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Quel siparietto di Mieli su La7: stucchevole

Gentilissimo direttore, a proposito dell’editoriale “Il piccolo fiammiferaio”, avresti dovuto vedere lo stucchevole siparietto di Mieli, De Gregorio e Damilano su La7, praticamente hanno fatto intuire che tu fossi un terrorista e aizzatore di folle contro il Santo. I discepoli hanno dimenticato le bellissime parole uscite dalle loro boccucce o le accuse infondate atte a demolire la credibilità del presidente Conte: io mi vergogno per loro e per aver dato credito ad alcuni di loro in passato.

Nicoletta Della Pietra

 

Cara Nicoletta, questa gente riesce a fare contemporaneamente paura e ridere.

M. Trav.

 

I vaccini tra obblighi ed effetti collaterali

Visto il consueto tifo da stadio nel dibattito sui vaccini, preferisco non rendere pubblica la mia posizione. Mi si consenta una riflessione: se devo essere vaccinato nel superiore interesse della collettività, perché devono essere mie le conseguenze negative in caso di controindicazioni? Posso anche accettare di sottostarmi a un obbligo vaccinale imposto per accedere a certi luoghi, ma allora le conseguenze devono essere collettive: non devo essere costretto a firmare che conosco le controindicazioni di un farmaco sperimentale e che sollevo il vaccinatore da ogni responsabilità. Se scelgo liberamente di vaccinarmi, allora ha senso che sia così, ma se me lo imponi per legge o privandomi di alcune libertà se non ottempero, allora la responsabilità non deve essere mia. Si crea anche un problema di trattamento dei dati sanitari. Perché una cameriera al ristorante deve poter sapere se sono vaccinato? Non è il mio medico curante.

Giulio Giandoso

 

Che nessuno osi dire: “Draghi figlio di papà”

Gentile Marco Travaglio, le scrivo in merito a quanto ha detto alla festa di Articolo 1: “Draghi è un figlio di papà, un curriculum ambulante, uno che visto che ha fatto bene il banchiere europeo ci hanno raccontato che quindi è competente anche in materia di sanità, di giustizia, di vaccini eccetera. Mentre, mi dispiace dirlo, non capisce un cazzo né di giustizia né di sociale né di sanità”.

Draghi è rimasto orfano dei genitori a 15 anni ed è stato cresciuto da una zia, hanno strillato i gazzettieri indignati. È obbligatorio conoscere la biografia di Draghi? Per gli sciacalli sempre in agguato, Renzi in testa, sì. È evidente che lei si riferiva alla bambagia finanziaria in cui il grand commis è cresciuto, al servizio del Vero Potere Internazionale (Vip, Very international power, nel suo slang bancario). Ai politici è consentita ogni bassezza lessicale e linguistica, soprattutto il peccato mortale di non farsi capire per sfuggire meglio ai loro impegni presi a parole, mentre a certi giornalisti viene imputato di parlare chiaro e duro. E spesso con linguaggio figurato, come in questo caso. Il popolo bue preferisce dunque i velinari di una volta e di oggi, quelli che ricopiavano e ricopiano paro paro le dichiarazioni dei governanti senza interferire? Lei può non conoscere che vita abbia fatto da ragazzo Draghi e quanto abbia sofferto. Oppure lo sa, però, dato che il ragazzo è ormai grandicello (Draghi ha 73 anni), pensa che possa reggere l’onda d’urto di un’affermazione come questa. Noi da Draghi e dai suoi incapaci di governo accettiamo di peggio. E non mi riferisco alle mascherine e ai green pass, è ovvio. La politica non è più La fattoria degli animali di Orwell. È Il libro della giungla di Kipling. Riscritto da Stephen King.

Ivano Sartori

 

Caro Ivano, naturalmente conosco benissimo la biografia del giovane Draghi, che ho ricostruito nel mio “Conticidio”. Ma ovviamente non stavo parlando dei suoi genitori.

