Cartabia ci regalauna procedura Ue

Sono costretto a citare un mio precedente articolo perché taluni non leggono e comunque non capiscono o fingono di non capire. Nell’articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 10 febbraio 2021 dal titolo La prescrizione non piace alla Ue scrivevo: “La Corte di giustizia dell’Unione europea (grande sezione), con sentenza 8 settembre 2015, aveva ritenuto che la previgente prescrizione italiana fosse in contrasto con l’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)…

La Corte di giustizia Ue aveva deciso che un sistema simile pregiudicava la possibilità di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea come in materia di imposta sul valore aggiunto (Iva). Di conseguenza, con la sentenza citata (chiamata Taricco) la Corte Ue aveva stabilito che i giudici nazionali dovessero disapplicare la normativa nazionale nella parte in cui poneva un limite di un quarto alla proroga del termine di prescrizione…

La Corte Ue (Grande sezione) con sentenza 5 dicembre 2017 ribadiva il contenuto della sentenza Taricco (punti 29-39), ma rilevava che – sino all’adozione della direttiva (Ue) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio – il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di Iva non era oggetto di armonizzazione da parte del legislatore Ue (punto 44), con la conseguenza che la Repubblica italiana era libera, “a tale data”, di assoggettare il regime della prescrizione “al principio di legalità dei reati e delle pene” (punto 45)…

Non pretendo che mi si creda sulla parola, ma siccome ho citato la pronuncia della Corte Ue, chiunque legga la sentenza della Corte di Giustizia Ue 5 dicembre 2017 dovrebbe riuscire a capire che l’Italia poteva fare quello che voleva solo fino alla data di entrata in vigore della direttiva 2017/1371 del 5 luglio 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Ue del 28 luglio 2017 ed entrata in vigore il giorno successivo (o comunque limitatamente ai reati commessi fino al 28 luglio 2017). Per i reati commessi successivamente doveva modificare la propria normativa in modo da consentire, per i casi di frode grave che ledono gli interessi Ue (come in materia di Iva), l’applicabilità di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

L’eventuale inosservanza esporrà l’Italia a una procedura di infrazione.

Quindi l’Unione europea non vuole affatto che i processi finiscano con prescrizione o improcedibilità, ma vuole che, in caso di colpevolezza, segua la condanna a tale tipo di sanzioni.

Pensare che una proposta di riforma, la quale prevede la improcedibilità se nei tempi assegnati non interviene la pronuncia d’appello o quella definitiva, sia la soluzione al problema è sbagliato e significa disattendere le indicazioni della Corte di Giustizia e perciò esporre l’Italia a procedura di infrazione.

Fra l’altro, con l’entrata in funzione di Eppo (European Public Prosecutor’s Office, cioè la Procura europea) dal 1° giugno 2021, è ragionevole prevedere un aumento di processi in materia di frodi comunitarie o che comunque ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, ma anche questi andranno in fumo.

A tacere dei vincoli europei, l’idea di mettere un termine a pena di improcedibilità è comunque una finta soluzione al problema della durata dei procedimenti.

L’eccessiva durata dei processi dipende, nei gradi di impugnazione, dall’elevatissimo numero di appelli e ricorsi per cassazione (sconosciuto in altri Paesi) e non si risolve indicando un termine che non può essere rispettato.

Ne I promessi sposi (capitolo XII) Alessandro Manzoni racconta la vicenda della mancanza di pane e dei tumulti conseguenti: “…Le circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione d’un mal cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisioni per l’esercito, e lo sciupinìo che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal vòto, che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro. Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un’opinione ne’ molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d’averla temuta, predetta; si suppone tutt’a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza. Nell’assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, che comandava l’assedio di Casale del Monferrato, faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Ferrer, pure spagnolo. Costui vide, e chi non l’avrebbe veduto? che l’essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò lameta (così chiamano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto 33 lire il moggio: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo”.

Proviamo a immaginare se si adottasse la stessa soluzione in materia di ferrovie o di sanità: per ovviare ai ritardi dei treni si dovrebbe stabilire che, all’orario previsto di arrivo, il treno in ritardo si fermi dove si trova e i passeggeri scendano con i loro bagagli anche in aperta campagna o in galleria.

