Da un sardo “Sono stanco di vedere la mia terra bruciare. E certi politici…”

 

 

Sono un sardo. Un sardo stanco di vedere ripetersi ogni anno il teatrino dei politici che si stracciano le vesti, che si affannano a scrivere post memorabili sui social in merito al disastro degli incendi in Sardegna. Sono stanco di vedere la mia terra rasa al suolo e non vedere, al contrario, alcuna attività seria di prevenzione. L’operazione Teletron, tra le più efficaci, è stata bloccata nel 2005. Da allora gli incendi hanno ripreso a distruggere puntualmente questa o quella parte dell’isola. Con sistemi metodici che fanno pensare che ci sia un piano ben preciso. Business. Mi vien da pensare ad esempio che i Canadair, gli aerei antincendio, sono di compagnie private al servizio della Protezione civile. E costano circa 6.000 euro all’ora d’intervento. Gli elicotteri un po’ meno. E allora mi vien voglia di citare una frase importante detta da una persona ancora più importante; segui i soldi e troverai i mandanti. Quanto ai politici un invito: meno passerelle mediatiche, più fatti. Altrimenti tacete e andate a fare in culo.

Bruno Maniga, Sassari

 

Gentile signor Maniga, anche noi, pur non essendo sardi, siamo assai stufi di scrivere puntualmente dei disastri che distruggono quel tesoro che è la Sardegna. Disastri che hanno un unico colpevole: l’uomo. O meglio, la politica. “Il Fatto” in questi mesi ha raccontato le inchieste che le Procure di mezza Italia hanno aperto sugli appalti dell’antincendio. Abbiamo anche dato conto di come sull’appalto dei Canadair da 800 milioni di euro si stia celebrando un processo presso il Tribunale di Roma. Infine, il giornale ha provato a spiegare perché l’attuale giunta sarda sia estremamente responsabile per l’inferno di fuoco che ha devastato l’Oristanese. Abbiamo cercato di raccontare come gli interessi privati abbiano avuto il sopravvento sulla tutela della “cosa pubblica”, ripercorrendo la rete di clientele e di nomine clientelari che ha caratterizzato i primi tre anni della giunta guidata dal sardista-leghista, Christian Solinas. Anche della (triste) “questione Teletron” abbiamo parlato (forse tra i primi), raccontando dello spreco di 32 milioni di euro pubblici. Crediamo di poter dire che noi (e pochi altri, come Mario Guerrini) i soldi abbiamo provato a “seguirli”. Il problema è che per quanto si denunci, poi è il singolo che sceglie i propri rappresentanti politici.

Andrea Sparaciari

Vaccini ai 12enni, se ne sa troppo poco per adesso

Divido in tre categorie i numerosi commenti al mio articolo di giovedì scorso su “No-Vax, filosofi e cattivi pensieri”, alcuni dei quali pubblicati sul Fatto di ieri. I favorevoli al contenuto del pezzo, che ringrazio. Poi, i simpatici picchiatelli che mi hanno riempito di minacce e improperi. Infine, coloro i cui dubbi sull’onnipotenza dei vaccini, e sulle incongruenze del Green pass, non vanno assolutamente trattati “con supponenza e disprezzo” (il lettore che si sigla L.Lan). A questo proposito, anche ai sostenitori più convinti della vaccinazione di massa, come chi scrive, l’abbassamento dell’obbligo vaccinale a 12 anni per ottenere il pass governativo pone qualche non piccola perplessità. Chi ha figli o nipoti in quella fascia d’età s’interroga, infatti, sui possibili rischi derivanti dall’inoculazione delle fiale negli organismi dei più giovani – soprattutto degli adolescenti e delle adolescenti – temendo effetti collaterali non sufficientemente testati, come avviene ormai per le persone adulte. Non sempre dai pediatri o dai medici di famiglia si ricevono sull’argomento risposte univoche. Anzi, non è raro il suggerimento, prima di procedere con figli e nipoti, di attendere che si abbiano dati sufficientemente consolidati sui risultati ottenuti. Ovvero, che la vaccinazione dai 12 anni in su vada a regime. Neppure se vogliamo saperne di più consultando i siti specialistici in Rete ne usciamo totalmente rassicurati. Per esempio, con avvertenze di questo tipo (fondazione veronesi.it): “Nel caso degli effetti indesiderati non sembrano esserci differenze rilevanti fra i giovanissimi e gli adulti. Fra i più frequenti, dolore nel sito di iniezione, mal di testa, stanchezza, dolori articolari e muscolari, febbre, brividi, talvolta nausea. Si tratta di disturbi che, se si presentano, sono di lieve e moderata entità e si risolvono nell’arco di pochi giorni”. Ok, ma essendo del tutto evidente che nei confronti dei ragazzi i genitori e i nonni hanno un atteggiamento protettivo, che non può essere quello che si riserva agli adulti (un pizzico meno ansioso), perché prima del 6 agosto, giorno dell’entrata in vigore del relativo decreto, non si avvia una campagna di rassicurazione? Con la quale governo, ministero della Salute, Comitato tecnico-scientifico e tutti gli organi preposti alla profilassi si concentrano sul tema della vaccinazione dai 12 ai 20 anni (soprattutto i 12)? Mettendo a disposizione delle famiglie tutte le informazioni necessarie a decidere sul merito, con piena serenità e cognizione di causa. O sbaglio?