M. Trav.

 

Solidarietà al direttore: le sue parole condivisibili

Gentile redazione, esprimo solidarietà al direttore Travaglio dopo l’attacco che ha ricevuto a seguito della festa di Articolo 1. Il suo pensiero e le sue parole su Draghi erano e sono chiare non fraintendibili. Condivisibili o meno (per me sì) ma che non vengano strumentalizzate per attaccare il vostro bravo e onesto direttore.

Mario Lezziero

 

Povero premier, vittima di odio e di invidia

Gentile redazione, condivido pienamente le parole del direttore Travaglio su Draghi e il suo governo di “figli di papà”, avrei un solo appunto da fargli: non doveva dire “non capisce un cazzo”, adesso l’informazione di regime calcherà la mano solo su quelle parole, estrapolandole dal contesto e facendo passare Travaglio per un volgare insultatore e il “povero” Draghi come vittima dell’odio e dell’invidia.

Mauro Chiostri

 

Caro Chiostri, lei crede davvero che se avessi detto “cacchio” o “cippa” sarebbe cambiato qualcosa?

M. Trav.

 

Martedì nell’articolo “Sicilia, il cielo sopra Troina brilla per gli astro-turisti” ho erroneamente attribuito il comune di Darfo Boario Terme, in Val Camonica, alla provincia di Bergamo anziché a quella di Brescia.

M. C. Frad.

Enrico Caruso “Riportiamo in vita (virtuale) il ‘tenorissimo’ napoletano”

Qualche mese fa, ho chiesto a Google di celebrare il 2 agosto il centenario dalla scomparsa di Enrico Caruso con un Doodle, chissà se esaudiranno la mia richiesta. Successivamente ho contattato la Base Hologram, società che ha virtualmente “riportato in vita” celebrità come Maria Callas, sperando nella realizzazione di un progetto in onore del tenore, ma hanno risposto che avrebbero bisogno di finanziatori. Poco più di due minuti ammutoliti mentre interpreta Canio dei Pagliacci: questo è tutto ciò che abbiamo del napoletano sul palcoscenico di un teatro lirico. Sto parlando ovviamente della pellicola My Cousin e del Metropolitan Opera House di New York (non il Manhattan, come ho dimostrato nel saggio Enrico Caruso e il cinema nel centenario di My Cousin, recuperando una mai citata intervista al regista del film Edward Josè; auspicavo anche il restauro del film e recentemente, grazie alla Cineteca di Bologna, è stato realizzato). È facile supporre che questi pochi minuti di gestualità del corpo e mimica facciale rappresentino solo un accenno della bravura del teatrante Caruso mentre faceva ciò che gli era più congeniale: in-cantare chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione, anche al di fuori di un teatro d’opera. In effetti, se da quel felice 11 aprile 1902, il “tenorissimo” avesse deciso di non fidarsi della tecnologia senza lasciare alcuna incisione ai posteri, oggi quale centenario staremmo celebrando? Ci sarebbero anche domande di diversa natura che dovrebbero esser poste a chi di competenza. Ad esempio, sul sito ufficiale creato dal Comitato nazionale per celebrare il centenario, leggo che Caruso incise l’inno di Mameli, forse hanno confuso? L’unico discendente del tenore è inserito nel suddetto Comitato ma ricopre il ruolo di presidente onorario, perché non offrire più spazio decisionale? Le risorse finanziarie previste per le celebrazioni superano di tre volte i 90.000 euro stanziati con un atto del governo: chi sovvenzionerà? Sarebbe interessante capirlo. Caruso univa tutti, in questi mesi ho notato divisione d’intenti. In conclusione, forse vaneggio, sarebbe un’emozione indescrivibile vedere nuovamente Caruso cantare arie d’opera e canzoni napoletane. Anche se soltanto come un ologramma, perché non provarci? Così come per Troisi, morto un Caruso non se ne fa un altro. La tecnologia ci permetterebbe di azzardare un miracolo, così come oltre 100 anni fa ci permise di incidere le voci e fissare le immagini.

