Deve essere riscritta la strana storia del video che la sentenza Eni-Nigeria presenta come una prova a favore degli imputati nascosta dai pm d’accusa (Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro). Il ricorso in appello presentato dalla Procura e i documenti depositati nel procedimento sul “complotto Eni” provano che quel video non era affatto nascosto, ma conosciuto da Eni; e che le affermazioni di Vincenzo Armanna in quella videoregistrazione non sono la prova di progetti calunniosi contro i vertici Eni, bensì l’annuncio, con espressioni forti, di voler collaborare con la Procura di Milano rivelando “la verità” degli affari nigeriani della compagnia. Il video documenta un incontro del 28 luglio 2014 a Roma, nella sede dell’azienda dell’imprenditore Ezio Bigotti. Vi partecipano Piero Amara, allora potente e ben pagato avvocato esterno dell’Eni; Vincenzo Armanna, ex dirigente dell’Eni in Nigeria; Andrea Peruzy, segretario generale della Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema; e Paolo Quinto, componente dell’assemblea del Pd e capo della segreteria di Anna Finocchiaro. È registrato, all’insaputa dei partecipanti, da Amara, che a quei tempi controllava Armanna per “incastrarlo” nel caso agisse contro l’Eni. Argomento centrale: la cessione di una concessione petrolifera minore di Eni a un imprenditore chiamato “Kappa Kappa” (il nigeriano Karim Kola). Una piccola parte della riunione è occupata dagli annunci di Armanna: su “la valanga di merda che io faccio arrivare in questo momento”. Fu licenziato. Qualche giorno prima è stato perquisito dalla Procura di Milano. Due giorni dopo si presenterà al pm De Pasquale cominciando ad accusare i manager Eni di corruzione, nell’acquisto in Nigeria di Opl 245, che già dal 2013 era oggetto d’indagine della Procura di Milano. “Sono coinvolti nella 245 e non escluderei un avviso di garanzia”, dice Armanna senza fare nomi. “Mi adopero perché gli arrivi (ride)”.
Per queste parole, il video è stato considerato dal Tribunale, che ha assolto tutti gli imputati, la prova che Armanna stava per rovesciare calunnie sui dirigenti Eni. Tutto da provare. Quinto, interrogato dai magistrati Laura Pedio e Paolo Storari, spiega: “Armanna diceva che lui era stato tirato in mezzo nella vicenda Olp 245… Disse che avrebbe attivato i giornali e che avrebbe raccontato la verità anche ai magistrati”. Anche Eni deve aver avuto dubbi sul senso delle affermazioni di Armanna e sull’opportunità di rendere pubblico il video. Intanto perché, scrive il pm nel ricorso d’appello, “conteneva diversi elementi che, descrivendo dinamiche opache e poco commendevoli di cui erano protagonisti dirigenti Eni di primo piano, non erano certo utili alla prospettazione difensiva”. E poi perché Eni le conosce fin dal marzo 2018: depositate (seppur non integrali) da Pedio e Storari al Tribunale del riesame; e oggetto di un audit chiesto nell’estate 2018 da Eni alla Kpmg. Nascosto, dunque, quel video proprio non era.