Ai Migliori la storia e i dati non servono. È la razza padrona

L’arena del Colosseo sarà servita in tavola per le elezioni del 2023: del resto, la cultura a cosa serve se non a fare propaganda? Pensi, contessa, che ci sono state contestazioni degli archeologi (il tono di Franceschini è proprio quello di “Che roba, contessa, all’industria di Aldo, han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti, volevano avere i salari aumentati, dicevano pensi, di essere sfruttati”). Ma basta non ascoltarli, risponde la contessa Draghi. Ovvio, no? Del resto, a cosa serve il sapere? Chi ha creduto che l’istituendo comitato tecnico-scientifico del ministero della Giustizia possa riportare la riforma Cartabia sul binario della Costituzione e del buon senso, è servito: gli esperti – dice ridendo il presidente del Consiglio al titolare del ministero più tecnico della Repubblica – non vanno proprio ascoltati. Sennò non si farebbe mai nulla. E anche chi si aspetta che il Ponte sullo Stretto venga valutato secondo evidenze scientifiche, può mettersi il cuore in pace. Del resto, c’è qualcuno che non ricordi come Draghi abbia riaperto tutto a fine aprile evitando come la peste (è il caso di dirlo) di rivolgersi al Comitato tecnico-scientifico che dovrebbe fornire al governo una bussola sul contrasto alla pandemia? Certo, se si dà retta agli scienziati, come si fa a far ripartire l’economia? E pazienza se rischiamo di chiudere mezzo Paese a Ferragosto: gli esperti che lo profetizzavano erano gufi, cassandre, disfattisti. Tutti nemici mortali della religione del fare: e pazienza se si fa un disastro. Le parole di Draghi sono, finalmente, una finestra spalancata sull’autentico pensiero dei Migliori. Davvero pensavate che il bravo Figliuolo sia lì per la sua esperienza logistica? Ma no, è evidente che ci voleva un generale: tutto un fatto simbolico. Un segnale al Paese. Un anticipo della giunta militare che i giornali moderati ora invocano, senza tema del ridicolo.

Ma se non si decide in base al parere degli esperti, in base a che cosa si decide? Che domanda ingenua: i Migliori non hanno bisogno di dati, numeri, storia, conoscenza. Sono Migliori per diritto di nascita: figli di papà, per l’appunto. Cioè razza padrona, oligarchia per predestinazione sociale, dominatori per censo, decisori per investitura secolare. È un ritorno in piena regola all’antico regime: alla sempre attuale filosofia del marchese del Grillo. E cos’è che i detestati esperti, queste palle al piede che ci ostiniamo a mantenere nelle università pubbliche, impedirebbero di fare? Be’, l’interesse di quegli stessi Migliori: che non è affatto l’interesse generale, ma l’interesse dei pochissimi che comandano. Non importa se le ragioni della tutela, della conoscenza, della storia, della stessa democrazia del sapere si oppongono a trasformare il Colosseo in un baraccone da propaganda elettorale. I Migliori vogliono questa “cosa bellissima”: e per le elezioni del 2023 l’arena puntualmente ci sarà. Così, finalmente, avremo una location dove gettare gli esperti ai leoni: leoni espertissimi, però.