 

L’intelligenza artificiale anti-covid

Negli anni 80 siamo passati dalla penna e dalle quattro operazioni al computer. In due generazioni il salto in avanti è stato rocambolesco. Adesso la nostra generazione è chiamata a un altro adattamento, convivere con l’Intelligenza artificiale. Di fatto, in maniera inconscia, lo stiamo facendo già adesso, quando interroghiamo il nostro cellulare per avere indicazioni sul percorso migliore per raggiungere un luogo, quando un altro utile “aggeggio” risponde alle nostre più svariate domande e ci prepara la lista della spesa. Questa innovazione non poteva non riguardare anche la Medicina. Non credo che sarà facile abbandonare il fonendoscopio, lasciando a un robot (il nostro nuovo assistente medico) le diagnosi sui nostri pazienti. Eppure questo è già il presente ed è anche diagnosi di Covid-19. Già sono stati sviluppati sistemi capaci di analizzare in pochi secondi tutti i dati diagnostici e anamnestici per inquadrare la severità della malattia e indirizzare verso il ricovero opportuno. L’Intelligenza artificiale – AI (Artificial Intelligence) – è stata di recente utilizzata per contrastare le varianti. Un team della University of Southern California (USC) Viterbi School of Engineering ha sviluppato un metodo per accelerare l’analisi delle varianti del virus Sars-CoV-2 al fine di progettare un vaccino efficace alle attuali esigenze. I primi risultati sono stati pubblicati a febbraio scorso sulla rivista Scientific Reports, Nature. Questi riferiscono di un “approccio deep learning” (apprendimento profondo), che è uno dei rami dell’AI. Grazie a tale metodo, con una velocità prima impossibile da immaginare, sono stati in grado di costruire decine di vaccini che potrebbero essere utilizzati proprio contro le varianti circolanti e modificabili anche per le altre che potrebbero venire. L’AI ci sostituirà? Forse, ma ancora per qualche decennio decideremo noi come utilizzarla, prima che i ruoli possano invertirsi. A proposito dei ruoli, auspichiamo che non si trasformi in un ulteriore mezzo di discriminazione di genere. È stato notato che la voce con la quale questi “nuovi intelligenti” indicano le cose futili è quasi sempre femminile, quella che informa su argomenti importanti è maschile. È casuale?

 

No-vax, filosofi e i soliti cattivi pensieri

Perché quando osservo i No-Vax che protestano in piazza mi vengono in mente cose che non condivido? Troppo facile, lo so, cercare riparo dietro la celebre vignetta di Altan se ci si trova a rimuginare, non opinioni magari discutibili, bensì cattivi pensieri, umori beceri, oscure paure. Credetemi, non auguro il male a nessuno, ma quando osservo i No-Vax e ascolto le loro invettive, be’ mi sorprendo a pensare che forse anche un semplice raffreddore potrebbe costringerli a rinsavire, a riflettere sui rischi che corrono e che, soprattutto, fanno correre al prossimo con le loro tesi che non io, ma la scienza considera pericolosamente strampalate. E quando leggo di convinti No-Vax che rimasti vittime del virus ringraziano riconoscenti i medici che li stanno salvando, be’ sono contento per loro che riportano a casa la pelle, ma penso: ben gli sta. E divento davvero pessimo quando mi trovo ad ascoltare i cacadubbiVax che spaccano il capello in quattro – ma discettando da un comodo divano e non invece sfidando la polizia come i disperati di cui sopra. Quelli che pensano di mascherare la loro mediocre ipocrisia premettendo che, per carità, sono stati regolarmente inoculati ma però, forse, tuttavia (tipo gli omofobi che assicurano: ho tanti amici gay). Non mi vergogno invece di confessare che quando leggo i filosofi Cacciari e Agamben definire l’istituzione del Green pass “da regime dispotico”, subito mi viene in mente la frase “primum vivere deinde philosophari”. Massima che (apprendo) si suole attribuire al filosofo britannico Thomas Hobbes, uno che, evidentemente, nel Seicento speculava con i piedi ben piantati nella realtà (anche perché non c’erano prime pagine dei giornali da scalare). E visto che ci siamo, penso che Mario Draghi abbia fatto non bene ma benissimo a dire che “l’appello a non vaccinarsi è un invito a morire”. Perché sarà stato anche un ceffone pesante, ma necessario (vero Salvini?). Perché io, come tutti, voglio vivere e voglio difendere la vita di ciascuno. Perché siamo i beneficiari di quel dono immenso che si chiama vaccino. Perché adesso questo regalo dobbiamo meritarcelo non lasciando il campo alle scorribande dei profeti di sventura (e agli opportunisti un tanto al chilo). Faccio male?