In materia sanitaria, per eliminare le liste di attesa, si dovrebbe stabilire che se, per un dato esame da compiere entro due mesi, si supera il termine, l’esame non si fa più e se il paziente muore peggio per lui.

Idee simili a me sembrano stravaganze. Certo fanno la felicità dei colpevoli, ma qualcuno dovrebbe pure occuparsi anche degli imputati innocenti e delle vittime (altro argomento su cui le istanze internazionali richiamano l’Italia).

Davvero si pensa che, non solo gli italiani, ma anche le autorità comunitarie possano essere presi in giro in questo modo?

Non occorre essere grandi giuristi per comprendere il problema e individuare le soluzioni, basta un po’ di buon senso e qualche ricordo scolastico.

 

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Legge Cartabia: è inutile migliorare la “schiforma”

Ho trovato molto interessante l’articolo di Filoreto D’Agostino sulla riforma della Giustizia proposta dalla ministra Cartabia, sul Fatto Quotidiano di domenica 25 luglio. A differenza di altri articoli sullo stesso argomento, che si occupavano degli effetti nefasti di detta riforma, D’Agostino fa un’analisi in punta di diritto, mostrando le debolezze intrinseche del progetto della guardasigilli. Il punto saliente dell’analisi di D’Agostino si ha laddove dimostra, con precisi argomenti, che tale riforma è estranea alla comune giurisprudenza europea, e che quindi non può essere l’Europa a chiedere una schifezza simile. Nel complimentarmi con l’autore per l’impeccabile analisi, spero che Giuseppe Conte abbia letto l’articolo, e che metta da parte il goffo tentativo di migliorare un progetto che, da ogni parte lo si guardi, rivela criticità esiziali per la giustizia italiana. Questa riforma, direbbe il Manzoni, non s’ha da fare, né domani, né mai. Perché, come dicono a Napoli, una “merda inzuppata nel rum” non sarà mai nu babbà!

Guido Bertolino

 

Giustizia, la Consulta può evitare il pasticcio

È impossibile che dopo le tante contestazioni di giuristi e avvocati la ministra Cartabia e il primo ministro non abbiano capito le gravi lacune della riforma della giustizia in esame. Dunque lo scenario probabile è che la riforma venga approvata e che venga demolita dalla Corte costituzionale al primo ricorso. Nel frattempo gli amici delinquenti e i figli delinquenti degli amici saranno stati dichiarati “improcedibili”. Sarebbe l’ennesima applicazione del teorema del Marchese del Grillo, come al solito a spese degli italiani per bene che non sono “nel giro”.

Giovanni Acchiardo

 

Il silenzio di Mattarella sulla “Salvaladri”

Gentilissima redazione, ho 72 anni e vivo a Vignate in provincia di Milano. Ogni giorno compro il vostro quotidiano nell’edicola del mio quartiere. Grazie di esistere! Sono molto preoccupata per questa svolta a destra del governo “dei migliori”. La spina nel mio cuore è la legge sulla giustizia ed il silenzio del presidente Mattarella.

Ed è qui che il mio pensiero è volato alla vostra redazione per chiedere un aiuto o un consiglio. Come svegliare le coscienze dei cittadini attraverso il vostro quotidiano? Si potrebbe: raccogliere firme per chiedere le dimissioni della ministra Cartabia che ha mentito al popolo italiano; raccogliere firme per cambiare questa legge indegna; e chiedere a gran voce di assumere personale nei tribunali, a tutti i livelli. Spero che abbiate un’idea migliore della mia per coinvolgere i cittadini per bloccare questa legge indegna. Grazie per aver dato ai vostri lettori la possibilità di contattarvi.

Lia Ruggeri

 

Caro ministro Di Maio, non tradisca i 5 Stelle

Sono un iscritto da anni al Movimento 5S, mi rivolgo a “Giggino”: non ti preoccupare che un lavoro lo trovi se molli la poltrona, magari ti fai spiegare da Renzi come si fa. Una cosa è certa: se passa questa riforma della Giustizia, il mio voto, come quello di tanti altri, non lo avrete più e tu ne avrai gran merito. Non dimenticarti che dovevi “aprire la scatoletta”.

