Serpenti che parlano, nasi rotti sul muro e bici per dimagrire

“Dio? Il suo primo errore è stato il serpente parlante”

(Ricky Gervais)

LE STRUTTURE ANTROPOLOGICHE DELL’IMMAGINARIO
E LA PRASSI DIVERTENTE

Come dicevamo la volta scorsa, l’antropologia dell’immaginario di Gilbert Durand (1963) classifica le immagini seguendone la produzione lungo il tragitto antropologico che dai riflessi primari arriva alla socio-cultura. I simboli che animano l’immaginario umano si manifestano sotto l’aspetto di tre schemi d’azione (distinguere, confondere, unire) che corrispondono ai tre gruppi di strutture della classificazione psicologica dei simboli (strutture eroiche, mistiche, drammatiche), ai tre riflessi dominanti della fisiologia (posturale, digestivo, copulatorio), ai tre principi logici (contraddizione, similitudine, causalità), retorici (antitesi, analogia, diacronia) e poetici (identità, viscosità, ritmo), e ai tre effetti divertenti (comico, spiritoso, umoristico). Un comico può avvantaggiarsene per creare gag più efficaci, poiché ogni gag crea nello spettatore uno stato di coscienza particolare (un’immagine buffa) che è una trama di corrispondenze fra espressione, contenuto, salienza psicologica e struttura antropologica dell’immaginario. “Andare in bici mi ha aiutato a perdere peso. Una cosa bellissima. Mi ero stufata dei maschi che avevano erezioni per la mia personalità”. (Beth Stelling)

Correlazione fra modelli

Vediamo dunque le correlazioni fra i modelli utilizzati per questo lavoro (Gruppo di Liegi, Durand, Freud, Greimas, Girard, Laborit). Se la mediazione fallita riguarda isotopie che materializzano l’opposizione Anthropos/Cosmos secondo campi semantici relativi all’azione, l’effetto divertente è in relazione analogica con i riflessi posturali: effetto comico (“sono un bambino”). “Al sorgere dell’alba il fantasma scomparve attraverso il muro e Dubbs, nel tentativo di seguirlo, si ruppe il naso” (Woody Allen). Se la mediazione fallita riguarda isotopie che materializzano l’opposizione Anthropos/Cosmos secondo campi semantici relativi al pensiero, l’effetto divertente è in relazione analogica con i riflessi digestivi: effetto spiritoso (“ho idee pericolose”). “Una volta sono uscita con un ragazzo che non voleva mettermelo dietro. Gli ho detto: “Cosa sei, un idiota? Non lo sai che se mettessi su Craiglist l’annuncio ‘Piccola femmina asiatica cerca anale’, Internet esploderebbe?” (Ali Wong). Se la mediazione fallita riguarda isotopie che materializzano l’opposizione Anthropos/Cosmos secondo campi semantici relativi all’emozione, l’effetto divertente è in relazione analogica con i riflessi ritmici: effetto umoristico (“sono un cinico”). “All’anulare porto una fede molto semplice, perché sono contraria ai diamanti. Una volta in tv ho visto un documentario su questi bambini africani che…Sto scherzando. È al verde” (Michelle Buteau).

Ai tre schemi d’azione/gruppi di strutture di Durand corrispondono i tre momenti strutturali dello schema narrativo di Greimas: contratto = unire (strutture drammatiche); azione = confondere (strutture mistiche); sanzione = distinguere (strutture eroiche).

I simboli dell’immaginario umano sono riuniti nella doppia polarità diurna (struttura eroica) e notturna (strutture mistiche e drammatiche), la quale rimanda alla doppia polarità del simbolo (diviso fra significante e significato), e a quella della simbolica tutta intera (divisa in ermeneutiche riduttive, o archeologiche, come quella di Freud e Girard, e amplificative, o escatologiche, come quella di Bachelard e Durand: da una parte la denuncia della maschera, le immagini particolari che contraffanno pulsioni e desideri, dall’altra lo svelamento dell’universale). La tensione fra le due polarità costituisce l’attività dialettica dell’immaginario. Ne è un’eco la dialettica fra tragedia (la colpa ricade sul figlio) e commedia (la colpa ricade sul padre). “Il mio corpo è il mio tempio perché ogni tanto c’è dentro il mio rabbino” (Jamie Lee).

Secondo Durand, la funzione dell’immaginazione simbolica è quella di negare eticamente il negativo, negare il niente della morte e del tempo. Questa sua interpretazione amplificativa viene equilibrata da quella riduttiva: come i modelli di Greimas (1979) e di Girard (2006), anche quello di Durand può essere letto come una metafora dell’organizzazione funzionale del sistema nervoso preposta alla sopravvivenza istintiva, il sistema pericolo/azione/ricompensa descritto da Laborit (1976).