“Sul Pil, l’Italia batte la Germania!” Ma è solo l’effetto del crollo più forte

Alla fine è sempre Italia-Germania 4 a 3. Quali siano le ragioni alla base, il sorpasso nei confronti dei tedeschi è visto come elemento di orgoglio, di rivalsa. Questo vale ormai in molti campi, non solo nel calcio. Una nuova dimostrazione di ciò è stata la pubblicazione dei dati previsionali del Fondo Monetario sulla crescita economica del 2021 e del 2022. La crescita internazionale aumenta rispetto alle stime fatte alla fine dello scorso anno, soprattutto nei Paesi sviluppati. Una crescita che in Italia arriverà al 4,9% quest’anno e al 4,2 il prossimo. In Germania invece sarà sotto il 4 nel 2021 e al 4,1 nel 2022. Per due anni l’Italia crescerà più della Germania. In questo nuovo clima di rinascita italiana, tutti i principali quotidiani si sono affrettati a rilanciare la notizia che “l’Italia supera la Germania” anche nella crescita economica. Ed è vero. Però solo se non consideriamo cosa è successo lo scorso anno. Se invece ampliamo lo sguardo e consideriamo anche cosa è successo durante l’anno della crisi pandemica, il risultato cambia.

Complice una diversa struttura economica, dove il peso del settore turistico è molto più importante in Italia che in Germania, il calo del Pil nel 2020 è stato dell’8,9% da noi, del 4,8% da loro. La loro economia è scesa 4,1 punti meno della nostra. Cresciamo di più adesso (o dovremmo crescere di più) perché prima siamo scesi di più. È il cosiddetto “base effect”, l’effetto che la scelta di una base di comparazione, in questo caso l’anno di partenza, può avere nel modificare il risultato che vogliamo analizzare. Nell’analisi dei dati è un effetto spesso rilevante e non è raro che venga utilizzato per indirizzare i risultati a favore della propria tesi. Per eliminare questo effetto di base e valutare se saremo davvero in grado di sorpassarli in questa iniziale fase post-pandemica, dobbiamo partire dal Pil che avevamo prima del Covid, quindi quello del 2019, e confrontare poi la crescita cumulata che il Fmi stima fino al 2022. Vedremo così che il prossimo anno, mentre l’economia tedesca avrà superato il Pil del 2019 di circa 2,7 punti, quello dell’Italia non sarà ancora ritornato al livello pre-pandemia, sarà ancora più basso di 0,4 punti. Rispetto a come eravamo partiti, la nostra economia rimane ancora 3,1 punti indietro rispetto alla loro. Purtroppo non c’è stato ancora nessun sorpasso.