Gennaro D’Agostino

 

Fuori i neoliberisti dal governo dei Migliori

Gentilissimo direttore, confesso di essere molto preoccupato come cittadino. Mi rendo conto che l’unico politico ad assumere un atteggiamento critico nei confronti della riforma Cartabia è Conte, mentre altri (Di Maio) giocano pericolosamente con sottigliezze e distinguo pur di non dichiarare l’unica cosa veramente importante: se la riforma non viene cambiata, i 5 Stelle escono dal governo e fanno cadere Draghi e tutto il suo apparato di affaristi neoliberisti messi lì solo per gestire al solito modo i soldi che Conte ha ottenuto in Europa. L’Europa ci ha elogiati per la riforma Bonafede, quindi non è possibile che la stessa Europa, con Draghi e Cartabia, ci chieda adesso di smantellare tutto: o hanno mentito prima, oppure mentono ora. È molto più probabile che Draghi si faccia forte del suo prestigio di ex banchiere centrale per dire che l’Europa ce lo chiede, mentre non è vero per nulla. Qui sta rischiando grosso la democrazia. E non dobbiamo mai dimenticare che le conquiste democratiche vanno sostenute ogni giorno, perché nulla è per sempre, se non viene alimentato dalla consapevolezza e dalla lotta ai poteri assoluti di qualsiasi colore.

Italo Borini

 

I NOSTRI ERRORI

Sul Fatto di ieri la rubrica La settimana incom è stata attribuita a Silvia Truzzi, ma l’autore è Paolo Dimalio. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori. Sempre ieri nella foto piccola di pag. 18 è ritratto Giuseppe Di Vittorio non Franco Basaglia.

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Furti e fregature“Le mie vacanze da incubo: altro che Belpaese”

Gentilissima redazione, scrivo da Roma, città nella quale vivo. Quando si è presentata l’occasione di poter muoversi con più libertà, ho pensato di fare cosa giusta invitando miei amici che vivono in Francia a venire a trascorrere le tanto agognate ferie nel nostro Paese. Decidiamo di incontrarci a Firenze: arrivo lì nel tardo pomeriggio, giusto il tempo di raggiungere l’hotel Mercure in centro e andiamo a cena lì vicino. Dopo un gelato, decidiamo di raggiungere la nostra camera “4 stelle” per una doccia tonificante. Amara sorpresa: l’hotel è completamente privo di acqua e la camera ha la temperatura di una sauna finlandese. Decido di chiamare la reception: per quanto riguarda l’acqua si scusano dicendo che “il Comune di Firenze” la raziona. Al mattino seguente finalmente arriva l’acqua e dopo la tanto agognata doccia, lasciamo Firenze e decidiamo di anticipare la visita in Versilia facendo però tappa a Pisa. Prenoto così in un hotel a Montecatini Terme e ci avviamo verso la città: visitiamo i monumenti, scattiamo qualche foto-ricordo. Altra amara sorpresa: il vetro posteriore in frantumi, la mia e le loro valigie scomparse. Chiamo il 112, chiedo che qualcuno ci raggiunga ma veniamo indirizzati alla questura, dove ci dicono che essendo sabato non c’è nessuno a cui rilasciare la denuncia. Ci suggeriscono di andare alla stazione dei carabinieri o, in alternativa, qualora anche lì non ci fosse stato qualcuno a raccogliere la denuncia, in un’altra stazione più lontana. Sgomento: spiego ai miei amici cosa sta succedendo e loro mi guardano come se fossi un alieno, per loro è del tutto incomprensibile quello che sta succedendo. Ci rechiamo a quel punto presso la seconda stazione dei carabinieri, dove finalmente riusciamo a sporgere denuncia… Nel frattempo riesco a localizzare l’auto… ma purtroppo si tratta di un cantiere usato per sbarazzarsi del localizzatore. Vi chiederete come sia andata a finire? Fine della vacanza per tre persone… Nell’automobile erano presenti anche le insuline, le loro e le mie! E sì, oltre a essere stati sfortunati, siamo anche diabetici, tipo 1 e 2. Persone diabetiche che si trovano lontano da casa, private di farmaci e apparecchiature vitali, non possono continuare una vacanza. Ci siamo recati in una farmacia lì vicino per comprare gli aghi per penna insulinica (di emergenza) e ci hanno fatto comprare una scatola da 100 aghi al costo di 28 euro per un solo ago, dicendo che non esistono confezioni più piccole… Falso! Loro si sono recati comunque a Montecatini Terme per pernottare e sistemare l’automobile per affrontare il viaggio di ritorno in Francia, io sono rientrato in quelle stesse ore a Roma… Miguel de Cervantes scriveva: “I fatti sono nemici della verità”. Un popolo che troppo spesso “si arrangia” e spera che vada tutto bene, tanto gli stranieri non ci badano, deve iniziare a capire che lo fanno eccome.

