Chiapas addio, arriva El Machete

Dal subcomandante Marcos a El Machete. Terra ai contadini, abitazioni degne, sanità pubblica, cibo, lavoro e istruzione. Era il 1° marzo del 1994 e il mondo intero seppe dove si trovava il Chiapas, Stato dimenticato del Messico, per bocca del guerrigliero Felipe che lesse la “Dichiarazione della Selva Lacandona”. Il primo dei cinque discorsi di un gruppo apparso a sorpresa il primo giorno dell’anno nuovo dopo decenni trascorsi nella foresta.

Lì, in Chiapas, dopo secoli di emarginazione, i suoi abitanti risvegliavano i proclami di Emiliano Zapata e 5 mila guerriglieri, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln) condotto dal subcomandante Marcos, puntavano a prendere il controllo dello Stato, avanzare verso Città del Messico e abbattere il governo di Carlos Salinas de Gortari.

Ventisette anni dopo sono almeno in 3 mila a fuggire dal Chiapas assediato dalla violenza perpetrata contro la comunità Tzotzil di Pantelhò da un altro gruppo di uomini del luogo, soprannominatosi El Machete, perché non sfugga la natura della missione. A seguirli, gli abitanti del villaggio messicano simpatizzanti che hanno incendiato uffici governativi, aziende e case per protestare contro la dilagante violenza nella zona.

El Machete, che ha preso le armi due o tre settimane fa nella vicina Chenalhò, va direttamente allo scontro con le bande di narcos locali. A guardare le immagini di Pantelhò girate dall’agenzia Reuters, il paese è completamente distrutto: resti carbonizzati di edifici, automobili e case, con uomini incappucciati e armati di machete che guardano la scena poco distanti. “Non c’è sicurezza qui, non c’è pace, non c’è tranquillità”, spiega uno dei membri de El Machete, con il volto coperto, in un discorso alla folla martedì pomeriggio nella piazza principale della comunità. “C’è solo paura, pianto e paura, estorsioni e intimidazioni”, conclude.

Ma El Machete non ha rivendicato gli incendi, sui quali ci sarebbe invece la firma dei fan locali, appunto, che avrebbero preso di mira le abitazioni di persone sospettate di avere legami con i trafficanti di droga. Secondo il Centro per i diritti umani Fray Bartolomé de las Casas, nella zona più di 3 mila persone hanno dovuto lasciare le proprie case nell’ultimo mese a causa delle incursioni di gruppi criminali che stanno mettendo le mani sul territorio. In un Paese, il Messico, in cui dal 2006, cioè dalla “guerra alla droga” intrapresa dallo Stato, a morire ammazzate o a scomparire nel nulla sono state decine di migliaia di persone, sono sempre di più i cittadini che in tutti gli Stati si organizzano in milizie di autodifesa, come El Machete.

Questo a fronte della nascita, dall’insediamento alla guida del Paese di Andrés Manuel Lopez Obrador (Amlo) di almeno 12 nuovi gruppi criminali e cartelli legati al narcotraffico, secondo un recente studio del Centro di ricerca e studi economici del Paese (Cide). A domanda su El Machete, il presidente Amlo si è limitato a condannare “la giustizia fai da te dei gruppi di autodifesa”. In mezzo, ci sono i cittadini messicani, vittime quotidiane non più solo delle faide tra narcos, ma anche di quelle tra questi e le “nuove milizie”. A 60 chilometri da Pantelhò, nel cuore dell’Ezln, a San Cristobal de Las Casas, luogo storico della prima arringa del subcomandante ai cittadini che chiedevano chi fossero e cosa volessero quei guerriglieri, negli ultimi anni, la violenza delle comunità in lotta con i narcos ha trasformato il Paradiso in Inferno con scorribande dei gruppi criminali locali che scendono dalle montagne e aggrediscono i rivali, o anche solo chi dà fastidio per un pezzo di terra conteso. Così sarebbe andata per Michele Colosio, l’italiano ucciso a bruciapelo mentre rientrava a casa la notte del 13 luglio dopo i festeggiamenti per la vittoria dell’Italia agli Europei. A detta dei suoi amici della cospicua comunità italiana di San Cristobal che chiedono giustizia per Michele, il radiologo, trasferitosi in Messico 10 anni fa, più che essere malvisto per le sue opere di volontariato, sarebbe finito vittima di una disputa su un terreno.