DIALETTICHE DELLA PRASSI DIVERTENTE

In ogni gruppo umano, le strutture storico-politiche e psico-sociali sono in relazione dialettica con i simboli artistici, mitici, ideali. Ne conseguono vari fenomeni, fra cui il malessere di una società quando il respiro dell’immaginario è bloccato artatamente su una struttura (come nelle dittature, la cui propaganda deve insistere sulle strutture antitetiche); l’effetto terapeutico dell’arte, fino alla sociatria, come nel caso della società apollinea degli Zuñi, dove la valvola di sicurezza dionisiaca è data dal simbolismo saturnale dei clown Koyemshis (Cazeneuve, 1971); e la possibilità per i comici di opporre a qualunque ortodossia sabotaggi tanto più micidiali quanto più mirati alla specificità del blocco in atto.

Dialettiche nella comicità

La comicità è luogo di numerose dialettiche. Per esempio, nella gag c’è la dialettica fra premessa (maschera) e punchline (svelamento); nella coppia comica, fra il Bianco (la malinconia) e l’Augusto (l’euforia); nel plot comico, fra gli equivoci dovuti a sosia o gemelli; nella struttura narrativa, fra il plot comico principale amoroso e quello secondario che ne è una parodia; nelle immagini comiche, fra quelle diurne (giocate sull’identità) e quelle notturne (giocate sulla similitudine e sulla causalità).

Valore antropologico della comicità

Alla lunga, la prassi divertente è sempre eufemizzante. Ciò significa che è in relazione analogica con il riflesso digestivo, l’azione del confondere, il principio di similitudine, l’archetipo del centro, e le strutture mistiche. Un comico evoca, con la sua grazia, l’archetipo degli archetipi: l’infanzia. Per l’immaginario, l’infanzia è il bene supremo, concreto, autorizzato, efficace. La comicità è teofania del Puer aeternus, del caldo sole della fanciullezza che ci porta al più alto grado di gioia. “La notte scorsa ho sentito i miei genitori che litigavano a causa mia. Urlavano cose tipo: ‘Te lo dicevo che sarebbe sopravvissuto!’” (Emo Philips)

(66. Continua)

Bolsonaro è pronto per il voto Prevede brogli, come nel 2014

Calo di consenso, richieste di impeachment per corruzione. Il presidente Jair Bolsonaro già prevede brogli.

L’ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva è dato in testa nelle intenzioni di voto alle prossime elezioni presidenziali del 2022 con il 43,3%, contro il 38,2% di Jair Bolsonaro. L’attuale presidente inoltre è sotto assedio: una settimana fa per chiederne l’impeachment – non appena uscito dall’ospedale dove è stato ricoverato per un’ostruzione intestinale – sono scese in piazza migliaia di persone in 20 Stati brasiliani. In mascherina e vestite di rosso hanno marciato allo slogan di “Fuori il criminale corrotto”, in riferimento all’ultimo scandalo che coinvolge il suo governo, accusato di aver preso le mazzette sui vaccini anti-Covid. Così “il Messia” ha deciso che fosse giunto il momento di iniziare a gridare ai brogli: passati e futuri. Quanto ai primi, nella diretta settimanale, si è sbizzarrito spiegando ai cittadini le frodi elettorali delle macchine per il voto elettronico. Peccato che – pur avendole promesse ben 4 anni fa – neanche in questa occasione Bolsonaro sia stato in grado di fornire le prove di tali manomissioni delle urne. “Non c’è modo di dimostrare che le elezioni sono state truccate. Sono segni. Un crimine è svelato con diversi segni. Presenteremo diversi segni qui”, ha detto. E come se non bastasse ha ribaltato il punto di vista: “A coloro che mi accusano di non presentare prove, rispondo: presentino prove che esso (il sistema elettorale) non è frodabile”, ha dichiarato. Tuttavia ha tentato una sorta di dimostrazione dei brogli mettendo insieme un serie di vecchi video che circolano da anni sul Web. Analisi matematiche dubbie, conteggi e statistiche fantasiose addossate al Tribunale elettorale. Calcoli tutti sbagliati, secondo gli esperti intervistati dalla Bbc e smentiti in diretta dalla Corte. Bolsonaro ha anche accusato il Tse di aver fatto il sondaggio in una “stanza segreta”, insinuando che ciò servirebbe a favorire, ovviamente, l’elezione del suo acerrimo rivale, Lula.

Attacco nel Golfo di Oman Per Israele c’è dietro l’Iran

Risale la tensione tra Iran e Israele, dopo che la petroliera Mercer Street è stata attaccata – pare con un drone – nel Golfo di Oman. Israele attribuisce la responsabilità dell’azione all’Iran, che si prepara a un avvicendamento alla presidenza e sfodera toni aggressivi verso l’Occidente, mentre dall’interno del Paese vengono notizie di rivolte dell’acqua e voci non confermate di attacchi informatici al sistema ferroviario.

Due membri dell’equipaggio della Mercer Street, un britannico e un rumeno, sono rimasti uccisi nell’attacco, mentre la petroliera navigava presso l’isola di Masirah, 300 chilometri a sud della capitale dell’Oman, Mascate. Il Golfo di Oman collega, cono lo stretto di Hormuz, l’Oceano Indiano al Golfo Persico: tratti di mare cruciali per gli approvvigionamenti energetici mondiali.

