La giovane nobildonna, il vecchio marito e il monaco “ignaro”

Dai racconti apocrifi di Johann Maier. Viveva a Marburgo una giovane nobildonna, assai consapevole della propria bellezza, che deplorava in cuor suo il vecchio marito, le cui immense ricchezze non potevano ricompensarla di ciò che le faceva mancare a letto; ma un giorno arrivò in città un giovane gagliardo che sembrava la risposta alle sue preghiere più impudiche. Era il nuovo allievo di un anziano monaco luterano. Poiché questi era noto per la sua fede in Cristo e il suo senso di giustizia, la nobildonna escogitò un piano ingegnoso per papparsi il bocconcino. Si recò in convento e annunciò al monaco l’intenzione di convertirsi, raccontando con dovizia di particolari il percorso interiore, del tutto inventato, attraverso il quale era maturata la sua decisione. “È un grande passo, e dovresti gioirne”, disse il monaco, “ma non posso non notare che qualcosa opprime il tuo cuore.” La nobildonna recitò la parte a puntino: “Buon pastore, lei ha un giovane allievo a causa del quale potrei essere oggetto di pettegolezzi.” Gli mostro tre fogli di carta pergamena. “Ha gettato queste tre lettere sul mio balcone, nella grande villa dietro il mercato.” Le aveva scritte lei stessa. “Gli parli, e gli dica di smettere. Dio non voglia che mio marito lo venga a sapere e prenda le misure di cui ha diritto!” Il giorno dopo, il monaco sgridò l’allievo, agitandogli al volto i tre fogli. Il giovane, che aveva sentito decantare la bellezza della nobildonna, ma non sapeva che lei gli avesse messo gli occhi addosso, protestò con veemenza contro le accuse. Il monaco replicò: “Puoi forse negare di aver gettato queste tre lettere, colme di parole di lussuria, sul balcone della grande villa dietro il mercato?” L’esattezza delle parole del monaco fecero intuire qualcosa al giovane, che, chiesto perdono, si recò subito alla villa, dove la bellissima nobildonna, seduta al balcone, gli rivolse uno sguardo pieno di desiderio. Gli occhi del giovane si accesero di fervore. La settimana dopo, la nobildonna portò al monaco un sacchetto di velluto rosso colmo di gemme preziose e monete d’oro. “Buon pastore, guardi: stavolta ha avuto la sfrontatezza di gettare questo sacchetto dentro la finestra della mia camera.” Il monaco convocò il giovane: “Da dove vengono queste tue improvvise ricchezze? Senz’altro da scommesse o furti. Riprenditi questi frutti del peccato. E smetti di importunare quella donna!” Il giovane finse di nuovo il rimorso, prese gemme e soldi, e corse a comprarsi bei vestiti e un cavallo. La nobildonna smaniava, e con molta difficoltà riuscì ad aspettare altri sette giorni prima di visitare il convento una terza volta. Simulando angoscia, disse al monaco: “Buon pastore, sto perdendo la salute. Quale persona crudele può aver detto a quel giovane che mio marito ieri ha lasciato la città ieri per un viaggio di affari che durerà molte settimane? Chi può avergli aperto la porta all’angolo del giardino, a mezzanotte, dicendogli di attraversare il ruscello e poi girare a sinistra fino al tiglio odoroso, percorrendo un grosso ramo del quale si arriva alla mia finestra aperta? Per fortuna mi sono svegliata in tempo, e alle mie grida sono sopraggiunti i servi a metterlo in fuga. Il mascalzone non potrà negare un solo dettaglio di ciò che ho detto.” Il giorno dopo, il vecchio monaco era fuori di sé dalla collera, e poiché l’allievo negava la circostanza, gliene elencò ogni dettaglio. Il giovane chiese perdono in ginocchio, e a mezzanotte seguì il percorso che il monaco gli aveva rivelato: la porta, il giardino, il ruscello e il ramo del tiglio. La donna e il giovane amante ringraziarono in cuor loro l’ignaro e pio sensale parecchie volte, quella notte. Perché pentirsi del peccato, se la salvezza viene solo da Dio?