Caso camici, ecco la delibera-bozza “salva-cognato”

Una “bozza” di delibera che avrebbe dovuto trasformare la vendita in “donazione”. Il documento è stato depositato agli atti dell’inchiesta sul presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, indagato a Milano per frode in pubbliche forniture nella vicenda dei 75mila camici forniti all’agenzia regionale Aria dalla Dama Spa, guidata dal cognato di Fontana, Andrea Dini. La delibera avrebbe dovuto essere approvata dal cda di Aria spa e che era stata preparata dall’allora dg della centrale acquisti regionale, Filippo Bongiovanni. Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione, scrivono i pm, “dietro mandato di Fontana” avrebbe definito i “dettagli dell’accordo” tra il presidente e il cognato in una riunione in Regione il 19 maggio 2020. E li avrebbe comunicati a Bongiovanni come “diretta volontà del presidente”. Quindi, la fornitura doveva diventare anche formalmente una donazione e serviva una “pezza d’appoggio” con l’allora dg di Aria che doveva “dare esecuzione” all’accordo, come emerso dagli interrogatori.

Intercettazioni e segreto di Stato: così Bergoglio ha incastrato Becciu

Intercettazioni telefoniche, riservatezza delle indagini, pieni poteri ai pm, rimozione dei segreti di Stato. Quattro disposizioni di Papa Francesco (in gergo “rescritti”, dal latino rescriptum), firmate fra il 2 luglio e il 13 febbraio 2020, hanno cambiato in corsa – e solo per questa inchiesta – il diritto ecclesiastico, dando alla magistratura vaticana carta bianca nelle indagini sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Si è arrivati così al processo, iniziato martedì, nei confronti di dieci persone, fra cui l’ex terza carica vaticana il cardinale Angelo Becciu, e i broker Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi. Per Becciu, il 30 aprile 2021 il Pontefice ha disposto con motu proprio (ossia “di propria iniziativa”) che si potesse processare un cardinale, cosa mai prevista dalle leggi vaticane.

Il primo “rescriptum” di Papa Francesco è datato 2 luglio 2019, e segue una richiesta arrivata allo Ior (la banca vaticana) di “effettuare un finanziamento di consistente entità per ragioni istituzionali”. Da questa segnalazione nasce tutta l’inchiesta ora sfociata nel processo a Becciu e ad altri. Così Bergoglio ha consentito che l’Istituto delle Opere Religiose potesse “agire in deroga agli obblighi di segnalazione ad altre Autorità” e dare “dettagliata notizia di quanto a sua conoscenza al Promotore di Giustizia (la Procura vaticana, ndr)”. Lo Ior ha così evitato – come invece era di norma prima dell’intervento del Papa – di informare l’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria, deputata al contrasto al riciclaggio, guidata da due degli indagati, l’avvocato svizzero René Brülhart e Tommaso Di Ruzza. Nella stessa lettera il Papa dispone anche che “per le attività di indagine necessarie, l’Ufficio del Promotore proceda (…) sino alla conclusione delle indagini stesse, con facoltà di adottare direttamente, ove necessario in deroga alle vigenti disposizioni, qualunque tipo di provvedimento anche di natura cautelare”. Così i pm vaticani hanno bypassato il giudice istruttore, il corrispettivo del gip nell’ordinamento italiano.

Un altro rescriptum ha poi autorizzato le intercettazioni, telefoniche e ambientali, fino a quel momento non previste dall’ordinamento vaticano. Il 5 luglio 2019 Bergoglio ha disposto che “tra i poteri” del Promotore di giustizia “siano compresi l’adozione di strumenti tecnologici idonei a intercettare utenze fisse, mobili, nonché ogni altra comunicazione anche di tipo elettronico”. Il 9 ottobre 2019 il Papa ha poi permesso agli inquirenti di “procedere (…) alla visione e utilizzazione ai fini giudiziari di tutti i documenti e materiali, cartacei ed elettronici, sequestrati nel corso degli adempimenti a oggi compiuti”. Questo terzo rescriptum è tornato utile ai pm quando Becciu ha provato a trincerarsi dietro il “segreto di Stato” in merito ai soldi destinati alla società slovena riconducibile alla manager cagliaritana Cecilia Marogna. L’ultimo rescriptum, quello del 13 febbraio 2020, ha disposto la proroga delle indagini.