La società Zodiac Maritime, di proprietà dell’uomo d’affari israeliano Eyal Ofer, un magnate dei trasporti, gestisce la nave, che batte bandiera liberiana e ha proprietari giapponesi. Israele non ha dubbi che l’attacco sia opera dell’Iran, mentre la società non avanza ipotesi. La nave era partita vuota da Dar es-Salaam in Tanzania ed era diretta negli Emirati. Alla tv israeliana Canale 12, Ofer ha espresso “il sospetto che si sia trattato di un atto di pirateria”. Ma il gruppo marittimo britannico United Kingdom Maritime Trade Operations, legato alla Royal Navy, esclude (riferisce la Ap) l’azione di pirati. Israele preme per un’iniziativa all’Onu contro “il terrorismo iraniano”. Il ministro degli Esteri Yair Lapid sollecita i diplomatici israeliani di agire in tal senso. In un post su Twitter, Lapid scrive: “Ho dato indicazioni alle ambasciate a Washington, Londra e al Palazzo di Vetro di lavorare con i governi loro interlocutori e con le delegazioni che contano all’Onu”. Nel Golfo di Oman vi sono stati, nel corso degli anni e negli ultimi mesi, altri atti ostili verso navi collegate a Israele. E Israele è a sua volta sospettato di una serie di attacchi contro siti del programma nucleare iraniano. Lapid ritiene necessaria una risposta dura: “L’Iran – dice – è un esportatore di terrorismo, distruzione e instabilità che danneggia tutti”.

Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz s’è consultato con il capo di Stato Maggiore Aviv Kochavi: si studia una reazione, “il problema non è se, ma come, dove e quando”, hanno sapere ai media locali fonti dell’intelligence, secondo le quali la tv iraniana in arabo al-Alam ha riferito che l’attacco alla petroliera è stato ordinato per ritorsione a un attacco israeliano in Siria.

In Israele s’è appena installato un nuovo fragile governo, che trova un punto di coesione nell’ostilità a Teheran. In Iran, sta per insediarsi un nuovo presidente, il conservatore Ebrahim Raisi, che la guida suprema Ali Khamenei ha esplicitamente invitato a non fidarsi dell’Occidente, come ha fatto “senza successo” il suo predecessore Hassan Rohani. Il governo Rohani aveva concluso con gli Usa di Barack Obama e con Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia e Germania, un accordo sul nucleare: l’Iran rinunciava a dotarsi dell’atomica, in cambio della levata delle sanzioni Usa, Ue, Onu. Ma Donald Trump ha poi denunciato l’accordo e reintrodotto le sanzioni, che soffocano l’economia iraniana, provata pure dalla pandemia. E l’avvento alla Casa Bianca di Joe Biden non ha – ancora? – modificato la situazione. Per Khamanei, nei colloqui in corso a Vienna gli Usa “non hanno fatto un passo avanti” e continuano ad agire in modo “codardo e crudele”. E così l’Iran ha spinto l’arricchimento dell’uranio al 20%: gesto che Londra, Parigi e Berlino giudicano concordi “un passo verso l’arma nucleare”. Intanto Teheran afferma di avere arrestato “elementi sionisti” legati al Mossad, che fomenterebbero le proteste per l’acqua.

In Libano è esplosa anche la fame

Si sta avvicinando il primo anniversario della più grande esplosione non bellica dell’era moderna e i libanesi si preparano a scendere nuovamente in piazza per protestare contro una classe politica che ha portato il Libano alla bancarotta non solo economica, ma anche sociale.

La mega-deflagrazione del porto di Beirut lo scorso 4 agosto a causa dell’incuria generale, che ha reso fatiscenti le infrastrutture e della negligenza con cui vengono gestiti i materiali altamente esplosivi immagazzinati in modo illegale negli anfratti dello scalo più grande del paese, ha scoperchiato i tetti svelando un interno disastroso che si è trasformato in una vera e propria bancarotta provocata dal settarismo dello Stato libanese, ragione principale della corruzione endemica.

