eu e non si rivolge solo ai tifosi nerazzurri). Il calcio del futuro non può fare a meno di progetti di partecipazione dal basso come questo. A scorrere l’elenco dei testimonial di Interspac si va dalla A di Altobelli alla Z di Zenga, passando per la B di Bergomi e la M di Materazzi. Il Fatto c’è dentro con Peter Gomez e il sottoscritto. Esistono già modelli virtuosi di azionariato popolare, come quello del Bayern di Monaco. Il 24 settembre verrà presentato un business plan, elaborato da Carlo Cottarelli, che riguarda l’Inter ma che potrebbe essere ripreso dai tifosi di altre squadre desiderosi di diventare protagonisti e non più solo soggetti passivi di manovre speculative mordi e fuggi. Speriamo che non sia troppo tardi.

 

I diritti degli africani alla mercé dei maiali

Al vertice organizzato a Roma dalla Fao, il segretario generale dell’Onu, Antonio Gutérres, ha affermato: “La povertà, la disparità di reddito e l’alto costo del cibo continuano a tenere le diete sane fuori dalla portata di circa tre miliardi di persone”. Di rincalzo è venuta l’assistente di Gutérres, Agnes Kalibata, per i problemi alimentari nel mondo: “I sistemi alimentari sono locali, ogni Paese deve definire come cambiarli. Per questo ho insistito per coinvolgere i piccoli agricoltori e le comunità indigene che producono il 60-80% di cibo nel mondo”.

Anche se l’Onu non conta ormai più nulla, almeno qualcuno, a quel livello, ha capito che i problemi alimentari dei Paesi dell’Africa subsahariana – perché di questi soprattutto si tratta – non si risolvono con un ipocrita “aiutiamoli a casa loro” ma lasciando, come dice Agnes Kalibata, che siano gli indigeni a decidere come risolvere i propri problemi alimentari seguendo le tradizioni delle colture autoctone. Non è infatti che negli ultimi decenni i neri africani siano rimasti fermi. Secondo dati Fao, un po’ datati ma nella sostanza ancora validi, negli ultimi quarant’anni la produzione dei cereali base, riso, grano e mais, è aumentata rispettivamente del 30, 40 e 50%. E a questa crescita hanno contribuito in modo preponderante proprio le comunità indigene dei Paesi cosiddetti sottosviluppati, se è vero, come dice Agnes Kalibata, che costoro producono “il 60-80% del cibo nel mondo”. E allora perché queste comunità sono alla fame, come è drammaticamente documentato dalle migrazioni bibliche che ci vengono soprattutto dall’Africa centrale? Perché in un’economia mondiale integrata, di mercato e monetaria, il cibo non va dove ce n’è bisogno, va dove c’è il denaro per acquistarlo. Va ai maiali dei ricchi americani e, in generale, al bestiame dei Paesi industrializzati (sempre secondo dati Fao il 66% della produzione mondiale dei cereali è destinato alla alimentazione degli animali dei Paesi industrializzati). Cioè i poveri del Terzo mondo non producono cibo per sfamare se stessi , ma per nutrire i maiali occidentali, dove per “maiali” non si intendono solo le bestie in senso proprio, ma in modo più lato gli occidentali stessi, italiani ovviamente compresi. La fame in Africa Nera, come ho documentato nel mio libro Il vizio oscuro dell’Occidente, è stata provocata dall’intrusione in quel mondo, con le buone o con le cattive, del nostro modello di sviluppo. Fino agli inizi degli anni Sessanta, l’Africa Nera era alimentarmente autosufficiente, ma era un mercato troppo povero perché potesse interessare i Paesi industrializzati. Ma più o meno in quel periodo questi Paesi, poiché i loro mercati, alimentari e non, erano saturi, dovettero cercarne altri e l’Africa, allora animista e non ancora ideologizzata in senso islamico, non ebbe la capacità e la forza di difendersi da questa invasione economica. E qui inizia il patatrac. Va posto innanzitutto un problema teorico, ma che ha effetti drammaticamente pratici. Le aziende dei Paesi industrializzati possono o no andare a cercarsi il luogo del mondo dove il loro capitale è meglio remunerato? Sì, possono. E allora lo stesso diritto non dovrebbe spettare agli uomini che spesso sono ridotti alla fame proprio dall’introduzione nella loro vita del nostro modello? Cioè il capitale, il denaro, ha più diritti degli uomini? È una tesi che farebbe arrossire anche il vecchio Adolf, ma è ciò che in realtà avviene. Per salvarsi la coscienza si dice che, in fondo gli immigrati ci sono utili perché surrogano la nostra mancanza di vitalità (in Italia il tasso di fertilità per donna è 1,3, il più basso al mondo dopo il Giappone, in Medio Oriente è del 2,5, nell’Africa subsahariana è del 5) e fanno lavori a cui i nostri giovani non sono più disposti. A parte che paghiamo a questi immigrati cifre irrisorie per un lavoro durissimo (la Puglia del caporalato ne è uno sconcio esempio) questo discorso, indubbiamente pragmatico, io non l’accetto. Perché guarda al dramma delle immigrazioni, ormai migrazioni, sempre e solo dal nostro punto di vista, dal punto di vista dei vantaggi osceni che ne possiamo ricavare. Matteo Salvini, credendosi ancora ministro degli Interni, mentre è solo uno dei parlamentari che sostiene questa caotica maggioranza, spara a zero sull’attuale ministro Luciana Lamorgese perché ha lasciato sbarcare 800 migranti a Lampedusa. Ora, se Salvini e tutti gli imprenditori, le aziende, i bottegai che rappresenta sono disposti a ritirare le loro devastanti attività dall’Africa centrale allora ha anche il diritto di sparare sui migranti, altrimenti deve accettare (prendo ovviamente Salvini come il più miserabile degli esempi) che la bomba che lui stesso ha innescato gli scoppi fra i piedi.