Gaspare Talarico

Quante giravolte sulla rivoltella, dottor Bernardo

Due indizi fanno una prova, o se preferite fanno un leghista giustiziere. Prima arriva Chuck Norris Adriatici, lo “sceriffo” di Voghera, assessore salviniano alla Sicurezza (!) di Voghera che spara e uccide – la magistratura dirà in quali circostanze esatte – un 39enne marocchino. Certo il tipetto se ne andava in giro con la pistola regolarmente posseduta e registrata, forse convinto di essere nei sobborghi di Soweto e non a Voghera.

Poi è la volta di un altro esponente di centrodestra che ha pure lui il porto d’armi (nulla di male) e che a volte va pure lui in giro armato (e qui forse invece qualcosa non torna). È il primario di pediatria all’ospedale Fatebenefratelli Luca Bernardo, candidato sindaco a Milano del centrodestra con le stesse chance di vittoria che ho io di iscrivermi a Italia Viva. D’un tratto Michele Usuelli, consigliere regionale di +Europa-Radicali, lo accusa di portare la pistola quando va in ospedale. Il Bernardo prima nega arrabbiatissimo, poi torna indietro e “spiega” (si fa per dire). Prima versione del Bernardo: “Non sono mai entrato in corsia con un’arma e non ho mai portato un’arma addosso… Ho il porto d’armi da difesa da circa dieci anni, come la maggior parte dei medici”. Il Bernardo ribadisce poi al Corriere della Sera online che “oltre dieci anni fa ho chiesto e ottenuto un porto d’armi da difesa perché ero stato minacciato. Ma è chiusa a casa in cassaforte… Credo che siano tre o quattro anni che non vado neanche al poligono di tiro”. Quindi tutto bene? Mica tanto, perché di lì a poco arriva la seconda versione del nostro gran bel Bernardo. Incalzato da Repubblica rimodula la versione così: “Io sono entrato con l’arma in ospedale e l’ho avuta addosso. Ma mai quando giro con i pazienti e nemmeno in loro presenza”. Quindi la pistola non era per niente chiusa in cassaforte, ma qualche volta in ospedale c’è entrata eccome.

Verrebbe da domandarsi se sia poi così normale che autorevoli esponenti del centrodestra italiani vadano in giro nel 2021 con la pistola. Ma evidentemente è normalissimo, e a giudicare dai sondaggi – nonché dai commenti ferocissimi sui social – la cosa piace da pazzi a un sacco di italiani. Infatti Salvini, con la consueta dialettica di chi sta gestendo a fatica un reflusso esofageo dopo un’overdose di polenta taragna, ha difeso tanto il bel Bernardo quanto l’ineffabile “Voghera Walker Ranger” Adriatici. È verosimile, anzi, che a questo punto il Cazzaro Verde non si fermi neanche qui. Potrebbe infatti esigere che tutti i leghisti abbiano il porto d’armi. Di più: che marcino su Roma nei weekend, anche solo per tenersi in tiro, e che invadano la Polonia nei ritagli di tempo. Potrebbero essere eretti nuovi poligoni – tutti griffati Lega – in ogni città, meglio ancora in tutte le scuole, per crescere come si deve nuovi balilla e camerati padani. Non sarebbe poi male organizzare corsi di legittima difesa. La teoria spetterebbe ai Porro & Giletti, che tanto non sanno nulla di nulla e dunque potrebbero improvvisarsi esperti pure di quello. Quanto alla pratica, uno furbo e vispo come Borghi sarebbe perfetto come ispettore Callaghan dell’Italia del futuro. Un’Italia in cui ogni giorno verrebbero inventate nuove minacce a caso, ma solo per avere un pretesto in più per sparare e contrattaccare. Affinché uno scenario simile si realizzi, manca giusto un passaggio: il definitivo rincoglionimento di noi tutti. Ma in fondo manca poco: ancora un po’ di pazienza, e i neuroni vivi saranno per tutti soltanto un odioso ricordo del passato.