L’esplosione ha ucciso 200 persone, ma ne ha lasciate ferite nel corpo e nella mente molte di più. I sopravvissuti, ovvero tutti gli abitanti di Beirut rimasti in vita, ma anche il resto dei libanesi, stanno facendo i conti da un anno con la scarsità di merci e materie prime importate – da cui l’economia del paese dei Cedri dipende in massima parte – e con il conseguente decuplicare dei prezzi tuttavia non per la devastazione delle banchine dove attraccano le navi mercantili bensì per la mancanza di dollari nella casse dello Stato con cui pagare per esempio il diesel. “Ormai non manca più solo l’elettricità, specialmente durante la notte. Dato che lo Stato ha dovuto diminuire l’importazione del combustibile perché ha poca disponibilità di dollari (la moneta con cui viene pagato sul mercato internazionale, ndr) e i depositi bancari in dollari non possono essere prelevati, anche le compagnie private che gestiscono i generatori necessari per avere elettricità e far funzionare le pompe per l’erogazione dell’acqua, non ce la fanno più a sostenere i costi”, ci spiega Sarah, infermiera in uno degli ospedali della capitale. “Per questo le società dei generatori hanno fatto cartello e aumentano il costo del diesel a dismisura, ma la gente, a causa dell’inflazione sempre più alta, della disoccupazione, ingigantita anche dalla pandemia, non è in grado di far fronte agli aumenti e rimane senza acqua. Da mesi non posso più comprare molti alimenti perché il mio stipendio è rimasto quello pre-crisi e lo Stato non ce lo ha adeguato come ha fatto per i lavoratori del settore bancario. Non ci rimane che scendere in piazza a protestare ma non mi aspetto nulla”, sottolinea mentre si prepara a raggiungere i suoi colleghi già in strada a urlare slogan contro la classe politica compreso il nuovo premier, vecchia volpe della tribolata storia libanese, il miliardario sunnita Najib Mikati, forse l’uomo più ricco del paese.

Molti libanesi non sono più in grado di pagarsi le medicine, che peraltro scarseggiano al punto che molte farmacie hanno chiuso i battenti. Lo Stato ha ridotto infatti la lista dei medicinali importati e poi distribuiti ai grossisti a prezzi agevolati e per molti anziani questo rappresenta una catastrofe. “Il problema è che molte persone non hanno più i soldi per acquistare persino il cibo di base. Tra questi c’è anche la maggior parte del milione e mezzo di profughi siriani (su una popolazione libanese costituita da 4 milioni e 200 mila persone, ndr) arrivati qui durante questo decennio di guerra. La nostra missione è aiutarli ad alimentarsi, riparare le loro abitazioni distrutte dall’esplosione e spingerli a vaccinarsi. A proposito di Covid stiamo lavorando per portare anche i libanesi a farsi vaccinare essendo arrivate finalmente molte più dosi. Finora solo 1 milione e 100 mila persone ha ricevuto la prima dose”, dice Riccardo Mioli capo missione della Ong Intersos. Va ricordato che prima dell’esplosione c’erano 5 mila casi di Covid arrivati nel febbraio di quest’anno a 328 mila, quando la variante Delta non esisteva.

Secondo la World Bank l’esplosione ha causato tra i 3,8 e i 4,5 miliardi di dollari di danni. La distruzione della maggior parte delle riserve del paese ha messo a rischio la sicurezza alimentare e oggi 1 milione di persone si trova in una condizione di insicurezza estrema: 22% dei libanesi, 50% siriani, 33% rifugiati e migranti provenienti da altri paesi. Il 77% delle famiglie libanesi e il 99% di quelle siriane dice di non avere cibo a sufficienza. Nel 30% delle famiglie un bambino ha saltato un pasto o è andato a letto affamato. Secondo il World Food Programme, se prima era principalmente la popolazione rifugiata a essere in condizioni di povertà estrema e di insicurezza alimentare, l’effetto di esplosione e pandemia e alla recessione economica ha impoverito oltre metà della popolazione libanese e la quasi totalità di quella rifugiata.

Save the Children denuncia che l’ammontare mancante per acquistare beni di prima necessità è salito del 550%. Ne hanno risentito tutte le fasce di reddito e molte famiglie hanno dovuto togliere i figli dalla scuola per mandarli a lavorare, ovviamente in nero. Sono sempre i più piccoli, i minori, gli ultimi tra gli ultimi.

Eni, operazione “multa privata”

Rischia di passare sotto silenzio la nuova pratica di giustizia fai da te inaugurata dall’Eni con la richiesta indirizzata al quotidiano Domani di versare 100 mila euro entro una settimana, quale indennizzo provvisorio per un articolo considerato diffamatorio, riservandosi oltretutto (dopo questa sorta di multa privata) di intraprendere ulteriori azioni legali contro il giornale diretto da Stefano Feltri.

Negli Stati Uniti si adopera il termine SLAPP (strategic lawsuit against public partecipation) per definire questo genere di intimidazioni praticate da grandi imprese al fine di stroncare le voci critiche, costringendole a fronteggiare spese legali insostenibili. Eni si è già più volte cimentata in esose cause per risarcimento danni nei confronti del Fatto senza che la grande stampa, beneficiata da inserzioni pubblicitarie per milioni di euro, trovasse alcunché da ridire. Sarebbe doveroso che l’azionista pubblico di Eni, ovvero il governo, si esprima in merito a questa prassi intimidatoria. Eni si trova al centro di vicende cruciali, all’estero e in Italia. Viene da chiedersi come si comporta nei Paesi dove ha grandi interessi e la libertà di stampa subisce limitazioni. Ma anche nel nostro Paese, Eni sempre di più verrà chiamata a rispondere delle sue scelte di riconversione energetica e tutela ambientale. L’assoluzione in primo grado nel processo milanese per le tangenti nigeriane sembra aver scatenato una voglia di rivincita dei vertici aziendali che ha superato i limiti tollerabili. Qui non si tratta di esprimere solo un’ovvia, doverosa solidarietà ai colleghi di Domani, ma di difendere il diritto fondamentale all’informazione sui poteri forti del nostro Paese. Chi esercita il potere di nomina dei vertici Eni, peraltro, ha anche il dovere di tutelarne la reputazione e la missione sociale. Questione troppo delicata per essere lasciata in mano ad avvocati di simil fatta.