Processo Gotha, condannati Romeo e Sarra. Assolti Caridi e l’ex presidente della Provincia

Venticinque anni di carcere. Giacca, cravatta e con uno sguardo impassibile. L’avvocato Paolo Romeo ha atteso il verdetto seduto al suo posto. Una sentenza storica quella emessa dal Tribunale di Reggio Calabria che ieri ha condannato l’ex parlamentare del Psdi ritenuto una delle due teste pensanti della ’ndrangheta reggina. Si è concluso così, con 15 condanne e 15 assoluzioni il processo “Gotha”, nato dalla riunione di quattro inchieste coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo. Alla sbarra c’è il direttorio delle cosche che, secondo i pm, ha trasformato Reggio Calabria in un “laboratorio criminale”, un “mondo di mezzo” tra mafiosi, massoni e pezzi deviati dello Stato. Sopra di loro c’era lui: Paolo Romeo già condannato per concorso esterno nel processo “Olimpia”. Dopo oltre 7 ore di camera di consiglio, il giudice Silvia Capone ha condannato a 13 anni di reclusione anche l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra. Sono cadute le accuse, invece, per l’ex senatore di Forza Italia, Antonio Caridi, per il quale era stata chiesta la condanna a 20 anni di carcere, e per l’ex presidente della Provincia, Giuseppe Raffa (chiesti 7 anni). Sono stati ritenuti colpevoli pure il prete di San Luca, don Pino Strangio (9 anni e 4 mesi) e l’avvocato Antonio Marra (17 anni), ritenuto l’uomo di fiducia di Paolo Romeo. Due anni di carcere, invece, sono stati inflitti all’ex dirigente comunale ai Lavori pubblici, Marcello Cammera, assolto dall’associazione, mentre il commercialista Giovanni Zumbo ha rimediato 3 anni e 6 mesi di reclusione. È lo stesso Zumbo, in odore di servizi segreti, che era stato condannato nel processo “Piccolo Carro” per essere stato la talpa dei boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle. In attesa delle motivazioni della sentenza, il processo “Gotha” dimostra l’esistenza della componente riservata della ’ndrangheta che ha infiltrato gli enti locali dettandone gli indirizzi politici. Dall’inchiesta è emersa la componente riservata della ’ndrangheta che ha cercato di minare l’ordine costituzionale per poi trovare spazio nelle istituzioni e condizionarle. I due grandi burattinai sarebbero stati gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, soggetti “riservati”, gli “invisibili” che decidevano tutto nei palazzi istituzionali piazzando politici espressione delle cosche.

L’iraniano Foroughi accusato di essere un terrorista

È un iraniano dalla parte della teocrazia – e già questo non piace –. È un tiratore – e questo lo rende sospetto –. E fa l’infermiere – gli eroi dei tempi della pandemia -, ma per i pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione iraniana, la milizia degli ayatollah, finita nel 2019 nella lista dei gruppi terroristici stilata dagli Usa. Questi fattori bastano per alimentare una polemica sull’oro nella pistola 10 metri vinto a Tokyo 2020 da Javad Foroughi. “È un terrorista”, è l’accusa che viene da movimenti anti-ayatollah e avversari. Nessuno discute i meriti sportivi del tiratore iraniano, che ha vinto con annesso record olimpico e netto vantaggio su tutti gli altri. Ma c’è chi contesta il suo diritto a essere ai Giochi: un coreano (giunto 15°), Jin Jongoh, si chiede come possa “un terrorista vincere l’oro?”. Sui social è polemica. E c’è chi lancia petizioni per ritirare la medaglia all’infermiere che cura i feriti della parte – per noi – sbagliata. Il portavoce del Cio Marc Adams non si agita: “Se hanno prove, ce le facciano avere: noi siamo qui”. La medaglia di Foroughi, 41 anni, è giunta relativamente inattesa nel suo Paese: “Un successo inaspettato – ha scritto Javan, un giornale vicino ai pasdaran –, vinta da un infermiere dei Guardiani che è allo stesso tempo difensore della salute e del santuario”, cioè dell’ortodossia sciita. Foroughi prestò servizio in un ospedale in Siria dal 2013 al 2015: lì, nei sotterranei del nosocomio, nel 2013 cominciò a sparare con la pistola, “cosa che prima – racconta – non avevo mai fatto”. Dopo essersi messo al collo la medaglia, sul podio di Tokyo ha fatto il saluto militare. Proteste arrivano da United for Navid, un’associazione che perpetra il ricordo del lottatore Navid Afkari, messo a morte per avere contestato il regime iraniano: United for Navid chiede alla commissione etica del Cio di avviare un’indagine immediata, perché, altrimenti, il Comitato olimpico internazionale sarebbe “complice nella promozione del terrorismo e di crimini contro l’umanità”.