Secondo la ricostruzione dei suoi amici, Miguel, come lo chiamavano in Chiapas, aveva acquistato un appezzamento di terra sulla montagna, ma chi gliel’aveva venduto non voleva cedergli le carte catastali. Finché il mese scorso l’uomo pare fosse riuscito a ottenere la promessa di entrarne in possesso. Promessa decaduta alla sua morte. Sulla sua fine, tra l’altro, c’è l’ombra di un’indagine poco approfondita, a detta degli italiani che lo conoscevano. Il 42enne bresciano, morto, sembra, per due colpi di pistola sparatogli contro da una banda armata, secondo i media locali sarebbe invece spirato per un infarto provocatogli dallo spavento per l’assalto degli uomini che, secondo le autorità, volevano “solo” rapinarlo.

La verità però non è ancora stata accertata. Il suo corpo giace ancora in una cella frigorifera dell’aeroporto di Tuxtla Gutiérrez in attesa di autopsia e di rientrare in Italia.

Elsa Fornero e la tv del dolore

La professoressa Elsa Fornero è stata nominata consulente di Palazzo Chigi, ma non l’avremmo vista male nemmeno al ministero dell’Ospitata televisiva, se mai si deciderà di istituirne uno. Non si tratta infatti di un vero ripescaggio; da quando è divenuta celebre grazie alla sua riforma delle pensioni, Fornero ha continuato a frequentare i talk da indefessa presenzialista con quell’aria signorile da Madame de Sévigné, quel tratto sabaudo dove è vano voler distinguere il pudore dall’ipocrisia.

Non solo. La professoressa vanta un primato personale, il primato delle lacrime più trasmesse e ritrasmesse in televisione, più o meno come i gol di Maradona. Da quando è esplosa la tv del dolore – ma anche quella della felicità, da Alberto Castagna a Maria De Filippi– le lacrime sono diventate la prima criptovaluta dell’etere. Di solito si tratta di lacrime umili, ignoti protagonisti di drammi privati pagati un tanto a secrezione, oppure Vip alla canna del gas disposti a raccontare le proprie sfighe pur di tornare sotto i riflettori (è la specializzazione di Barbara D’Urso).

Ma nel 2012 il pianto in diretta della professoressa Fornero fu un colpo di scena. A singhiozzare era un ministro, altro che vip di serie B. Anche la casta piange, sebbene di un pianto sui generis, perché la ministra non piangeva per sé, ma per quegli esodati che lei stessa aveva appena messo sul lastrico. Un po’ come se Berlusconi avesse pianto per Biagi, Santoro e Luttazzi subito dopo l’editto bulgaro.

Insomma, anche dal punto di vista mediatico Fornero era una riformatrice, e tale è rimasta. Creati dal nulla gli esodati, si è ben guardata dall’esodare se stessa; anzi, non ha mai smesso di apparire in eleganti collegamenti esterni. Apparente paradosso, e invece epitome di una profonda verità: l’Italia si divide tra i molti che avrebbero bisogno di lavorare ma non ci riescono, come gli esodati, e i pochi che potrebbero andare in pensione ma non ci vanno nemmeno sotto tortura, come Elsa Fornero.

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Riportiamo alcuni dei commenti (pubblicati sul sito del Fatto) alla rubrica Fuori Fase di Antonio Padellaro intitolata “No-Vax, filosofi e i soliti cattivi pensieri”, andata in edicola ieri. Domani la risposta di Padellaro.

 

Meglio essere vaccinati che morire asfissiati

Per quelli che pur essendo pro-vax sono convinti che i vaccini di cui disponiamo (i più statisticamente efficaci testati), sono stati sperimentati in tempi troppo brevi rispetto ai soliti per essere affidabili, posso riferire quello che ho inteso e compreso: i tempi lunghi soliti sono dovuti al reperimento dei tanti volontari necessari che si prestano per la sperimentazione, mentre in questa situazione emergenziale, le migliaia di persone indispensabili si sono rese disponibili in pochissimo tempo, rendendo veloce tutto l’iter di verifica.

L’iter sperimentale è sempre costituito, per ogni farmaco e vaccini compresi, da 4 fasi di cui l’ultima è quella di massa come è in corso, con osservazione e segnalazione dei casi di reazioni avverse, per l’aggiornamento dei protocolli vaccinali in base all’età. È solo nella quarta e ultima fase di trattamento di massa che si possono avere dati statisticamente certi e precisi, in quanto nelle 3 fasi preliminari di sperimentazione si trattano “solamente” e solitamente alcune migliaia di volontari, con risultati statistici sempre approssimati al numero di trattati e non al tempo trascorso. Sui timori di eventuali effetti nel lungo periodo, mi sono fatto il mio personale giudizio sul rapporto rischio/beneficio:meglio morire “forse” dopodomani che probabilmente subito, asfissiati.