Sardegna e Sicilia in fiamme, diluvi e fango sulle Alpi

In Italia – Da 40 giorni viviamo una configurazione atmosferica bloccata: da un lato gli anticicloni africani continuano ad arroventare il Centro-Sud, dall’altro perturbazioni atlantiche scorrono incalzanti tra l’Europa centrale e le Alpi. A pagare il prezzo più alto di calura e siccità persistenti è stata per ora la Sardegna, con gli enormi incendi che nell’ultima settimana secondo lo European Forest Fire Information System hanno bruciato oltre 22 mila ettari nell’oristanese (Montiferru, gravemente colpito anche nell’agosto 1994, e Marmilla). Luglio ha lì registrato solo poche gocce, e domenica scorsa c’erano 42,8 °C a Berchidda (Gallura). Negli stessi giorni, dal 24 al 28, una lunga sequenza di temporali ha interessato il Settentrione. Danni per vento tempestoso, forti rovesci e grandine grossa in varie località dal biellese, al mantovano, al vicentino, e soprattutto nubifragi a ripetizione tra i laghi di Como, Varese e Lugano. Coldrerio, già in Svizzera ma a soli 2 km dal confine di Chiasso, ha raccolto 351 mm di pioggia tra il 25 e il 27 luglio, mai così tanta in tre giorni nei dati dal 1918. Violente piene di torrenti minori e colate di detriti a Chiavenna, Colonno, Blevio, Cernobbio, Laglio (colpita qui anche la villa di George Clooney), con effetti talora aggravati da restringimenti artificiali degli alvei presso gli abitati. Devastante la grandinata con chicchi come uova che lunedì ha massacrato la zona di Fidenza (Parma) spaccando i parabrezza a decine di auto sull’A1, fenomeni quest’anno di intensità e frequenza rara a vedersi. E in questo weekend si replica con nuovi nubifragi al Nord e 40-45 °C in Puglia, Calabria e Sicilia, dove già venerdì sono divampati altri roghi dal Palermitano a Catania.

Nel mondo – L’Europa nord-occidentale rimane sotto basse pressioni piovose e ventose. In Francia nell’ultimo sessantennio solo nel 1987 e 1992 il bimestre giugno-luglio fu più piovoso di questo, e anche in Svizzera luglio è stato tra i più bagnati in un secolo e mezzo. Nuove alluvioni-lampo sabato 24 in Belgio (Namur, Dinant), e venerdì 30 la tempesta “Evert” ha spazzato l’Inghilterra con venti a oltre 100 km/h. Per contro gli anticicloni subtropicali cuociono i Balcani (38,5 °C a Sarajevo, record per luglio), Iraq e Iran (52 °C a Bassora), Asia centrale, oriente russo e Giappone (35 °C nell’isola di Hokkaido, pure lì numerosi primati battuti). Caldo anomalo perfino in Groenlandia, massimo storico di 19,8 °C a Danmarkshavn e intensa fusione glaciale, nonché nell’inverno australiano (38 °C nel Nord-Ovest tropicale). Freddo insolito con neve a quote collinari invece tra Sud del Brasile e Argentina del Nord. I nuovi record di calura che superano di gran lunga quelli precedenti a cui la società era adattata, come avvenuto di recente in Canada, diverranno anche venti volte più probabili nella seconda metà del secolo in uno scenario a elevate emissioni-serra secondo uno studio di Erich Fischer e colleghi del Politecnico di Zurigo, su Nature Climate Change (“Increasing probability of record-shattering climate extremes”). In Cina il potente tifone “In-fa” ha aggravato le alluvioni nella provincia di Henan (il cui bilancio complessivo è salito a 99 morti), ha interrotto i commerci ed entrerà negli annali come secondo tifone più piovoso nel Paese con 951 mm caduti in 5 giorni presso Shanghai, dopo i 1062 mm di “Nina” nell’agosto 1975. Come potranno cambiare il Pianeta e la vita dei nostri discendenti nel futuro-serra lo descrive, grado dopo grado fino all’allucinante scenario +6 °C, il giornalista e attivista britannico Mark Lynas nel saggio “Il nostro ultimo avvertimento” (Fazi editore). Un monito che però, come sempre, verrà colto soltanto dalla solita minoranza già sensibile a questi accorati richiami degli scienziati.