 

Cassese manda in estasi Concita

A costo di sembrare insistenti, tocca tornare sulle gesta di Concita De Gregorio, conduttrice di In Onda, su La7. Ieri vi abbiamo dato conto dello sbigottimento con cui la giornalista aveva accolto le critiche di Nicola Gratteri alla riforma Cartabia nella puntata di giovedì. Per fortuna venerdì ci ha pensato Sabino Cassese a dare ristoro al cuore affranto della De Gregorio, tessendo le lodi della nuova legge: “Dà forma a un diritto penale più mite, rende i processi più solleciti e dà ordine all’obbligatorietà dell’azione penale”. E lei: “Ci ha fatto impressione vedere Gratteri dire di fronte a Ilaria Cucchi che suo fratello non avrebbe mai avuto giustizia con la nuova riforma”. Cassese: “Non dobbiamo farci prendere la mano”. Lo studio è in estasi. E quando Cassese lancia la fatwa finale contro “la politicizzazione della magistratura”, la De Gregorio non si tiene più: “Vorrei ci fossero 10 milioni di cloni di Sabino Cassese e che l’Italia fosse popolata da persone come lei, ma poi c’è il mondo reale”. Per fortuna.

Calderoli si tiene il superattico del Senato. Solo lui (e un altro leghista) non rinunciano

Alui piace più fischiettare il repertorio di Vasco Rossi, ma c’è chi giura che abbia imparato ad apprezzare pure Puccini da quando si è piazzato all’ultimo piano di Largo de’ Chiavari, foresteria del Senato con terrazzo vista Sant’Andrea della Valle, chiesa resa immortale per l’amore tra Tosca e Cavaradossi: non si sa se Roberto Calderoli intoni “e lucean le stelle” da tanto affaccio, ma è sicuro che l’appartamento che ha conquistato in ragione della sua carica di vicepresidente a Palazzo Madama, non intende mollarlo con tutti gli annessi e connessi: luce, acqua gas, pulizie. Gratis et amore dei, paga l’Amministrazione del Senato, proprietaria dell’immobile acquistato nel 2003 insieme a quello di Largo Toniolo per una ventina di milioni.

Ma Largo de’ Chiavari è diventato nel tempo un luogo del cuore e delle ambizioni per via delle foresterie, e che foresterie. Di qui sono passati in molti, a cominciare da Rosy Mauro, pure lei vicepresidente del Senato e potentissima dama nera del Carroccio finita nella polvere per le polemiche sulle spese con i soldi del partito insieme a Umberto Bossi e a suo figlio Trota. E poi espulsa dalla Lega Nord per volontà dell’allora triumvirato di cui faceva parte proprio Calderoli che, fortuna sua, non è superstizioso: nonostante i rovesci dell’ex inquilina, l’attico del Senato ha deciso di tenerselo stretto anche se tutti quelli che avrebbero diritto all’alloggio di servizio (i vice della Casellati e i questori) vi hanno rinunciato per questioni di buon gusto: tranne lui e l’altro leghista Paolo Arrigoni (questore), sistemato a un piano meno nobile, ma niente affatto male: a parte i vantaggi economici, basta attraversare Corso Vittorio per essere in aula. Certo, niente di paragonabile ai lussi riservati a Sua Presidenza, Maria Elisabetta Alberti Casellati, servita in guanti bianchi da almeno sei camerieri in palazzo Giustiniani: tutt’altra metratura e tutt’altro servizio, qui le casse del Senato provvedono davvero a tutto, colazione, pranzi e cene, ma anche petit-déjeuner, banchetti di gara o rinfreschi di rappresentanza, all’occorrenza.

Tutt’altra musica dalle parti della Camera dove le foresterie sono state abolite. Un tempo gli appartamenti riservati ai vertici di Montecitorio erano all’ultimo piano dei palazzi Marini su piazza San Silvestro affittati a peso d’oro dall’imprenditore Sergio Scarpellini. Poi, finita quell’epoca, avevano traslocato in alcuni locali del palazzo dell’ex Banco di Napoli, pure quelli alla fine dismessi e riconvertiti a uffici per questioni di spazio. Insomma, a Montecitorio vicepresidenti e questori laddove non residenti a Roma non hanno altra scelta che mettere mano al portafogli e pagarsi casa da sé già dai tempi della presidente Laura Boldrini.