Distrutta Portella della Ginestra: “Qui c’è stata un’apocalisse, è un atto incendiario”

“È stata un’apocalisse. Piana degli Albanesi è stata circondata dalla fiamme e Portella della Ginestra è andata distrutta”. A raccontare il dramma dell’incendio nel Palermitano che si è propagato la notte di giovedì e tutto ieri, è Paolo Cuccia, architetto con un’abitazione nella campagna di Piana dove sono state evacuate cento persone. “La mia casa – spiega Cuccia – è stata circondata dal fuoco e se non fosse per Vito, Giovanni e Marco, tre giovani volontari, forse non ci sarebbe più. Sono stati loro a contenere il fuoco con sacchi di iuta e coperte bagnate. Si tratta di un atto incendiario”. Ad andare in cenere è anche Portella della Ginestra, il luogo simbolo delle lotte dei lavoratori. Oggi alle 18, proprio in questo luogo “sacro” per molti, si terrà un presidio per dire no ai piromani organizzato dalla Cgil. Spaventata anche Marisa, maestra e mamma di due bambini: “L’incendio ha lambito i nostri terreni da pascolo. Ci siamo trovati a elemosinare l’acqua dei Canadair”. Ieri oltre 30 incendi anche a Catania, dove è stato chiuso l’aeroporto.

Strage Bologna, Bellini: “Cavallini? Mai conosciuto”

“Non ho mai conosciuto Gilberto Cavallini e non l’ho mai visto mentre ero in Sudamerica”. Paolo Bellini, imputato per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, replica alla produzione di documentazione della Procura generale su presunte relazioni negli anni Ottanta tra lui e l’ex Nar condannato in primo grado per concorso nell’attentato. Nel 1983 un atto riservato “per il capo della polizia” riportava che “fonte estera qualificata non è in grado di stabilire i contatti fra Bellini e Stefano Delle Chiaie (fondatore di Avanguardia Nazionale, ndr), tuttavia sappiamo che Bellini era in contatto con Gilberto Cavallini, alias Antonio”. La fonte qualificata sarebbero i servizi segreti stranieri, il telex arrivava da Londra a Roma. Nel cercare collegamenti fra Bellini e Cavallini, oltremanica venne identificato anche tal Stefano Sorrentino, risultato identico a Roberto Fiore, oggi a capo di Forza Nuova. “Io non sono mai stato in Bolivia o Venezuela, sono stato in Brasile e in Paraguay in due occasioni”, ha detto Bellini negando la conoscenza con il nero. In Sudamerica giravano molti italiani di destra in quegli anni. Nel 1984 in Paraguay il leader ordinovista Elio Massagrande diede ospitalità al piduista Licio Gelli. Nel 1981, quando l’arresto di Giusva Fioravanti, ex Nar condannato in via definitiva per Bologna, semina il panico tra i suoi sodali, Cavallini scappa in Bolivia. Lì avrebbe incontrato Delle Chiaie e Carmine Palladino. Quest’ultimo è tra i fondatori della società di import-export Odal Prima, storica cassaforte di Avanguardia nazionale, che avrebbe goduto di finanziamenti provenienti dalle banche sudamericane ove Gelli, il faccendiere Sindona e il banchiere Umberto Ortolani avevano occultato i capitali sottratti al Banco di Roberto Calvi. Tra gli operatori d’affari vicini alla Odal Prima risulta tal “A. Bellini”, che sarebbe Aldo il padre dell’imputato Paolo.