 

FedeIl senso della vita non è mai conquista, ma attesa e gratitudine

La folla, ci dice Giovanni nel suo Vangelo (6,24-35), è attratta da Gesù come da una calamita. Si mette alla ricerca di Gesù per scovarlo. Usa i piedi ma anche le barche, va per terra e per mare. Pedina, stalkerizza Gesù e persino lo interroga con gelosia e impertinenza, come se lui adesso appartenesse ai suoi fan. Appena lo trovano di là dal mare e gli dissero: “Rabbì, quando sei venuto qua?”.

Perché? Facciamo un passo indietro: Gesù aveva moltiplicato i pani e i pesci, sfamando cinquemila persone che erano accorse per incontrarlo. Gesù li tratta dando loro la dignità di mangiare come signori. La gente va in delirio e lo vuole proclamare re. Gesù allora fugge via. Adesso che la gente lo ha inseguito, deve una risposta per il suo comportamento e dice: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna”.

Alla folla basta mangiare gratis per dare il potere a chi provvede. La folla cerca chi la sazia, affidandosi ciecamente. Lo sappiamo: è la dinamica di ogni populismo. Il potere è di chi compiace e gratifica gli istinti. Gesù voleva dare un segno dell’abbondanza della grazia. La folla invece si riempie la pancia e inneggia al prestigiatore che tira fuori dal cilindro la colazione. Gesù non è stato compreso. Gesù fugge. Non solo. Nonostante il grande miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, la folla chiede ancora adesso: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?”. Non basta: la folla ne vuole ancora, vuole di più! Un portento ancora più straordinario. C’è fame e sete di spettacolo. La gente vuole qualcosa che saturi con stupore il nostro bisogno di affidarci al potere. Un fenomeno da circo. La folla è, in realtà, insaziabile. Perché il pane che cerca non la sazia.

E Gesù reagisce davanti alla macchina del potere: non ne vuole più sapere. Si ritira. Scappa. Il suo è un messaggio teologico e politico. Sovverte la logica della corruzione. Potrebbe avere i pieni poteri, e invece svela la radice dell’inganno e la fonte della corruzione. La fede è quanto di più lontano ci sia dalla demagogia perché tocca corde profondissime: il nostro bisogno di nutrire la nostra esistenza. Qui la domanda è: qual è il vero pane che sazia la fame delle persone? Di che cosa abbiamo veramente bisogno?

Il pane diventa un segno di qualcosa di più grande. Il bisogno di pane diventa desiderio di un nutrimento che dia gusto e senso alla vita. Non ne abbiamo forse bisogno? Possiamo mai accontentarci dei piccoli nutrimenti parziali? C’è un di più, un al di là che è il nostro bug metafisico. C’è. E rode. La fame della quale parla Gesù è radicata in uno stomaco che è la nostra stessa esistenza. Non è un bug di sistema, ma la radice della nostra umanità. Nei dialetti siciliani lo stomaco è definito ‘a vùcca ‘l’àrma, “la bocca dell’anima”. A quella bocca Gesù vuole dare cibo: è qualcosa di più profondo e radicale della fame che possiamo soddisfare col pane. Gesù definisce quel cibo pane della vita. E non è in vendita. Così si fa una radicale differenza tra il cibo in “offerta speciale” che non sazia, e il cibo che non si compra perché discende dal cielo. Il pane della vita, in realtà, non sazia. Anzi: fa venir fame di ciò che conta veramente. Però cambia il gusto, rende esigenti. Ed è distribuito senza fini di lucro, senza interesse. Il senso della vita non è mai conquista, ma attesa e gratitudine.

* Direttore de “La Civiltà Cattolica”

I “no vax” e il fascismo che vuole comandare

Ricordo un periodo in cui ero alla fine del mio mandato parlamentare (dunque 13 anni fa), ero periodicamente stupito da uno spettacolo che non sapevo interpretare se non nei riti magici di De Martino.

Nel mezzo di una discussione, i deputati di Lega e Forza Italia (Fratelli d’Italia non erano ancora in prima fila) si alzavano in piedi e per un quarto d’ora gridavano “libertà, libertà”. Non c’era alcuno spunto nella seduta che spingesse a quella invocazione, rituale, né eventi accaduti in aula o fuori che potessero fornire una motivazione. Semplicemente qualcuno aveva persuaso i colleghi della destra che fosse importante gridare la parola “libertà” in quel momento e abbastanza a lungo, come se fosse accaduto qualcosa di grave e di non tollerabile.

Pensate che eravamo ancora in una fase pre-vaccinale, e molto prima delle imposizioni del potente governo Draghi. Ma il Parlamento, zona destra, marciava avanti. Dovevi per forza dedurre che non era il senso della parola a guidare il coro, ma la necessità di creare disorientamento e disordine, in modo da scoraggiare ogni altra attività parlamentare. Naturalmente la parola ha una sua suggestione, specie se immotivata. Era già stata sperimentata con successo dalla Lega (allora secessionista e anti-italiana) ai tempi delle quote latte, quando gli uomini del partito gridavano “libertà-libertà” mentre rovesciavano sulla carreggiata di intere strade essenziali al traffico un vasto repertorio di escrementi animali pur di non pagare le quote dovute all’Europa, e fingendo di essere imbrogliati.