Il cappello leghista su “Sciascia 100”: l’Anpi si arrabbia

Per ricordare Leonardo Sciascia nel centenario della sua nascita, la Regione Siciliana si affida a un libro targato Lega (autore il deputato nazionale Alessandro Pagano, prefazione dell’assessore alla Cultura Alberto Samonà (nella foto), cultore dell’esoterismo e autore in gioventù di versi inneggianti le SS di Hitler) e insorge lo storico Giuseppe Carlo Marino, presidente onorario dell’Anpi di Palermo, uno dei primi, con Sciascia, a definire la natura di “Cosa Nostra” non solo come un’organizzazione criminale, ma per le sue profonde relazioni con la politica. Nel suo articolo dal titolo inequivocabile, “Come la Regione a guida neofascista (dis)onora Sciascia’’, lo storico amico dello scrittore di Racalmuto definisce la commemorazione un “maldestro tentativo di rendere omaggio a Sciascia paradossalmente distorcendo e offendendo quelli che in vita furono i valori e il senso della sua lunga e ininterrotta battaglia civile”. “Non è qui in questione un giudizio alcuno sul valore culturale di tale libro – scrive Marino – ma quel che mi rende assai diffidente è il fatto che ad esserne il prefatore, è l’ormai notissimo giornalista Alberto Samonà, un neoleghista di derivazione neofascista. La sua produzione di poligrafo deliberatamente e da sempre dedicata alla ricerca e all’esaltazione dell’“esoterico” e dell’irrazionale sul solco del fascismo “mistico” (e “magico”) di Julius Evola (occultista, nonché razzista) di cui si mostra epigono e continuatore lo abiliterebbe a tributare onorante memoria a Hitler o a Himmler e nient’affatto a interpretare ed onorare un intellettuale appartenente alla civiltà dell’antifascismo come Sciascia che, come è quasi superfluo ricordare, fu per tutta la vita un tenace avversario di ogni forma di irrazionalismo e un tenacissimo e severo custode del pensiero critico e dei valori della Ragione’’.

Mps, si sveglia il Pd “Il ministro venga in Parlamento”

La notte, evidentemente, porta davvero consiglio. Se venerdì Eugenio Giani non sapeva cosa dire dell’operazione tra UniCredit e Mps (con annesso regalo statale alla prima), ieri il governatore toscano aveva le idee chiare: “Vedere il Monte inghiottito da UniCredit non è accettabile”, bisogna discuterne col Parlamento e gli enti locali, tanto più che questa acquisizione “non può essere solo oggetto di valutazioni di mercato economico-finanziario”. Come dire: ci sono anche i sentimenti. La reazione negativa del centrosinistra regionale, a partire da Giani, può non essere una notizia, tanto più che la previsione di 5-6mila esuberi è una mazzata e mette a serio rischio anche la candidatura di Enrico Letta alle suppletive d’autunno proprio a Siena e proprio per sostituire Pier Carlo Padoan, ex deputato dem oggi presidente di UniCredit. Va detto, però, che i toni sono saliti assai: “Peggio di una bestemmia”, definisce la fusione l’ex viceministro Riccardo Nencini. Le capogruppo del Pd in Parlamento, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, “auspicano” che il ministro dell’Economia Daniele Franco – maggior azionista di Mps – vada alle Camere a riferire sulla vicenda, “come tra l’altro previsto dalla legge di Bilancio 2021” (quindi più che un auspicio è una convocazione).

Stupisce, invece, che tra i critici si metta Renato Brunetta: “Era questo il momento di fare una proposta da parte di UniCredit? Probabilmente no. Che si aprano le segrete stanze dei cda. Se Mps deve sposarsi o fidanzarsi che se ne discuta nel Paese. E che se ne discuta anche in Cdm”. Certo, c’è il rischio che “finisca in uno spezzatino”, ma il ministro forzista è “tranquillo”: “A Chigi abbiamo il miglior banchiere centrale…”. E allora si discuterà, ma l’operazione con UniCredit si farà solo se lo Stato ci mette i soldi (8-10 miliardi) e lascia le parti buone di Mps ai milanesi, come fece Padoan con Intesa e le due venete: il Parlamento può bloccare l’acquisizione, ma non cambiarla.