Balzo del Pil, ma mancano 470 mila posti

La ripresa dell’economia Italia, dopo il tonfo innescato dalla crisi del Covid, inizia a intravedersi e i dati sono anche migliori del previsto. Il Pil però non ha ancora recuperato il livello precedente alla pandemia e così l’occupazione: a oggi mancano ancora 470 mila posti rispetto al 2019. È la sintesi dei dati pubblicati ieri dall’Istat.

Stando alle stime preliminari (soggette a revisione), il Pil del secondo trimestre è cresciuto del 2,7% sui tre mesi precedenti (e del 17,3% rispetto allo stesso periodo del 2020, quando ci fu il lockdown): un balzo molto più grande delle attese (gli analisti prevedevano un +1,3%) e questo fa sperare in una ripresa più rapida del previsto dopo il lieve aumento del primo trimestre. Nei documenti di bilancio, il governo ha previsto una crescita del 4,5% a fine anno, dopo il tonfo di quasi il 9 registrato nel 2020. Gli ultimi dati proiettano la crescita verso il 5%, in linea con le ultime stime del Fondo monetario internazionale. La crescita “acquisita” nel 2021, cioè in caso di variazione nulla nella seconda parte dell’anno, è del 4,8%.

L’economia è in ripresa in tutta l’area euro: stando ai dati Eurostat, il Pil è salito del 2% rispetto al trimestre precedente. In Germania il Pil sale dell’1,5% (meno delle attese), in Francia dello 0,9%, in Spagna del 2,8%. Nonostante il balzo, però, nessuno dei Paesi europei raggiungerà entro fine anno i livelli precedenti alla pandemia, cosa che invece avverrà negli Stati Uniti. Stando ai dati del Fmi, il prossimo anno il Pil tedesco supererà del 2,7% quello del 2019, mentre l’Italia si fermerà poco sotto (nonostante una crescita stimata del 4,2%). E questo al netto degli effetti sulla ripresa dell’economia dell’aumento dei contagi a causa della variante Delta.

Tutto questo, come prevedibile, ha un impatto sulla ripresa anche dell’occupazione. A giugno, ha spiegato ieri l’Istat, gli occupati sono saliti di 166mila unità (+0,7%) rispetto a maggio: rispetto a febbraio 2020, prima dell’inizio della pandemia, il numero di occupati è però ancora inferiore di oltre 470mila unità, il tasso di occupazione è più basso di 0,8 punti percentuali, quello di disoccupazione torna sugli stessi livelli, mentre il tasso di inattività rimane superiore di un punto percentuale.

Vale la pena di ricordare che questi dati si riferiscono ancora al periodo in cui era in vigore il blocco generalizzato dei licenziamenti, che il governo Draghi ha fatto scadere a luglio, limitandolo solo ai settori più in crisi come tessile e moda. Gli effetti si vedranno nei prossimi mesi, anche se a oggi il solo contatore dei licenziamenti annunciati da imprese di grandi dimensioni – dalla Gkn di Campi Bisenzio alla Whirlpool a Napoli – sfiora le duemila unità.

Segnali non entusiasmanti arrivano invece dalla ripresa dell’inflazione, che in Italia sembra assai più debole. L’indice dei prezzi è in risalita ovunque: +2,2% a luglio nell’area euro, mentre ieri il dato tedesco (+3,8%) ha stupito gli analisti: a pesare è soprattutto l’energia (+14,1% rispetto al +12,6% di giugno). In Italia invece il tasso di luglio è atteso in calo a 0,9%: “La forte accelerazione dell’inflazione – scrive Istat – è di nuovo dovuta ai beni energetici, in particolare quelli regolamentati”. Al netto di questi e degli alimentari, componenti assai volatili, l’inflazione di fondo nell’Eurozona cala infatti allo 0,7%, quella italiana allo 0,6%.

Il caso Mps inguaia Letta: ora a Siena rischia grosso

Da giovedì pomeriggio i capriccetti dei renziani dovrebbero essere l’ultima preoccupazione di Enrico Letta quanto alle elezioni suppletive a Siena: l’annuncio del probabile regalo a UniCredit delle parti sane del Monte dei Paschi ha trasformato il segretario del Pd in un bersaglio da luna park per l’intera campagna elettorale. Tanto più che, per uno di quegli scherzi che a volte fa il destino, Letta corre per il posto che fu di Pier Carlo Padoan, vale a dire l’ex ministro dell’Economia che nazionalizzò Mps con un bel pacco di soldi pubblici e un anno fa, dopo un biennio da deputato dem proprio nel collegio di Siena, s’è dimesso per diventare presidente di UniCredit che ora ingoierà Mps (un particolare inspiegabilmente scomparso in quasi tutti gli articoli dei giornali di ieri).