Bart. Ezio

 

Vax o no vax: le divisioni tra infedeli e crociati

Caro Padellaro, le questioni morali non sono banalità. Con questo atteggiamento avete creato nell’opinione pubblica due fazioni contrapposte e sempre più divise: da una parte gli “infedeli” (complottisti/negazionisti/timorosi, ecc.); dall’altra parte i “crociati” (credenti fideisticamente nell’assoluta efficacia del vaccino). È ormai una guerra di religioni, che erigono barricate con fanatismo e disprezzo reciproco. Non sono ammesse incertezze né dubbi. Devi arruolarti, o di qua o di là: se provi a chiedere o a distinguere, sarai considerato un “cacadubbivax” (sue parole), un ozioso panciafichista che se ne sta sul divano a cincischiare… Personalmente ho grande fiducia nei vaccini. Ma devo anche constatare che i vaccini attuali (preparati e testati sulla variante Alpha) diventano progressivamente meno efficaci per due ragioni: il normale decadimento dell’efficacia nel corso del tempo; e, soprattutto, il diffondersi della variante Delta. Poiché la Delta sta diventando predominante anche in Italia, ne consegue che gli attuali vaccini saranno sempre meno efficaci; i Green Pass un buco nell’acqua. Allora continuiamo a vaccinarci (se lo valutiamo comunque utile), ma non trattiamo con supponenza e disprezzo chi si pone qualche dubbio.

L. Lan

 

Il nostro unico compito: combattere il virus

Condivido le sue parole, dottor Padellaro e sono contenta del discorso pronunciato da Mattarella. Il nostro compito è di combattere il virus, il nostro nemico, con tutte le regole atte a tal fine. Quindi sì al vaccino. Si sta facendo una incredibile confusione tra la vita e la morte di fronte a una pandemia mondiale. Ci sono Paesi che non possono acquistare i vaccini e la popolazione cade come mosche dopo l’insetticida, Paesi come il nostro dove, per motivi elettorali ed economici, si cerca di convincere le persone a non rispettare le regole. Tu puoi non vaccinarti, ma devi stare lontano da tutte le persone che hanno preso tutte le precauzioni per non essere infettate o per giunta morirne.

Daniela Taranto

 

Green Pass non equivale a un “tana libera tutti”

Il pericolo che vedo io nel Green Pass è il senso di falsa sicurezza che può indurre: “Vaccinati, hai il pass, puoi fare quello che vuoi”. Ottimo come incentivo, ma la gente deve capire che il vaccino di per sé non può dare una sicurezza assoluta né all’individuo né alla comunità, per cui le precauzioni vanno mantenute ugualmente, magari un po’ più rilassate ma non certo abbandonate. Questo a prescindere dal fatto che non ci scommetterei che verrà controllato davvero, dalle incongruenze che ci sono (io vado al ristorante con il pass, ma il cameriere magari non ce l’ha…) e da tutti i pipponi “costituzionali”. Deve essere inteso come un grado di libertà in più, non come il “liberi tutti”.

Valter Fiore

 

Fauci ha disorientato tutti, specie i contrari

Grazie Padellaro per la sua solita lucida disamina della situazione. È molto divertente leggere, tra i commenti di critica al suo articolo, personaggi che hanno letto solo il titolo dell’articolo di Fauci, e che ovviamente lo citano a sproposito. Penso che il giornale avrebbe dovuto mettere una nota per la comprensione per i no vax.

Ezio

 

DIRITTO DI REPLICA

In relazione all’articolo del giornalista Lorenzo Giarelli, dal titolo: “Referendum: Salvini arruola Totò Cuffaro…”, mi preme sottolineare che la Direzione nazionale della DC, da tempo ha deliberato alla unanimità di firmare e fare firmare agli aderenti e soci i requisiti referendari sulla giustizia, perché ritenuti attinenti non solo alla tradizione e alla storia, ma anche ai principi e valori ideali della stessa. In quanto poi alla citazione pepata e maliziosa sull’ex Presidente della Regione Totò Cuffaro: “Incepta perficere, perfecta confirmare”.

On. Alberto Alessi, Vice Segretario Nazionale DC

 

Ringrazio l’onorevole Alessi per la lettera, che conferma e integra quanto scritto nel mio articolo di ieri, e cioè che Totò Cuffaro ha aderito alla raccolta firme per i referendum sulla giustizia e con lui la Dc. Su Cuffaro nessuna “citazione pepata e maliziosa”, a meno che non si ritenga “pepata e maliziosa” la sentenza della Cassazione che lo ha condannato per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.