La Sicilia brucia, “l’ombra del fotovoltaico” Musumeci: “Carcere a vita per i piromani”

Situazione drammatica in Sicilia sul fronte incendi. I vigili del fuoco hanno lavorato tutta la notte per spegnere i roghi nei dintorni di Catania, sulla fascia jonica tra San Francesco la rena e Vaccarizzo, costringendo a evacuare via mare circa 150 persone e a chiudere per qualche ora l’aeroporto di Fontanarossa. Ma a bruciare è anche la provincia di Palermo, dove i Canadair sono in azione a Polizzi Generosa in contrada Venere. Nello Musumeci, ha chiesto al premier Mario Draghi di “dichiarare lo stato di mobilitazione della Protezione civile”, il cui riconoscimento porterebbe un risorse extra-regionali. “Il carcere per certa gente è previsto, purtroppo per sei mesi, massimo un anno. Dipendesse da me sarebbe a vita”, si è sfogato il governatore siciliano. Per Coldiretti nel 2021 gli incendi nei boschi in Sicilia sono stati circa 300, la superficie non boscata in fumo è di oltre 18mila ettari. In Commissione Antimafia è emersa l’ipotesi di un collegamento – tutto da dimostrare – fra i roghi e gli operatori del fotovoltaico, che negli ultimi tempi hanno avviato trattative con i proprietari dei campi coltivati.

il patrimonio usa e getta: il rapporto cultura-politica

Il tempo lunghissimo della vita del Colosseo, quello brevissimo della politica italiana: che si affanna per completarne l’arena prima delle prossime elezioni. È tutta in questa contraddizione l’involuzione del rapporto cultura-politica. Se c’erano dubbi sulla vera ragione del nuovo nome imposto dal governo Draghi al ministero “della” Cultura ora sono dissolti: è il ministro, cioè la politica, che si serve della cultura, non il contrario. Il lato grottesco della voce dal sen fuggita di Franceschini è che nelle ovattate stanze del Collegio Romano è tutto un giurare e spergiurare che il livello politico non strumentalizza nulla, ma si attiene scrupolosamente alle decisioni dei tecnici (soprintendenti, comitati, direttori): e invece eccola qua la verità, il Colosseo è solo un cartellone elettorale. Ma perché è così grave che la politica – che pure deve poter decidere, sperabilmente nell’interesse generale – decida cosa fare del Colosseo senza ascoltare gli odiati esperti? Perché non tutto è nella disponibilità del consenso del momento: il patrimonio culturale appartiene a chi non c’è più, a chi non c’è ancora, a chi non vota in Italia. Siamo custodi, non padroni: “Depositari e consegnatari”, si disse in Costituente.

E fare l’arena del Colosseo significa negare che quello straordinario monumento sia autosufficiente. Significa volergli imporre un significato effimero e legato al potere del momento. Significa farne un luogo di consumo e di intrattenimento: mentre è un luogo di conoscenza e anche di meditazione (visto tutto il sangue che ha visto). Nella nostra ansia di dargli un senso, non ci rendiamo conto che perdiamo l’occasione di ascoltarlo. Lo normalizziamo, come un palasport qualunque: mentre no, il Colosseo è l’irruzione di un altro tempo e di un’altra scala nelle nostre vite. Una scala che fa sembrare i nostri politici ancora più piccoli.

Gli esperti (Quelli “da non ascoltare”)

 