Per capire in che brutta posizione s’è messo Letta bisogna entrare nel dettaglio. Ieri l’ad di UniCredit, Andrea Orcel, ha spiegato agli analisti che l’operazione che dovrebbe essere finalizzata in 40 giorni, giusto in tempo per le Suppletive, “è la sola sul tavolo” per UniCredit perché “non prevedo che condizioni come questa siano disponibili altrove”. Quali? “La neutralità del capitale, l’accrescimento significativo dell’utile per azione, la protezione dai rischi di controversie, così come l’esclusione di Npe esistenti (Non performing exposure) e un’adeguata protezione sui prestiti in bonis da qualsiasi portafoglio prestiti che potremmo acquisire”.

Come il Fatto ha già scritto ieri, i crediti deteriorati (4 miliardi lordi, 2,1 al netto delle coperture a bilancio) finiranno alla pubblica Amco e i rischi legali (6,2 miliardi) restano in capo alla vecchia banca (cioè al Tesoro). Condizioni di super-favore a cui va aggiunto il bonus fiscale previsto dal governo per le fusioni bancarie (3 miliardi) e i soldi per l’esodo incentivato di migliaia di dipendenti (un miliardo per 5-6mila persone, scriveva ieri l’Ansa).

Un mare di soldi pubblici – 8 miliardi almeno, forse 10 – che prelude al cosiddetto “spezzatino” del Monte dei Paschi: le attività al Sud andranno probabilmente al MedioCredito Centrale, l’istituto pubblico che ha già rilevato la malmessa Pop Bari; gli sportelli toscani col marchio Mps rimarranno in vita per un po’ per far finta che a Siena non sia successo nulla; il resto va a UniCredit, che non spenderà un euro e non si accollerà alcun rischio.

Come ricordano gli appassionati, si tratta del modello con cui l’allora ministro Padoan (rieccolo) regalò a Banca Intesa le parti pregiate di Popolare Vicenza e Veneto Banca, una acquisizione che non ha reso felici i clienti e i debitori delle due popolari, né ovviamente rafforzato il legame col territorio. Ecco, a Siena si ripeterà lo stesso copione e questo sarà per Letta un problema enorme perché Mps significa Pd: il partito – attraverso il controllo degli enti locali – ha contato assai nella gestione dell’istituto, a non dire che l’attuale Mps – peggior banca europea sulle 50 analizzate negli stress test Bce pubblicati ieri – e la sua fine in UniCredit avvengono all’ombra di un solo nome: Pier Carlo Padoan.

Il segretario dem, insomma, va a chiedere il voto ai senesi mentre viene smantellata la banca, che è pure un pezzo non irrilevante dell’identità, del potere e dell’economia della città e li chiede, quei voti, essendo a capo del partito che sarà indicato, non a torto, come corresponsabile di quel tracollo. I suoi avversari hanno già iniziato il tiro al piccione (“dopo che la banca è stata risanata e può stare in piedi da sola (…) la si sottrae a Siena e ai senesi”, dice la Lega), gli amici pure: “Si sta materializzando un incubo per l’economia toscana, che andrebbe sventato in tutti i modi”, scolpisce il dem toscano Andrea Marcucci. E a poco vale che ora il partito voglia discutere l’operazione in Parlamento: difficile possa cambiarla.