Lor. Giar.

Da Voghera “Indignata dal razzismo e dall’indifferenza della mia città”

Cari amici del “Fatto”, sono una vostra appassionata lettrice e vivo a Voghera. Come potete immaginare, ho vissuto gli avvenimenti degli ultimi giorni con intensa partecipazione e con indignazione per l’immagine che la mia città sta dando. Ho letto giorni fa l’articolo di Gad Lerner, che condivido in pieno, e apprezzo il suo tentativo di scuotere un poco le nostre coscienze addormentate, o meglio pesantemente dopate.

Ma com’è possibile che tutti i miei vicini e conoscenti vari – convinti di essere tanto illuminati (che ambiscano a far parte dei migliori/peggiori attualmente al governo? mah!) – difendano un indifendibile aspirante cowboy che gira armato col colpo in canna? E che accidenti ci si può aspettare che succeda, se si nomina un personaggio simile assessore alla “Sicurezza”, nientemeno?

Per la vittima nemmeno una parola, da nessuno di loro, è ovvio! Sabato mattina, quando ancora negozi e bar erano aperti, tutti quelli che incontravo non facevano che avvertirmi di stare lontana dalla piazza Meardi, tutti spaventati e incarogniti, manco stesse per arrivare un’invasione di alieni, o Attila con gli Unni. Poi nel pomeriggio in tutto il centro il deserto, e una sola farmacia aperta, di sabato! Davvero Voghera vuole essere così? Allora mi vergogno, e voglio chiedere scusa a tutti gli stranieri che vivono qui, che sono o saranno cittadini italiani a tutti gli effetti: ma quando proprio tutti?

PS: mi ero indignata, e molto, anche per il Conticidio, ma qui il morto è morto davvero, dunque è ben altra cosa! Complimenti, come farei senza di voi? Affettuosamente.

Antonella Forni

“Nella mia Sardegna devastata piangono i monti e le persone”

A voi mi permetto di scrivere ciò che penso, perché l’ho scritto solo in un account di toscani, non amo le polemiche da Facebook. Però, se sono bruciati i boschi di 4 o 5 Comuni, per decine di migliaia di ettari, qualcosa non è stato fatto. Le fasce frangifuoco, il personale delle squadre locali che non è stato più rinnovato. La capacità di intervento e di controfuoco. Soprattutto l’idea del kaiser che per salvaguardare l’ambiente bisogna non fare lavorare la gente.

Io tre anni fa ho chiesto di pulire le sugherete con mezzi meccanici. No, perché sotto ci sono piantine. Bene allora, chi può pulire 15 ettari di rovi e sottobosco con la roncola nel 2021? Mi prestano l’esercito? Ecco il risultato. Se il sottobosco è pulito le piante si salvano, perché il fuoco passa veloce. Se il sottobosco è fitto diventa una fornace, e non si salva niente. Ecco fatto. Può succedere ovunque. Non si spegne un incendio simile solo con tre aeroplani, arrivati un giorno dopo. Ci vuole il controllo del territorio e i piani antincendio, che prevedono anche di bruciare qualcosa per salvare il resto. Non so se sono riuscito a spiegarmi.

Il 90 per cento dei nostri oliveti secolari è in fumo. Una pianta di olivo vale 300-400 euro per 200 piante a ettaro: 60.000 euro il danno. Ma gli olivi ci mettono 50 anni per diventare grandi. Noi non li vedremo più. Per noi il danno è anche questo.

Io parlavo tecnicamente. Che ci sia scirocco lo si può prevedere. Anche che ci sia un incendio. Anche di vaste proporzioni. Vedere i vigili del fuoco stravolti dalla fatica mi fa solo incazzare. Non si ferma un incendio sputando controvento. Ci sono stato in mezzo e so di cosa parlo. Ci vogliono piani antincendio e gestione del territorio. I fondi che verranno erogati andranno a bravi e cattivi nella stessa misura. Intanto gli animali sono morti. Il danno è fatto. Beh, c’è gente pagata per fare in modo che questo danno non si verificasse o venisse contenuto. Fatalità? Può darsi. Ma se fossi un dirigente di Antincendio e Protezione civile mi chiederei dove ho, dove abbiamo sbagliato. 
Siccome sono “stronzo” aggiungo anche che i cantieri forestali di rimboschimento sono stati un sistema pubblico di erogazione di posti di lavoro in Sardegna per decadi. Ma non voglio spingermi così lontano mentre piangono i monti. E le persone.