Favorevole  Fu una “piazza comune”, dobbiamo ridarle dignità architettonica

Il presidente Draghi, certo, è persona attenta alle cifre. Se dal terreno dell’economia ci spostiamo a quello dei Beni culturali, possiamo snocciolare questi dati: gli anfiteatri a noi noti nel mondo romano sono 133 in Italia, 252 nelle province dell’Impero. Fra questi, il Colosseo, oltre a essere ovviamente il più importante, è anche quello che in maggior misura conserva i sotterranei dell’arena, che qui risultano leggibili molto più che altrove. Che significa? Mentre negli anfiteatri più antichi – come quello (pure notissimo) di Pompei – sotto l’arena non esisteva alcuna struttura, man mano molti di questi grandi edifici si dotarono di ambienti sotterranei: una sorta di backstage per uomini, belve, macchinari, elementi scenografici. Il programma di una giornata di spettacoli era in effetti molto ricco: la mattina combattimenti fra gladiatori e bestie feroci, spesso esotiche e costosissime; all’ora di pranzo, l’esecuzione spettacolarizzata di condanne a morte; nel pomeriggio, i veri e propri duelli fra gladiatori. L’arena, costituita da elementi di legno su cui veniva gettata la sabbia, copriva questo mondo di gente in attesa: attesa di un turno che qualche volta si traduceva in morte.

Nel Colosseo, come altrove, la pavimentazione in legno è andata perduta. Ma i sotterranei, di cui è scomparsa – appunto – solo la copertura, ci appaiono come una sbalorditiva organizzazione di muri e di ambienti paralleli fra loro, chiusi da una struttura ellittica che assecondava la forma dell’arena: conteneva 28 montacarichi (uno dei quali è stato ricostruito sperimentalmente), attraverso i quali si saliva in superficie. Tutto questo, dopo l’inaugurazione dell’Anfiteatro da parte di Tito (80 d. C.), fu fatto aggiungere dal successore Domiziano. Nella situazione attuale, i visitatori si godono la visione diretta dall’alto di queste strutture e possono optare anche per una visita particolareggiata. Se l’arena verrà davvero ricostruita, si dovranno dispiegare prodigi di tecnologia (che il progetto vincitore del concorso effettivamente prevede) per coprire e scoprire: soldi e sapienza tecnologica che si potevano impiegare meglio, con la sensazione, per giunta, che nessuna forma di fruizione sarà migliore di quella di cui godiamo oggi. Di tutto questo, comunque, non si può discutere fra un presidente del Consiglio e un suo ministro con toni da chiacchiera da bar. Per giunta, durante un G20 dedicato alla Cultura. Parole borbottate a mezza voce, ma pur sempre captate e sconsolatamente banali.

Sergio Rinaldi Tufi

 

Contrario I sotterranei verranno presclusi ai visitatori: ma l’esperienza è unica

Al di là delle inutili polemiche relative all’uso, per me i motivi per realizzare questo progetto sono solo due: tutti gli altri anfiteatri hanno l’arena. Il Colosseo non ce l’ha, perché gliela abbiamo tolta noi archeologi a pezzi e bocconi a partire da fine 800. Questo è un problema di tutela, perché i sotterranei sono stati lasciati a lungo esposti alle intemperie. Sono trascorsi cento anni così. Il secondo motivo è di carattere estetico. Abbiamo tolto noi la pavimentazione per motivi di conoscenza. Ridare un piano di calpestio, che alcuni chiamano arena, altri piazza, significa restituire dignità architettonica al Colosseo. Nel Medioevo era chiamato “la piazza comune”. La storia di questo monumento è lunghissima. Da anni lo abbiamo trasformato in un’icona del turismo di massa, ma merita la sua dignità di monumento.

Ciò che mi rende perplesso è che non ho mai ricevuto una risposta a queste mie obiezioni, ho sempre sentito pareri relativi alle criticità di un eventuale uso spettacolare. Mi auguro che questa arena venga fatta. Sono stati spesi milioni di euro di restauro dei sotterranei. Vogliamo continuare a fare del Colosseo “un dente cariato”, come direbbe Cederna? Abbiamo fatto del Colosseo quello che Mussolini fece del Mausoleo di Augusto. Mi sento triste per coloro che si oppongono.