A chi ricorda cosa successe a Matteo Renzi dopo il crac di Etruria e delle altre (altro capolavoro di Padoan), sarà chiaro che Letta rischia un flop storico, che probabilmente non aveva previsto al momento di candidarsi. D’altra parte nella vicenda della crisi Mps c’è assai più del suo destino personale: negli anni, troppi – e ai più alti livelli politici e istituzionali – hanno fatto o lasciato fare cose a Siena che solo annegando l’istituto in una società più grande potranno non essere più di disturbo. Il Monte è ormai un peccato collettivo della classe dirigente italiana e – come da tradizione – troncare, sopire, padre molto reverendo…

Allarme Usa: “Delta contagia come varicella”

“Bisogna riconoscere che la guerra è cambiata”. I Center for Disasease control and Prevention, massime autorità sanitarie degli Stati Uniti, non usano mezzi termini nel descrivere la lotta alla pandemia ora dominata dalla variante Delta. E lo fanno nel presentare uno studio, pubblicato dal Washington Post, in cui si afferma che la variante Delta del SARS-CoV-2 ha la stessa velocità di trasmissione della varicella ed è più infettiva dei virus che causano Mers, Sars, Ebola, il comune raffreddore, l’influenza stagionale, il vaiolo e anche l’influenza “spagnola” del 1918-20, l’ultima grande pandemia mondiale prima dell’attuale.

“Con le varianti precedenti – ha spiegato la direttrice del Cdc Rochelle Walensky – quando si verificavano i rari di casi di contagio nonostante il vaccino, non era stata osservata questa capacità di trasmissione ad altri ha spiegato Walensky citando i risultati di recenti studi condotti nelle ultime settimane. Con la variante Delta invece osserviamo che nel caso di una di queste infezioni che ‘bucano’ il vaccino è invece possibile trasmettere il virus” ha avvertito la direttrice del Cdc. Lo studio evidenzia, inoltre, che con la variante del virus in circolazione il rischio per gli anziani di finire in ospedale o morire rispetto ai più giovani resta maggiore, indipendentemente se si è vaccinati o meno. Un’altra stima dello studio afferma che ci sono 35.000 infezioni sintomatiche a settimana tra i 162 milioni di americani vaccinati. I nuovi dati sembrano evidenziare che le persone vaccinate stanno diffondendo il virus come i non vaccinati, anche se in misura minore. La trasmissione dagli immunizzati, secondo Walensky, è un evento raro, ma secondo altri scienziati potrebbe essere più comune di quanto si pensasse una volta. L’infezione provocata dalla Delta è 10 volte superiore a quella della Alpha, che è comunque altamente contagiosa. Il documento si basa sull’analisi di un focolaio a Provincetown nel Massachussets, iniziato dopo il 4 luglio e cresciuto fino a 882 casi: il 74% dei positivi al test del tampone era stato vaccinato.

Lo studio Cdc segue di pochi giorni l’invito rivolto dalla stessa Autorità ai cittadini americani a rimettere le mascherine al chiuso, anche in caso di vaccinazione completa, quantomeno nelle contee dove il tasso di vaccinazione è ancora basso (in alcuni Stati del Sud non arriva al 50%). L’invito del Cdc era stato poi motivato dall’infettivologo Anthony Fauci, consigliere medico della Casa Bianca, con la tendenza della variante Delta – in maniera assai maggiore rispetto alle precedenti – a provocare quelle che negli Usa chiamano infezioni breakthrough, ossia quelle che colpiscono persone completamente vaccinate. Che il vaccino non sia uno schermo totale è un fatto pacifico, meno usuale è che – come hanno spiegato sia Fauci che Walensky nel caso Delta – la carica virale di un breakthrough sia pari a quella di un non vaccinato, quindi assai pericolosa per il contagio.

Le parole del consigliere della Casa Bianca hanno scatenato anche in Italia i fronti no vax/pro vax, i primi persuasi che la frase “anche i vaccinati possono ammalarsi” equivalga a “i vaccini non servono”; i secondi impegnati a negare che Fauci abbia mai parlato di “stessa carica virale”. Sono entrambe affermazioni false, Fauci ne ha parlato (“the level of virus is exactly the same”, “il livello del virus è esattamente lo stesso”) precisando anche che il breakthrough “è raro, ma purtroppo succede” e che i vaccini sono estremamente efficaci.

Le indicazioni e lo studio del Cdc arrivano in un momento particolarmente critico della pandemia in Usa, dove – come in Europa – aumentano i contagi, ma frena la campagna vaccinale. In base agli ultimi dati dell’Oms, i contagi negli Stati Uniti sono aumentati in 7 giorni di oltre il 130%, facendo registrare nella settimana conclusasi il 25 luglio oltre 500 mila nuovi casi.