A proposito, sapete quale è la principale risorsa per sconfiggere un incendio o per salvarsi da esso? Le strade di penetrazione. Quelle che se ti azzardi a farne una ti becchi una condanna penale. Arrivi velocemente o scappi velocemente. Anche per gli animali. I mezzi della Antincendio non si muovono a loro agio in mezzo ai cespugli. Il fuoco corre a sette e più metri al secondo. Un cavallo al passo accelerato o, in caso di venti così forti, al trotto. Riesco a spiegare quello che intendo? Io sono un semplice vigile del fuoco in quiescenza. Non le sanno queste cose i dirigenti?

Certo, scopriremo che non c’erano i fondi, e le squadre antincendio erano quelle che venivano sospettate di appiccare i fuochi, che avevano assicurato i Canadair eccetera. Ma il giorno dopo? L’outsourcing dell’antincendio, come il volontariato, direi che non funziona tanto bene. Scusatemi lo sfogo e se penso crudelmente che fosse una tragedia annunciata. Torno nell’oblio. Scusatemi, sembrerà che non sia sensibile, ma non è così. E magari mi sbaglio di grosso. Ma due giorni di fuoco da Bonarcado a Bosa mi danno da pensare ciò che ho scritto.

 

 

Questa Riforma della Giustizia può avere effetti criminogeni

Una più grave smentita della legittimità della riforma penale proposta dalla Guardasigilli proviene nientemeno che dalla Corte costituzionale della quale la stessa è stata presidente. Basta leggere la recentissima sentenza del 6 luglio n. 140 di quella Corte per comprendere la totale difformità della riforma dai parametri costituzionali. Per avvedersene occorre partire dalla premessa che il sistema, come congegnato, può consentire che, rispetto a un reato con prescrizione decennale, la sentenza di primo grado, resa dopo cinque anni, sia posta nel nulla dall’improcedibilità in appello solo dopo altri due anni. Cioè la prescrizione decennale diventa in quel caso di sette anni. È chiaro che così viene meno il parametro costituzionale dell’uguaglianza per la natura di termine eventuale, mobile, non legata a fattispecie prescrizionale valida per tutti, ma modulabile caso per caso sulla singola vicenda processuale.

Occorre ora esaminare questo incontrastabile dato di fatto (la prescrizione ad personam in base a fortuite congiunzioni astrali che allungano per qualcuno e riducono per un altro i termini di prescrizione) con l’insegnamento inequivoco della Corte. Rilevato come “la natura sostanziale della prescrizione… chiama in causa la garanzia del principio di legalità”, il giudice delle leggi si è soffermato su come tale garanzia si estenda e operi. La predetta garanzia del principio di legalità, infatti, “richiede che la persona incolpata di un reato deve poter avere previa consapevolezza della disciplina della prescrizione concernente sia la definizione della fattispecie legale, sia la sua dimensione temporale; quest’ultima risultante dalla… durata tabellare della prescrizione… e dalla possibile incidenza su di essa di regole processuali”. Il che comporta “la predeterminazione per legge del termine entro il quale sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività della responsabilità penale”. Il rispetto del principio di legalità richiede cioè che i fattori incidenti siano “conseguenza dell’applicazione di una regola processuale sufficientemente determinata”. Ed è questo l’aspetto di maggior rilievo: il profilo della “sufficiente determinatezza” deve essere rispettato perché possa ritenersi non violato il principio di legalità.

Le considerazioni della Corte cozzano brutalmente con l’impianto della riforma Cartabia, nella quale opera il contrario principio dell’indeterminatezza assoluta e relativa, che risiede nella diversità di trattamento per la prescrizione “mobile” e ad personam e discende dalla diversa operatività delle Corti d’appello. Se la Corte d’appello di Firenze è più lenta di quella di Perugia (le indicazioni geografiche sono di mera fantasia) sarà giocoforza per gli avvocati di Perugia, sulla base di perplesse incompetenze territoriali, cercare di far trasferire il processo a Firenze per lucrare sulla cosiddetta improcedibilità dell’azione penale. Si assisterà così a una nuova forma di “turismo giudiziario”.

