Ora è ufficiale. Il Csm ha bocciato la riforma della ministra della Giustizia Marta Cartabia con il voto definitivo di ieri in plenum, a larghissima maggioranza. Sono passati così i due pareri, uno solo sulla improcedibilità e uno sul resto della riforma, entrambi deliberati dalla Sesta commissione presieduta da Fulvio Gigliotti, laico M5S. In merito alla improcedibilità prevista in Appello e in Cassazione, parla di “rilevanti e drammatiche ricadute” dato che manderà in fumo decine di migliaia di processi e non garantirà giustizia alle vittime.
I due anni fissati per la durata massima del giudizio di Appello (a parte le eccezioni che, però, sono state approvate in Cdm ieri sera) pena l’improcedibilità, “sono largamente inferiori a quelli medi” che “oscillano dai 4 ai 5 anni”.
Questa riforma, ha scritto il Csm, ha pure profili di incostituzionalità, a partire dalla previsione che debba essere il Parlamento, ogni anno, a dettare le linee guida ai procuratori su quali reati devono indagare: una norma che rappresenta “un possibile contrasto con l’attuale assetto dei rapporti tra poteri dello Stato”, ovvero il principio costituzionale della divisione dei poteri. Inoltre, l’individuazione dei reati che i magistrati dovranno perseguire “rispecchierà, inevitabilmente e fisiologicamente, le maggioranze politiche del momento”.
Su improcedibilità e su priorità ordinate dal Parlamento si sono concentrati gli interventi dei consiglieri durante un lunghissimo dibattito. Per Nino Di Matteo ci sarà “un aumento esponenziale dell’impunità anche per reati molto gravi”. E fa rumore la sua affermazione, pronunciata quando la trattativa dei partiti di governo sembrava a un punto morto, che l’improcedibilità “segnerà la fine della stagione dei maxi-processi alla mafia, aperta a Palermo per volere di Giovanni Falcone” oltre alla “mortificazione dei diritti delle parti offese, alimentando un diffuso senso di sfiducia dei cittadini verso la giustizia”. Quanto alle priorità del Parlamento, dice Di Matteo, è “un vulnus evidente, apre la via ad una chiara violazione del principio di separazione dei poteri, all’indipendenza della magistratura e obbligatorietà dell’azione penale”. Giuseppe Marra (AeI), bocciando l’improcedibilità ricorda che con questo sistema rischiano di saltare i processi per il crollo del ponte Morandi o la caduta della funivia di Mottarone: “Non possiamo immaginare uno Stato che non assicuri giustizia, si crea un problema di tenuta democratica”. Giuseppe Cascini (Area) ricorda che “l’Europa non ci chiede di non fare i processi” e che l’improcedibilità “è un formidabile incentivo per gli imputati a tirarla per le lunghe, perché porta alla morte del processo”. E Alberto Bendetti, laico M5s: “Oggi sono in gioco i principi portanti di una società civile, questa riforma finirà con il privilegiare alcune classi che possono permettersi di andare in Appello e in Cassazione e di uscirne con l’improcedibilità. Il fine processo mai, conclude lapidario, non si risolve con processi farsa”.
Le votazioni sono state due perché prima del rinvio del plenum, deciso dal presidente Mattarella martedì scorso, la Sesta commissione aveva già deliberato un parere solo su improcedibilità. Poi, con il rinvio dovuto alla richiesta assai tardiva della ministra Cartabia di avere un parere, è stato deliberato un secondo testo sul resto della riforma. Sull’improcedibilità il parere è stato votato anche dal presidente della Cassazione Pietro Curzio, oltre che dai togati di Area, AeI, Unicost e dai 3 laici M5S, Benedetti, Gigliotti, Donati e Cerabona, FI. Contrari Alessio Lanzi, FI, storico avvocato di Berlusconi, Basile, Lega, e la togata Balduini di Mi, la corrente di centro-destra; si sono astenuti, come il laico leghista Cavanna, anche gli altri 4 togati di Mi. Proprio i togati di Mi, hanno tentato, fallendo, di “annacquare” il secondo parere nel punto in cui demolisce l’ipotesi che sia il Parlamento a dettare la linea ai pm. Ma, essendo rimasti isolati, a malincuore votano il parere originario. Contrari Lanzi (anche se poi non ha votato perché andato via) e Basile. Cavanna ancora astenuto, idem i capi di Corte Curzio e Salvi. Sulla posizione di Mi, rimbalzano alcuni commenti maliziosi nei corridoi di palazzo dei Marescialli: sono filogovernativi, lato centrodestra, che alle prossime elezioni viene dato vincente con Giulia Bongiorno papabile ministra della Giustizia.