Le nuove disposizioni decise da Bergoglio sono state duramente contestate dagli avvocati Luigi Panella e Cataldo Intrieri, che difendono rispettivamente l’ex gestore delle finanze vaticane, Enrico Crasso, e l’ex alto funzionario Fabrizio Tirabassi. I legali hanno evocato il “tribunale speciale” e la “mancata garanzia del giusto processo”, riscontrando anche l’impossibilità di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale lo Stato vaticano non ha mai aderito. Paola Severino, ex ministra della Giustizia in Italia, avvocato per parte civile della Segreteria di Stato, ha risposto ricordando che Oltretevere “il Papa è legislatore”, mentre il promotore di giustizia Gian Piero Milano ha liquidato la polemica osservando che le disposizioni di Bergoglio sono “espressione della suprema potestà del Papa”.

Il cellulare di Presta ai raggi X: i pm cercano le chat con Renzi

Per la Procura di Roma alcuni dei rapporti contrattuali tra Matteo Renzi e la Arcobaleno Tre srl (la società di cui è amministratore unico Niccolò Presta, figlio di Lucio, l’agente dei vip) sarebbero “fittizi” e nasconderebbero un presunto finanziamento alla politica. E per confermare questa, che al momento è un’ipotesi di indagine, per gli investigatori possono essere d’aiuto le conversazioni telefoniche, in particolare quelle con l’ex premier. Così ieri è stata avviata l’analisi del cellulare di Lucio Presta, indagato insieme a Niccolò dai pm capitolini per finanziamento illecito e fatture per operazioni inesistenti. Nello stesso fascicolo è iscritto anche Renzi, accusato di finanziamento illecito. L’inchiesta ha al centro le scritture private tra il leader di Italia Viva e la Arcobaleno Tre srl, sei in totale, firmate nell’estate del 2018. Le operazioni sul cellulare di Presta – avviate alla presenza dei consulenti di parte – riguardano l’estrazione forense dei dati, ossia verrà fatta copia del contenuto del telefonino comprese chat e messaggi.

L’obiettivo è capire se vi siano elementi utili all’indagine. Se così fosse e se i pm decideranno di utilizzare le conversazioni con Renzi, bisognerà chiedere l’autorizzazione alla Giunta del Senato. Ma questo è decisamente un passo troppo in avanti, siamo infatti in una fase iniziale.

Le scritture private tra l’ex premier e la Arcobaleno Tre sono state acquisite settimane fa dalla Guardia di Finanza che ha perquisito la sede legale della società. Il Fatto ieri ha rivelato i dettagli di questi contratti: quattro riguardano il documentario Firenze secondo me, uno riguarda il “mandato esclusivo” che il senatore ha conferito alla società per rappresentarlo e per promuovere la sua attività professionale esclusivamente nei settori dello spettacolo (televisione, cinema e teatro) e infine ce n’è un altro che riguarda la creazione di “opere dell’ingegno”. I compensi previsti per Renzi, in totale tra tutte e sei le scritture private, ammontavano a 700 mila euro lordi. Gli investigatori si concentrano su queste ultime due scritture private (“mandato esclusivo” a rappresentare l’ex premier che nel contratto viene indicato come “artista” e creazione di “opere dell’ingegno”) e non tanto su quelle che riguardano il documentario Firenze secondo me perché si tratta di un format prodotto e mandato in onda sul Nove.

Nel decreto di perquisizione nei confronti dei Presta si parla di “rapporti contrattuali fittizi, con l’emissione e l’annotazione di fatture relative a operazioni inesistenti, finalizzate anche alla realizzazione di risparmio fiscale, consistente nell’utilizzazione quali costi deducibili inerenti all’attività di impresa, costi occulti del finanziamento alla politica”. Accuse che Niccolò e Lucio Presta e Matteo Renzi hanno sempre respinto.