Ho sentito ieri quel “siparietto” andato online tra Draghi e Franceschini. Il problema dell’arena del Colosseo non riguarda gli archeologi, queste sono scelte che vanno al di là delle competenze. È una delle icone mondiali, ha diritto a essere tutelato. I politici sono i primi a dover fare i politici. Draghi ha perfettamente ragione. Quel “siparietto” non era un convegno di filosofia, ma è stato toccato un punto centrale che riguarda il rapporto tra le competenze e la società. Le competenze sono fondamentali, ma le decisioni le prendono i politici ed è giusto che si assumano le loro responsabilità. In questo caso le scelte devono essere una mediazione tra le tante istanze in campo. Credo che le posizioni fortemente negative siano di natura ideologica, perché partono da una concezione sacrale del monumento. Da quello che ho visto il progetto non reca alcun danno. Nei luoghi del patrimonio tutto è lecito, perché è un negoziato sociale; non bisogna diventare dei sacerdoti, delle vestali. L’arena di Verona è dal 1500 che ospita eventi di ogni genere. L’uso sociale per me è il miglior modo di tutela che possiamo avere.

Daniele Manacorda

 

Il “nuovo” colosseo, l’arena della discordia

Dario Franceschini lo ha detto anche al premier Draghi, in una conversazione “rubata” all’inaugurazione del G20 della Cultura: l’arena del Colosseo sarà completamente ricostruita “forse per le elezioni del ‘23”. Le polemiche e le contestazioni a questo progetto sono state diverse, ma per dirla col premier, “se uno ascolta troppo gli esperti non fa nulla”. Ma qual è la storia di questo progetto che per il ministro della Cultura “è una cosa bellissima”?

La completa ricostruzione dell’arena del Colosseo è un pallino di Dario Franceschini almeno dal 2014, quando per la prima volta ne parlò in pubblico. Dalla conversazione “rubata” dalle telecamere qualche giorno fa, si ha una conferma del fatto che il progetto avrà anche una finalità elettorale. Un progetto che nasce, a parole, dall’intenzione di ricostruire il Colosseo com’era in passato, con il ministro Franceschini che fa propria l’idea di Daniele Manacorda (il suo parere è nella pagina accanto, ndr), stimato archeologo e accademico: ricostruire il Colosseo come lo vide l’incisore G.B. Piranesi nel XVIII secolo.

Dai tempi di piranesi a noi

Il Colosseo rappresentato da Piranesi era un monumento che da circa 1.200 anni non era più luogo di spettacolo. I sotterranei erano interrati, e dopo essere stato nei secoli teatro di insediamenti, spoliazioni, ricostruzioni, conosceva un uso come monumento, con funzione rituale e religiosa e le edicole della Via Crucis che ne adornavano i confini. Goethe, nel 1787, lo descrive così: “All’interno, in una cappelletta, vive un eremita e sotto le volte in rovina si riparano i mendicanti (…) le mura gigantesche torreggiavano fosche in alto; noi, fermi davanti all’inferriata, contemplavamo quel prodigio”.

È tra la fine del XIX e il XX secolo che si decide di scavare l’arena, mettendo in luce i sotterranei: un’occasione di conoscenza unica, dato che nessun anfiteatro del mondo romano era dotato di un tale complesso sistema sotterraneo. Questi, in sintesi, restano visibili fino a oggi, caratterizzando l’immagine del monumento che tutti abbiamo in mente: diversissima da quella dell’antichità, ma anche da quella di pochi secoli fa. Un cambiamento, significativo, si è avuto col progetto dei primi anni 2000 che ha ricostruito un sesto del piano di calpestio: per la prima volta, il visitatore può vedere sia i sotterranei sia il monumento dalla prospettiva degli antichi frequentatori.

Il progetto ministeriale non sembra però affatto puntare a ricostruire il paesaggio settecentesco. La volontà esplicita è quella di trasformare l’arena in uno spazio per spettacoli, sulla falsa riga, ad esempio, dell’arena di Verona (che è dotata però di spalti di età contemporanea e, a differenza del Colosseo, non ha sotterranei). Un luogo di spettacolo come non è stato in più o meno 1.500 anni su duemila di vita, col pubblico seduto là dove in età antica gli spettacoli venivano svolti, non seguiti. O, come in questi giorni per il G20, una “vetrina” a fini diplomatici-propagandistici: un radicale cambiamento nella funzione e amministrazione del Colosseo come museo pubblico.