La riforma in discussione: 1) respinge il principio di legalità e conforma la giurisdizione penale ai caratteri dell’indeterminatezza e della relatività; 2) stravolge il principio di uguaglianza, negando un trattamento punitivo predeterminato e valido per tutti; 3) altera la natura della durata ragionevole del processo che deve essere pure articolata in modo coerente su tutto il territorio nazionale; 4) incide con norme processuali sull’esercizio dell’azione penale pur in presenza di una norma che dichiara interrotta la prescrizione, violando così anche il paradigma della natura sostanziale della prescrizione che attrae la normativa processuale; 5) può determinare effetti criminogeni per la maggiore probabilità di sottrarsi alla pena che l’improcedibilità dell’azione offre a soggetti votati a delinquere.

 

“La Stampa” illuminata che invoca i colonnelli

Noi lo dicevamo per scherzare, che questi volevano i colonnelli, dove questi sono gli sposini di Draghi (visto che chi non ama Draghi e non prega nella sua direzione tre volte al giorno loro lo chiamano “vedovo di Conte”). Invece ieri su La Stampa Marcello Sorgi l’ha scritto chiaro e tondo: “Se Draghi fosse costretto a dimettersi (ma va ripetuto: è un’ipotesi del terzo tipo, il periodo ipotetico dell’impossibilità)”, il Signore non voglia, Dio ce ne scampi e liberi, mi caschi la lingua se lo ripeto, “Mattarella lo rinvierebbe immediatamente alle Camere, mettendo i partiti di fronte alle loro responsabilità”. Quindi tutto a posto, sono inconvenienti della democrazia che il sistema, responsabilizzato dai tanti miracoli draghiani in fatto di Ripresa, Resilienza, Finanza, Lavoro, Salute e Amore, ammortizza con letizia.

“Ma metti anche che”, dice Sorgi sbiancando e mordendosi la lingua, “in un intento suicida, gli stessi responsabili delle dimissioni insistessero per mandare a casa il banchiere, giocandosi la fiducia dell’Europa e i miliardi di aiuti… al Presidente della Repubblica non resterebbe che mettere su un governo elettorale, forse perfino militare, com’è accaduto con il generale Figliuolo per le vaccinazioni. A mali estremi, estremi rimedi”. Avete letto bene. Sul giornale più azzimato del gruppo Gedi, il fiore della borghesia industriale italiana, su cui scrivono progressisti e gente attenta alle desinenze non discriminatorie, l’editorialista di punta chiede i carrarmati. A parte che se c’è di mezzo il Gen. Figliuolo il golpe sarebbe molto probabilmente una pagliacciata confusionaria (“Usate il cannone, no: il lanciarazzi, anzi no: la scimitarra! Occuperemo 500 uffici ministeriali entro settembre, no: 1 milione entro ottobre, anzi 600 mila entro novembre! Arruolatevi tutti, no: solo sotto i 50 anni, anzi solo sopra i 60”, e così via), fa una certa impressione la naturalezza con cui sul giornale più cool dell’establishment si invoca il rimedio estremo contro i partiti che questionano sulla Giustizia invece di amare Draghi e le sue sante riforme incondizionatamente. Ci hanno preso gusto, segno; del resto, le vaccinazioni sono andate così bene (a proposito: prima di attuare il piano eversivo, Sorgi potrebbe consigliare al Gen. Figliuolo di riaprire gli Open Day con AstraZeneca, giusto per accoppare i più giovani, notoriamente poco empatici coi militari).

È che, ci spiegano i liberali sui social apprezzando molto l’invocazione di Sorgi, i militari sarebbero comunque meglio di Conte (ormai lo dicono proprio apertamente, fino a qualche anno fa si vergognavano quando gli dicevi che sono da sempre i migliori fiancheggiatori dei fascisti) e bisogna perpetrare il governo Draghi a ogni costo, finanche quello di revocare d’imperio la democrazia. Anche se sospettiamo che questo per Sorgi e quelli come lui non sia un costo, ma un piacere: nel suo articolo la democrazia è, icasticamente, “la grande e crescente confusione che si registra alla Camera”, una escrescenza inutile, una cistarella che si può incidere e far scoppiare. Come? Con le baionette.

Questa gente che sembra pulitina e non dice “cazzo”, e giammai nella stessa frase con la parola “Draghi”, non si fa nessun problema, dopo il caffè, a proferire in un editoriale dolente, in cui prevede la fine del Governo dei Giusti benedetto dall’Europa, l’inaudita proposta. “Anche se non è affatto detto che ci si arriverà”, concede l’autore nella chiosa con una certa malinconia, mentre l’aroma mentolato della schiuma da barba svanisce nell’aria insieme al bel sogno di un attimo. Gli stivali dentro Montecitorio, l’odore di polvere da sparo, le palestre trasformate in carceri per i dissidenti, Conte che scappa in aereo in lacrime e si collega via FaceTime con la base come Erdogan, un capo del Governo col petto guarnito di mostrine, l’ad di Goldman Sachs ministro delle Finanze, Figliuolo che si fa paracadutare per sbaglio dentro un pollaio di Maccarese… Peccato, sarà per un’altra volta (naturalmente stiamo esagerando, loro hanno solo prospettato uno scenario, i terroristi siamo noi che diciamo che la lotta di classe esiste, mentre loro la vincono).