Fauci: “Delta, i vaccinati sono contagiosi lo stesso”

Contrordine americani, meglio indossare mascherine al chiuso anche quando si è completamente vaccinati. Sono le nuove linee guida dei Centres of Disease Control and Prevention degli Stati Uniti, il corrispondente del nostro Istituto Superiore di Sanità. È di fatto una retromarcia, poiché l’invito a indossare dispositivi di protezione individuale era stato revocato due mesi fa. Tutta colpa della variante Delta: “È una bestia diversa dal Covid iniziale – ha dichiarato la direttrice dei Cdc, Rochelle Walensky – per la sua contagiosità. Dopo le ultime indagini epidemiologiche sappiamo ormai con certezza che la Delta si comporta in modo diverso rispetto ai ceppi passati. Le persone vaccinate possono reinfettarsi e possono trasmettere il virus”.

Le nuove linee guida sono state comunicate al presidente Joe Biden (che oggi annuncerà l’obbligo di vaccinazione per i dipendenti e i fornitori del governo federale) dal Consigliere medico della Casa Bianca, Anthony Fauci, che ha poi spiegato agli americani il motivo di questa retromarcia in un’intervista a Pbs News Hour, uno dei tg serali più seguiti: “Raccomandare mascherine al chiuso anche per i vaccinati – ha detto l’infettivologo – può sembrare paradossale, dato il via libera di due mesi fa. Ma non siamo cambiati noi, è il virus che è cambiato. Due mesi fa avevamo a che fare con la variante Alpha, notevolmente diversa dalla Delta, che ha un livello di contagiosità molto più alto. La Delta è una variante pericolosissima, scaltra. I dati che abbiamo in questo momento ci dicono che le persone vaccinate possono reinfettarsi e trasmettere il Covid. Non è un evento comune, anzi è piuttosto raro, ma succede”. E una volta che si infettano, ha spiegato Fauci, non sono meno contagiose: “Se guardiamo al livello del virus, nelle mucose delle persone vaccinate che vengono contagiate da un’infezione di Delta nonostante il vaccino, è esattamente lo stesso livello di carica virale presente in una persona non vaccinata che è infetta. Questo è il problema. E ha determinato il cambiamento di linea nell’orientamento della Cdc”. Naturalmente, però, i vaccinati si infettano in misura minore: con due dosi tra il 60 e il 90% in meno a seconda degli studi, che però risalgono per lo più a prima della Delta.

Negli Usa, come per le Regioni in Italia, esiste un sistema di colori per cui, in base all’incidenza dei casi, le contee possono essere blu, gialle, arancioni e rosse. La raccomandazione di indossare la mascherina scatta nelle contee gialle e rosse, dove l’incidenza supera i 100 casi ogni 100 mila abitanti: “La maggior parte del Paese – dove le nuove infezioni sono complessivamente triplicate nelle ultime due settimane – si trova oggi in zona arancione o rossa, soprattutto negli Stati del Sud, dove in alcuni casi la vaccinazione ha raggiunto solo il 40% della popolazione. Il rischio – fa notare al consigliere della Casa Bianca l’intervistatrice di Pbs – è che gli americani, ora, perdano fiducia nella vaccinazione: “Al contrario – risponde Fauci – non saremmo in questa situazione se avessimo già vaccinato la stragrande maggioranza degli americani. L’unica soluzione è vaccinare 100 milioni di persone che ancora mancano all’appello”. Infatti ci sono premi sempre più interessanti per chi si vaccina: vari Stati avevano già offerto birre, biglietti di lotterie e altro, a Washington perfino sacchetti di marijuana (legale); da venerdì a New York danno 100 dollari.

Com’è ormai dimostrato, i vaccinati – seppur non completamente immuni – sono protetti dall’infezione e ancor più dagli effetti più gravi della malattia. È ovvio, quindi, che la retromarcia Usa sia soprattutto una forma di tutela verso i non ancora vaccinati, che protetti non sono, oltre che un freno alla circolazione del virus che può generare nuove varianti. Eppure non mancherà di alimentare lo scetticismo vaccinale.

