Il re è nudo. E anche tirchio. Poco elegante e stalker. A ricordare i grandi “pregi” del sovrano emerito di Spagna, Juan Carlos I di Borbone è l’amante ufficiale, Corinna zu Sayn-Wittgenstein, anche nota come “la principessa” Corinna Larsen, la quale, come annunciato qualche mese fa, ha denunciato all’Alta Corte di Londra per minacce il vecchio amato, con cui ebbe un’intensa relazione sentimentale dal 2004 al 2009, Se non bastasse, l’imprenditrice – rappresentata da James Lewis, avvocato di Julian Assange – secondo quanto riporta il Financial Times, chiede anche un ordine restrittivo di 150 metri dalla sua residenza nei confronti dell’ex capo di Stato e di ogni agente del servizio segreto interno spagnolo (Cni).
Tutto è iniziato nel 2012, quando Larsen, allora residente a Monaco, iniziò a sentirsi “sotto sorveglianza” per essersi rifiutata di restituire a Juan Carlos i 65 milioni di euro che lui le aveva regalato “in nome dei bei tempi andati”. La storia del pedinamento era venuta fuori già dalla testimonianza della Larsen a gennaio scorso durante l’apertura del processo al commissario Juan Manuel Villarejo, detentore dei segreti spagnoli e pare assoldato per seguirla. Nelle intercettazioni tra lui e la donna, veniva fuori che a fare visita all’ex amante dell’allora re spagnolo fu anche il direttore del Cni, Félix Sanz Roldán. Sarà che la tesi del pedinamento va sostenuta per convincere la Procura svizzera che indaga sui conti off-shore dei piccioncini derivanti da affari di Juan Carlos I in Arabia Saudita, ove ora risiede al riparo dalla giustizia spagnola, che lei quei soldi non li aveva ricevuti per aver partecipato a loschi affari, fatto sta che Larsen insiste. Secondo lei, Juan Carlos non avendo riavuto indietro il regalo, come nei peggiori epiloghi amorosi, avrebbe iniziato a gettare discredito addosso all’ex amante, cosa che ha pregiudicato i suoi affari e motivo per il quale ora, l’ex principessa di Spagna reclama anche i danni all’emerito sovrano. Tutto questo mentre la sua casa di Monaco veniva di fatto occupata da un’agenzia di sicurezza, con la scusa di offrirle protezione non richiesta da parte dei servizi segreti interni che da lì passarono poi a minacciarla di morte al suo arrivo all’Hotel Connaught di Londra. “Ero spaventatissima, minacciarono me e i miei figli dicendomi che non avrebbero potuto garantirmi incolumità fisica”, ha raccontato Corinnna al Financial Times. “Volevano assicurarsi il mio silenzio. Mi mandavano mail sotto pseudonimi nelle quali mi spiegavano che se avessi parlato con i media la mia immagine ne sarebbe uscita distrutta”. Dalla Casa Reale non arriva replica. Dall’Arabia Saudita idem.
Tra le accuse della donna che fino a poco tempo fa sosteneva alla stampa rosa spagnola di “non temere neanche la regina Sofia, con la quale – assicurava – l’ex re aveva da anni solo un patto di rappresentanza della monarchia”, e l’immagine oramai distrutta dell’ex monarca, resta l’inchiesta della Procura svizzera, aperta nel 2018, nella quale i due amanti si ritrovano imputati insieme a due altri presunti prestanome, Artura Fasana e l’avvocato Dante Canónica, per conti off-shore. Le indagini del procuratore Yves Bertossa hanno accertato un bonifico di 100 milioni di dollari del 2008 dall’Arabia Saudita a una fondazione legata al Borbone. Secondo Bertossa si tratta di mazzette incassate dall’allora re di Spagna per l’intermediazione nell’appalto dell’opera per il treno veloce a La Mecca a favore di imprese spagnole, tra le quali la Ohl dell’amico Juan Miguel Villar Mir. È da lì che nel 2012 escono i 65 milioni di euro trasferiti sul conto di Corinna. Un pegno d’amore, come sostiene lei, poi richiestole da un amante poco elegante, o una commissione condivisa di cui si vuole far sparire le tracce? Entrambe le ipotesi non riabilitano l’immagine del sovrano emerito nel suo esilio arabo. Né liberano il figlio Felipe VI, seduto scomodo sul trono, dalle colpe del padre.