 

L’isola di Houellebecq, i recuperi di palla del governo e i no-vax

E per la serie “In ogni castello di sabbia distrutto c’è qualcosa delle rovine dell’antica Ilio”, la posta della settimana.

Caro Daniele, sto leggendo La possibilità di un’isola di Houellebecq. Il protagonista è Daniel, un comico di fama, dalle battute satiriche pungenti e trasgressive. A me ha ricordato te. È una coincidenza? (Andrea Calligaris, Gorizia). Forse no, anche perché non è l’unica. Nel romanzo, scritto nel 2005, la fidanzata di Daniel si chiama Isabelle, come una mia cara amica di Roma che all’epoca faceva l’ufficio stampa di Houellebecq per la Bompiani. Se fossi davvero io, la mia reazione sarebbe la solita: umiltà, e alto silenzio interiore.

Hai visto lo spot governativo coi vip che invitano a vaccinarsi? Non mi convince del tutto (Fabrizia Barosi, Lucca). L’ho visto, e in effetti non è molto persuasivo, perché si vede che i vip stanno recitando, mentre in un caso come questo la sincerità è fondamentale. In più, recitano male, perché non sono attori. Un attore studia anni per imparare a fingere la sincerità, non è una cosa da tutti. Se poi ci metti pure Bonolis, che dice la sua frase con lo stesso tono con cui nei suoi programmi prende per il culo i concorrenti sprovveduti, le piazze si riempiono all’istante di no-vax. Bastava uno slogan efficace, ma gli slogan efficaci costano, perché i pubblicitari bravi si fanno pagare. Vabbè, ne regalo uno io al governo (è il mio contributo per uscire da quest’incubo pandemico): “Vaccinatevi. La vita che salvate potrebbe essere la vostra”.

L’Italia va matta per il calcio al punto che i giornaloni attribuiscono i successi della Nazionale a Draghi. Non è incredibile? (Paride Infante, Napoli). No, è l’Italia. Tanto varrebbe che dessero le pagelle a questo governo nello stile della “Gazzetta” o di “Tuttosport”, al posto degli inutili editoriali di Panebianco e Folli. “Repubblica” potrebbe stampare queste, sempre gratis: Draghi 10: Il migliore per tattica, tecnica, gestione, coraggio, tutto. Mentalità granitica, trova sempre la chiave per riuscire a domare qualsiasi avversario. Colao 7: È un pragmatico di buon senso che ricopre il suo ruolo con dignità. Brunetta 5,5: Battibecca sempre come una vecchia zia zitella. E non è l’aspetto peggiore. Ma strappa gli applausi del suo pubblico. Che provocatore! Carfagna 6,5: Si è calata nella parte, ma non riesce a far valere né la grinta né l’esperienza. Gelmini 7: Poco lavoro assolto con piglio sicuro. Dadone 5: Non è il governo che si aspettava. Di Maio 4: È l’uomo invocato dal popolo, ma sceglie la soluzione comoda di non avventurarsi. Applausi alla carriera, ma chiusura malinconica. Lamorgese 8: Doveva essere il punto debole, ma dà sicurezza. Cartabia 9: Non cede un millimetro, di testa batte tutti, sui recuperi pare una ragazzina. Sinceramente: mostruosa. Guerini 7,5: Protegge la retroguardia, senza mai lasciare la zona di competenza. È quello il copione e lo rispetta. Franco 7: Solido, potente, meno spavaldo di altri. Giorgetti 6: Si agita tra le linee da destra, mette paura, si tuffa, ma alla lunga poco produttivo. Patuanelli 5,5: Avvio perentorio, ma viaggia a intermittenza. Cingolani 7: Umile a mettersi a disposizione anche nel lavoro sporco. Giovannini 4: Non aggiunge nulla. Orlando 8: Subito in partita, sempre al posto giusto. Bravo. Bianchi 6: Senza sbavature, anche se in sofferenza. Messa 5: Meno confusionaria di altri, mette in fila qualche errore di troppo. Franceschini 8,5: È affidabile, continuo ed esperto: grande ministro. Il futuro del Pd sarà da costruire attorno a lui. Speranza 6,5: Fatica a interpretare il ruolo assegnatogli da Draghi in una politica dove il gioco si è trasformato in corrida. Garavaglia 2: molle e svagato. Perché? (Tempo di lettura: 1’41”).