 

Né Vacanze né matrimoni, l’inesistenza di Dio e il comma al mascarpone

E per la serie “L’amore al tempo delle calorie”, la posta della settimana

Caro Daniele, consigli per le vacanze? (Aldo Ferracuti, Fermo). Resta a casa, così risparmi i soldi: chissà, magari un giorno potranno valere qualcosa. Io e la mia compagna invece andremo a Parigi, a vedere la torre Eiffel. La famosa torre pendente Eiffel. Ci andremo col camper. Il viaggio sarà lungo, ma ci daremo il cambio alla guida ogni tre metri e mezzo. Spero che Parigi non sia orribile come quel posto in Belgio dove siamo stati due anni fa. Era uno di quei posti che hanno due sole stagioni: inverno e lavori in corso. Era talmente brutto che i negozi di souvenir vendevano cartoline di altri posti. Parli sempre malissimo del matrimonio. Ma tu sei mai stato sposato? Come fai a parlarne con cognizione di causa? (Monica Ferluga, Trieste). Non sono neppure mai stato in prigione, ma credo di sapere che non voglio andarci. Non ho mai capito perché chi è sposato insista così tanto a volerti far sposare, anche se mi rendo conto che una famiglia ci dà gioie che superano quella di venire in faccia a una modella. “Perché non ti sposi? Perché non ti sposi?” Io non dico mai: “Ehi, perché non divorzi?” Ok. Metti che ti sposi, poi tua moglie si ammali e abbia bisogno di un trapianto di rene. Vuoi davvero avere la possibilità che proprio uno dei tuoi sia compatibile? Riflettici. Che prove hai che Dio non esiste? (Carlo Napoli, Foggia). La prova definitiva è una notizia di qualche mese fa: “Rovigo. Cade acquasantiera, muore bambina”. Hai avuto molte donne? Cosa ti hanno insegnato? (Federica Girmi, Milano). Sono entrato nella vita a circa 16 anni, svezzato da un’amica di mamma. Da allora ho avuto relazioni con un certo numero di donne molto interessanti, e tutte mi hanno insegnato qualcosa. Una mi ha insegnato a cuocere i gamberoni, un’altra a strizzare la bustina di tè avvolgendone il filo attorno al cucchiaino con cui la raccogli dall’acqua bollente, un’altra a riporre i calzini lavati e asciugati appallottolandoli uno dentro l’altro, una mi ha spiegato il linguaggio corporeo segreto delle donne (è come se mi avesse consegnato la macchina Enigma: quando guardo una donna che mi piace, e lei se ne accorge, capisco subito se gradisce la mia attenzione, e fino a che punto; e in generale individuo all’istante se sta mentendo, orgasmo e tradimento compresi. È uno dei motivi, credo, per cui le mie storie non durano più di sei mesi: belle come sono, e dunque abituate da tutta una vita a giocare coi maschi come il gatto coi topolini, per loro sono kryptonite, si sentono di colpo senza alcun potere. Non possono reggere, un’altra ha sviluppato la mia sensibilità artistica, un’altra quella sociale, un’altra quella estetica. L’ultima, una Bardot dipinta da Botero, è un’istruttrice di “fist fucking”. Stiamo insieme da sei mesi. Il pestaggio di Stato nel carcere di Santa Maria Capua Vetere è un reato multiplo: tortura, maltrattamenti, lesioni, depistaggio, falso. Per questi reati i tempi del processo d’appello vengono fissati in soli 24 mesi, trascorsi i quali scatta l’improcedibilità Cartabia, in pratica la cancellazione del processo e quindi dei reati. Come faranno a concludere un processo, con un centinaio di imputati, centinaia di parti offese, in soli due anni in un distretto giudiziario dove in media durano oltre quattro? Nessuno pensa alle vittime? (Franco Migliavacca, Catanzaro). Non hai letto il comma aggiunto su pressione dei Cinquestelle? Le vittime di reati improcedibili, se promettono di comportarsi bene, potranno leccare il frullino del mascarpone.

 

Repubblica, nuovo organo Dimaiano

Andandoa memoria è probabilmente la prima volta che Repubblica – già giornale partito del centrosinistra e oggi quotidiano esperto di auto e Mossad finito in mano ai reduci del vecchio Pri – dedica un pezzo elogiativo a un esponente del M5S. È accaduto ieri per la penna scattante come Marcell Jacobs di Stefano Folli: un commento che eleva Luigi Di Maio a grande stabilizzatore del governo Draghi. Ovviamente in contrapposizione all’odiato Giuseppe Conte, che fa pure killerare i suoi avversari dal “giornale di riferimento del contismo”, cioè noi, il Fatto. Ormai Repubblica, politicamente parlando, è l’equivalente di Renzi nel giornalismo.
Il nulla che si fa tattica e che in questo caso intende costruire un cordone moderato e andreottiano attorno al dogma mariano di Draghi: la riabilitazione di Berlusconi, la passione per il pragmatismo del leghista Giorgetti (qui siamo al sadomasochismo puro) e adesso Di Maio. Che un po’ andreottiano, a dire il vero, lo è nella gestione del potere. E ora ha l’ambizione dalemiana di dare la linea ai 5S nonostante la leadership di Conte. Dopo la professione di garantismo al Foglio, adesso c’è pure la patente di affidabilità vidimata da Folli. Alla prossima puntata.