In Italia il dietrofront di Washington non cambia nulla, è semmai la conferma dell’errore commesso nel dichiarare vinta la battaglia prima del tempo: “Noi non abbiamo mai eliminato l’obbligo di mascherine al chiuso, anzi nemmeno all’aperto in caso di assembramenti, né la quarantena per i vaccinati che entrano in contatto con un positivo”, spiegano dal ministero della Salute. Nel governo c’era chi voleva toglierla, o almeno ridurla dagli attuali 14 giorni, ma fin qui i più prudenti hanno tenuto il punto.

Sterilgarda: senza certificato niente stipendio ai lavoratori

Salvaguardare la salute e il posto di lavoro dei propri dipendenti imponendo il green pass. La decisione arriva da Sterilgarda, azienda mantovana tra le prime produttrici di latte in Italia: ha annunciato ai suoi 300 dipendenti che da settembre chi risulterà privo di certificazione verde, “per la mancata sottoposizione all’iter vaccinale”, ricoprirà un incarico diverso da quello normalmente esercitato. E se questa modifica della mansione non sarà possibile o esponesse altri dipendenti alla stessa situazione di rischio, “al lavoratore sarà sospesa la retribuzione sino alla ripresa dell’attività lavorativa”. Apriti cielo. La comunicazione interna è finita sui social scatenando i no-green pass che hanno lanciato una campagna di boicottaggio dei prodotti Sterilgarda. L’augurio di infettarsi e fallire è tra i pochi citabili. E non sono bastati i chiarimenti della società a placare le polemiche.

Ormai il velo è squarciato. Non si tratta più di un dibattito tra chi sostiene che la tutela della salute della collettività venga prima di tutto e chi si appella alle proprie libertà costituzionale e di privacy. La decisione della società mantovana segue quanto proposto poche settimane fa da Confindustria: rendere obbligatorio il Green pass per accedere al luogo di lavoro, anche se negli scorsi mesi le stesse imprese sostenevano che il rischio pandemico non avesse nulla a che fare con l’ambiente di lavoro. Finora ad andare in controtendenza è stato solo Brunello Cucinelli, imprenditore del tessilemade in Italy: ha annunciato che i suoi dipendenti no-vax possono stare a casa in aspettativa retribuita per sei mesi. Ora, invece, c’è l’aut aut di Sterilgarda. E ai duri attacchi ricevuti sui social, la società ha replicato spiegando che il controllo imposto non è un’iniziativa personale: arriva dal Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro che impone una sorveglianza sanitaria su cui può esprimersi solo il medico, unico soggetto legittimato a trattare i dati sanitari del lavoratore e verificare idoneità specifica. Una tesi condivisa dall’ex procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, secondo cui la normativa vigente impone la valutazione di inidoneità in caso di mancata vaccinazione e la destinazione del lavoratore ad altra mansione. Ma solo “ove possibile”, formulazione poco felice su cui lo stesso Guariniello riterrebbe utile un intervento normativo.

Intanto in queste settimane stanno arrivando anche diverse pronunce da parte dei giudici del Lavoro, in ultimo quello di Modena, che respingono i ricorsi dei dipendenti sospesi per il loro rifiuto di vaccinarsi. Mascherina e distanziamento non vengono ritenuti protezioni sufficienti.

Un dibattito, questo sulla vaccinazione obbligatoria per i lavoratori, che nelle ultime ore è deflagrato anche negli Stati Uniti, dove Google ha annunciato che richiederà ai suoi dipendenti che rientrano in ufficio di essere vaccinati. In una mail inviata a più di 130.000 dipendenti, il ceo Sundar Pichai ha affermato che l’azienda punta a riportare la maggior parte della sua forza-lavoro in ufficio a partire dal 18 ottobre, ma solo se vaccinati. Il requisito sarà inizialmente imposto presso la sede centrale di Google a Mountain View, in California e in altri uffici statunitensi, prima di essere esteso agli oltre 40 altri paesi in cui opera il colosso.