 

L’UniCredit di Padoan apre al Montepaschi. Spezzatino e costi per lo Stato fino a 8 mld

Alla fine UniCredit ha rotto gli indugi e avviato una trattativa “in esclusiva” con il ministero dell’Economia per rilevare la polpa del Monte dei Paschi di Siena. Ieri, a sorpresa, il consiglio di amministrazione della banca, convocato per approvare i conti trimestrali, ha dato l’ok anche all’ingresso in data room per esaminare i conti della banca senese in vista di un’eventuale acquisizione. Il negoziato tra il Tesoro, primo azionista del Monte, e i vertici di UniCredit dura da tempo e si è intensificato da aprile dopo l’arrivo di Andrea Orcel alla guida del gruppo milanese e sotto la presidenza di Pier Carlo Padoan. L’ex ministro dell’Economia ha fatto sapere di essersi “astenuto” in Cda sul tema. Una mossa formale che però non oscura un dato che fa impallidire il concetto di porte girevoli: Padoan è l’uomo che al Tesoro nel 2017 ha nazionalizzato Mps a caro prezzo e ora presiede la banca che tratta con il Tesoro imponendogli una svendita a “costo zero” e con pulizia dei conti a carico dello Stato. L’operazione, infatti, si concretizzerà solo se “avrà impatto neutrale sul capitale di UniCredit”, si legge in una nota diffusa dal gruppo. “Tutti i crediti deteriorati di Mps saranno lasciati indietro – ha spiegato Orcel, come anche i rischi legali.

Quella che si profila è un’operazione complessa e che costerà cara allo Stato. UniCredit rileverà solo un “perimetro selezionato di Mps”, che, a quanto filtra, subirà uno spezzatino: le attività al Sud (a partire dall’ex Banca del Salento) dovrebbero finire al MedioCredito Centrale, l’istituto controllato dalla pubblica Invitalia che poco più di un anno fa ha salvato la Popolare di Bari, mentre gli sportelli toscani (e verosimilmente il marchio) rimarranno per un periodo in vita in via autonoma, per evitare l’implosione della classe politica locale, Pd in testa. Il resto dovrebbe finire a UniCredit, che, come detto, non spenderà un euro e non vuole nessun rischio. Al di là dei tecnicismi, tra pulizia dei crediti deteriorati (4 miliardi lordi, 2,1 al netto delle coperture a bilancio), destinati a essere rilevati dalla pubblica Amco, accollo dei rischi legali (oggi ridotti a 6,2 miliardi) e il bonus fiscale previsto dal governo per le fusioni bancarie finalizzate entro giugno 2022 (3 miliardi), il conto finale per lo Stato potrebbe sfiorare gli 8-10 miliardi. La stessa cifra, tra garanzie ed esborso diretto dello Stato, ottenuta da Intesa Sanpaolo nel 2016 per rilevare le Popolari venete in dissesto. Anche allora, manco a dirlo, Padoan sedeva al Tesoro.

Concorsopoli Pd, Allumiere blocca le assunzioni

Il Comune di Allumiere ha sospeso gli effetti della graduatoria finale del concorso per istruttori amministrativi, pubblicata il 14 dicembre 2020. Tradotto: le assunzioni contemplate nella cosiddetta “Concorsopoli” della Regione Lazio sono state bloccate. E probabilmente verranno annullate. La delibera del piccolo comune in provincia di Roma è stata approvata e pubblicata ieri. L’effetto è anche quello di bloccare i contratti dei 18 idonei assunti a tempo indeterminato nel Consiglio regionale del Lazio, provvedimento disposto alla fine del 2020 dall’ex presidente della Pisana, Mauro Buschini, attraverso un protocollo d’intesa con il sindaco di Allumiere, Antonio Pasquini, che tra l’altro era uno dei suoi più stretti collaboratori in Regione. Nei giorni scorsi, il presidente della commissione allumierasca, Andrea Mori, indagato a Civitavecchia per rivelazione di segreto d’ufficio, era stato raggiunto dalla misura cautelare del divieto di dimora: gli è vietato recarsi a Tolfa e ad Allumiere, comuni in cui lavora come consulente.