La trovata, del tutto senza senso, ha funzionato specialmente se usata come esplosivo proprio dove non aveva alcun senso. Pensate al grido della parola libertà da parte di uomini e donne che deliberatamente si sottraggono a ogni conoscenza, non solo scientifica ma anche comune, pur di non essere vaccinati, diventando un grave pericolo per la comunità.

È vero che è una idea astuta indurre i gruppi più liberticidi del mondo a gridare libertà pur di creare confusione e contraddizione, laddove il fascismo ne beneficerebbe.

È anche vero che la trovata più è insensata e più funziona. Chi ha visto gli affollamenti anti-vaccino gridare “libertà” in piazza del Popolo a Roma nei giorni scorsi, non può non avere riflettuto sulla grande utilità delle parole insensate da affidare a persone insensate in momenti in cui l’evento politico diventa un baccanale. Guardi piazza del Popolo e pensi al grande studioso di maghi, streghe e magie che è stato Ernesto De Martino. Naturalmente nessuno qui, neppure Borghi o Salvini, sanno che uno studioso come De Martino è esistito e ha visto prima che la follia collettiva può coinvolgere un gruppo anche vasto di persone. Bisognerebbe prima di tutto sapere che cos’è quella follia collettiva. No, qui serve l’imbroglio, alla maniera di Steve Bannon e dei complici di Trump. Invocare la libertà nel momento in cui dichiari che intendi mantenere un pericolo di contagio per te e per gli altri è certamente un esercizio di rovesciamento della realtà, come lo è il ginocchio sul collo di Floyd, una esecuzione pubblica, mentre l’agente lavora per la legge e l’ordine. Il ginocchio continua a calare sul collo di Floyd mentre in piazza del Popolo gridano libertà per dichiarare che cure e prevenzioni sono ridicole e non devono assolutamente essere imposte.

Io credo che la questione “no vax” ci riveli molto. Ci rivela che il fascismo non passa per fare bella figura ma per comandare. E che ubbidire è l’unica forma di appartenenza.

 

Ora che Mattarella non esclude nulla

“In ogni ambito circola il virus – un altro virus – dell’autoreferenzialità, della configurazione del proprio ruolo come centrale nella vita sociale. Questo rischio è molto presente notoriamente nella vita politica: personalmente rammento continuamente a me stesso di tenerlo lontano”.

Sergio Mattarella. Cerimonia del Ventaglio. 28 luglio

 

Sarò un lettore distratto, ma non mi sembra di aver colto sui giornali particolare rilievo dato a un paio di frasi pronunciate dal presidente della Repubblica al termine del discorso alla stampa parlamentare nel tradizionale saluto che precede le vacanze estive. La prima, quella già citata, dice ciò che intende dire: poiché non soffro del “virus dell’autoreferenzialità”, non avrete da me o dagli uffici del Quirinale nulla che possa riguardare la mia persona. Ovverosia: adesso che inizia il semestre bianco, cortesemente dimenticatevi di me. Nella seconda frase che, a mio parere, è la conseguenza letterale e logica della prima, Mattarella aggiunge: “Mi permetto di segnalarlo al mondo del giornalismo, dove affiora, talvolta, l’assioma che un’affermazione non smentita va intesa come confermata, così che una falsa notizia può essere spacciata per vera perché non risulta smentita”. Quindi il presidente conclude con una rampogna piuttosto sferzante diretta ai partiti e all’informazione tutta: “Ad esempio, vista la diffusa abitudine di trincerarsi dietro il Quirinale quando si vuole opporre un rifiuto o di evocarlo quando si avanza qualche richiesta, il presidente della Repubblica sarebbe costretto a un esercizio davvero arduo e preminente: smentire tutte le fake news fabbricate, sovente, con esercizi particolarmente acrobatici”. Per il passato c’è un chiaro riferimento alle polemiche sulla riforma Cartabia in merito alle quali il Colle è stato tirato in mezzo sia dai pro che dagli anti. A futura memoria, invece, non si può non pensare alle prossime elezioni presidenziali del febbraio 2022, e all’ipotesi avanzata dalla politica che conta di chiedere a Mattarella la cortesia di non muoversi dal Quirinale, almeno fino alla conclusione naturale della legislatura del marzo 2023. Dopodiché si vedrà. Ciò, soprattutto, per consentire la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi togliendolo dalla corsa al Colle. Domanda uno: rientra tra gli “esercizi particolarmente acrobatici” notare che Mattarella, pur ringraziando i giornalisti per averlo seguito “con puntualità, in questi quasi sette anni”, non si è accomiatato dalla cerimonia del Ventaglio, come se per lui potesse non essere l’ultima? Domanda due: avere blindato con un supermonito la comunicazione che lo riguarda per i prossimi sei mesi può significare che il capo dello Stato, sull’ipotesi rielezione, non si farà sfuggire neppure un sospiro, e dunque un sì, ma neppure un no? Quel che si chiama il suono del silenzio che noi acrobati della congettura percepiamo come un: vediamo cosa succede, non escludo nulla. In ogni caso, la più ampia solidarietà ai colleghi quirinalisti.