Il progetto del ministero

Nel 2015 il progetto di ricostruzione dell’arena viene inserito tra i Grandi Progetti Culturali: finanziamento da 18,5 milioni di euro. Segue una discussione non tanto sul “se” ma solo sul “come” ricostruire l’arena. Il 22 dicembre scorso viene pubblicata il bando di gara di Invitalia: le specifiche tecniche non si risparmiano, centinaia gli allegati che gli studi devono valutare. Il 1° febbraio, meno di 40 giorni dopo, scade la presentazione dei progetti. Il 2 maggio viene proclamato il progetto vincitore, con tanto di massiccia campagna stampa.

Un progetto che ambisce a “garantire sicurezza, funzionalità ed economia realizzativa che, oltre a restituire l’immagine originaria del monumento e del suo funzionamento come complessa macchina scenica, permetterà anche di rafforzare tutela e conservazione, in particolare di proteggere le strutture ipogee” attraverso “tecniche costruttive innovative e uso di materiali appropriati”. Avremo “un piano in legno, ottenuto con un particolare processo che ne aumenta resistenza e durabilità (…). Alcune porzioni del piano saranno costruite con pannelli mobili che, grazie a rotazione e traslazione, garantiranno flessibilità e renderanno possibile l’apertura delle strutture ipogee per illuminazione naturale. A livello conservativo, poi, 24 unità di ventilazione meccanica controlleranno la temperatura e l’umidità degli ambienti ipogei: in 30 minuti sarà garantito il ricambio dell’intero volume d’aria. Il piano proteggerà le strutture sottostanti dagli agenti atmosferici, riducendo il carico idrico con un sistema di raccolta e recupero dell’acqua piovana che alimenterà i bagni pubblici del monumento”.

Il dibattito tra gli addetti

Sarebbe una di quelle volte in cui, mettendo migliaia di persone a sedere sopra le strutture sotterranee, ne verrebbe garantita una maggiore conservazione. Non è un buon motivo per non credere che tutto ciò possa accadere, e accadere in tempo per le elezioni del 2023, ma certo resta lecito sollevare dei dubbi, nel Paese dei progetti mai conclusi, dove tanta parte del patrimonio culturale, città per città, versa in condizioni deplorevoli. Quei dubbi che sono stati depennati come ingenerosi dallo stesso ministro. Ma al di là della difficoltà di riuscita del progetto, è l’opportunità dello stesso a lasciare perplessi. Il Colosseo è un monumento che contava 2,5 milioni di turisti nel 1998, 7 milioni e mezzo nel 2019, crollati a uno nel 2020. Un monumento poco frequentato dai romani stessi, in cui i lavoratori prendono 7 euro l’ora, e di cui i servizi museali (biglietteria, audio-guide, visite guidate) sono gestiti in deroga da un ventennio dagli stessi concessionari che tengono per loro il grosso degli introiti (in tutto questo tempo lo Stato non è riuscito a scrivere un bando di gara che sopravvivesse ai ricorsi). Chi gestirà gli introiti dei biglietti di questi eventi culturali esclusivi (la capienza sarà di circa 2.500 posti), una volta che l’arena sarà ricostruita? E nel caso in cui qualcosa andasse storto, a chi toccherà pagare?

Procura di Milano Gratteri e Melillo fuori. Cè Amato

Doppio colpo di scena nella corsa a procuratore di Milano, carica che Francesco Greco lascerà a novembre per andare in pensione. Hanno cambiato idea all’ultimo momento sia il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, sia il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. Non c’è la loro domanda nell’elenco definitivo dei partecipanti al bando, scaduto venerdì. Gratteri e Melillo potrebbero ritrovarsi “avversari” per un altro posto che si libererà all’inizio dell’anno prossimo, quello di Procuratore nazionale antimafia, dato che anche Federico Cafiero de Raho andrà in pensione. Per Milano, dunque, a contendersi la nomina di procuratore sono, tra gli altri, il Pg di Firenze, Marcello Viola, che come è noto è tornato in corsa per Roma per aver vinto il ricorso in Consiglio di Stato; Giuseppe Amato (nella foto), procuratore di Bologna; Antonio Patrono, procuratore di La Spezia; Maurizio Romanelli, procuratore aggiunto di Milano. A candidarsi anche ex pm di punta di Milano: Luigi Orsi, oggi sostituto pg in Cassazione, e Roberto Pellicano, procuratore di Cremona.