 

Mail box

 

Il “Fatto” e un’impresa che ha dell’incredibile

Gentile redazione, è accaduto un miracolo. Sono un lettore del Fatto da sempre. Mia moglie fino a poco tempo fa detestava i giornali cartacei perché lasciavo copie del Fatto sparse per casa. È accaduto che casualmente le è caduto l’occhio su un articolo e l’ha letto, poi su un altro e un altro. Alla fine è diventata lei lettrice. Ora devo aspettare prima che lo legga lei. Complimenti al Fatto che è riuscito in una impresa incredibile!

Alfonso Di Domenico

 

Al Quirinale vorrei una donna presidente

Per principio sono d’accordo che il Quirinale avrebbe bisogno di un presidente della Repubblica donna, anche perché scongiurerebbe la possibilità di essere rappresentati nel mondo da Berlusconi. Mi farebbe davvero rabbrividire immaginare i possibili commenti negativi e ironici. Ma dove la troviamo una figura come poteva essere Nilde Iotti? Si è fatto il nome della Cartabia: spero che come sempre nell’aver fatto il suo nome prima sia bruciata perché, per la sua “professionalità” in ambito giuridico e legislativo, quasi quasi è meglio Berlusconi. La Casellati pure peggio, non vedo in lei una figura rappresentativa umile e super partes (vedi voli di Stato) e altri privilegi ben sfruttati. Dal mio punto di vista ne rimane solo una: Rosy Bindi.

Lettera firmata

 

Rdc: l’Istat lo riabilita, ora Renzi che dirà?

Secondo dati significativi dell’lstat, il Reddito di cittadinanza e il Reddito di emergenza hanno ridotto le diseguaglianze e il rischio di povertà. Senza le misure pubbliche straordinarie di sostegno al reddito, nel 2020

l’impatto del Covid sulle famiglie italiane avrebbe portato ad un aumento massiccio della povertà assoluta. A stabilirlo è l’Istituto nazionale di statistica, un ente autorevole di ricerca pubblico, non l’aleatoria opinione d’un politico qualsiasi. Matteo Renzi continuerà a pensare che il Rdc sia “diseducativo”? Con profonda stima.

Marcello Buttazzo

 

DIRITTO DI REPLICA

In relazione all’articolo del 30 luglio dal titolo “Il nuovo Mite: nucleare e meno ambiente”, vorremmo portare alla vostra conoscenza e a quella dei lettori alcune precisazioni. La divisione V del ministero dello Sviluppo economico passata sotto le competenze del Mite non ha ricevuto nuove competenze.

Si occupava già di “Impieghi pacifici dell’energia nucleare, ricerca e gestione di materiali e rifiuti nucleari”, con attenzione particolare su sicurezza, salvaguardia e non proliferazione; gestione dei rifiuti radioattivi; smantellamento degli impianti nucleari dismessi e il recupero dei siti; norme per il recepimento e l’attuazione delle disposizioni europee in materia di sicurezza e salvaguardia negli impieghi pacifici dell’energia nucleare e in materia di detenzione, commercio, trasporto e impiego di materiali nucleari e radioattivi. Molti impieghi del nucleare interessano sanità, ricerca e industria. Molte terapie mediche – definite appunto di medicina nucleare – producono rifiuti radioattivi da gestire e smaltire. Le informazioni dell’articolo e gli argomenti a sostegno di un presunto ritorno all’energia prodotta da fonte nucleare, risultano infondate e pretestuose.

Con la riorganizzazione del ministero della Transizione ecologica, le competenze del Mise sono passate al nuovo dicastero. Nulla di più. Lo prevede il decreto del 29 luglio del Consiglio dei ministri, che ha modificato il regolamento di organizzazione delle strutture amministrative in precedenza del ministero dell’Ambiente, integrandole con le competenze in materia energetica sul piano nazionale e internazionale prima assegnate al ministero dello Sviluppo economico.

Ufficio stampa MiTE

 

Ringraziamo per la cortese replica. Più che le competenze, il Mite ha assorbito nel suo regolamento letteralmente i nomi delle divisioni del Mise (nel cui regolamento quella formula infatti non compare) in un curioso copia-incolla al contrario. Degli “impieghi pacifici del nucleare” di cui il ministro gentilmente ci mette al corrente non dubitiamo, ma finge di ignorare che il regolamento parla di “impieghi pacifici dell’ENERGIA nucleare”. Quanto al suo presunto ritorno, forse se il ministro non elogiasse nelle sue interviste il “mini nucleare” francese auspicando un dibattito anche in Italia, gli ambientalisti non insisterebbero con queste argomentazioni “infondate e pretestuose”.

VDS e CDF