 

La destra si è incarognita: vedi Voghera, e poi muori

Suggerisco di tenere d’occhio cosa succederà a Voghera dopo che il suo assessore alla sicurezza, Massimo Adriatici, ha spedito all’altro mondo con un colpo di pistola il molestatore della quiete pubblica Youns El Boussettaoui, per prevedere l’Italia di destra che ci aspetta.

Quanto può incarognirsi, nell’indifferenza, una paciosa cittadina lombarda nostalgica del boom economico, porta d’accesso alle colline dell’Oltrepò pavese? Nella canicola pomeridiana di sabato scorso, ad accogliere in piazza Meardi, il luogo del delitto, alcune centinaia di manifestanti, quasi tutti immigrati stranieri chiamati alla protesta dalla combattiva sorella di Youns, c’erano solo una fila di saracinesche abbassate e i cordoni di polizia in tenuta antisommossa. La sindaca Paola Garlaschelli, dopo aver invitato i negozianti alla serrata, ha diffuso un videomessaggio che merita di essere riascoltato parola per parola. Ribadisce la sua stima personale all’assessore-giustiziere, lamenta la “strumentalizzazione mediatica” dell’episodio, non si lascia sfuggire un cenno di cordoglio per la vittima né tantomeno si occupa della sorte di due bambini rimasti orfani. Suppongo gliene sarebbero derivate critiche da parte dei benpensanti che da sempre mal sopportano il disturbo recato da un malato di mente, per giunta marocchino. È storia antica l’ostilità diffusa nei confronti dello “scemo del villaggio”, rinfocolata dalla propaganda politica sull’invasione straniera.

Vogliamo o non vogliamo restare padroni a casa nostra? E allora potranno anche essere considerate inopportune le minacce sfuggite alla collega leghista di Adriatici, Francesca Miracca, assessore al Commercio, il giorno prima della manifestazione di solidarietà per Youns: “Domani spariamo davvero. Assoldo i miei operai e scendiamo noi, in piazza”. Figuriamoci se la sindaca ne pretenderà le dimissioni: non ha espresso forse un comune sentire? Basta e avanza l’autosospensione di Adriatici, la cui pratica armata di giustizia fai da te era pur sempre considerata un fiore all’occhiello della giunta cittadina.

Peccato che i vogheresi, impauriti da quegli estranei venuti a gridare la loro richiesta di giustizia, non siano venuti a riconoscerli. Ne avrebbero incontrati parecchi che lavorano alle loro dipendenze e fanno marciare l’economia di una provincia tranquilla. La sorella di Youns, man mano che presentava al microfono i parenti del morto ammazzato, a cominciare dal papà e dalla mamma, elencava da quanti anni vivono qui intorno. Molti di loro sono già diventati cittadini italiani, benché abituati a sentirsi di serie B, mutilati anche nell’aspettativa di giustizia.

Fin troppo facile è constatare a quale modello si rifacciano i leghisti vogheresi: lo ha impersonato Matteo Salvini nei quindici mesi in cui rivestiva la funzione di ministro degli Interni. Lui stesso ne ha rivendicato l’azione invocando a sproposito il principio della legittima difesa, condito dalla tipica dose di sarcasmo: “Se fosse stato eseguito l’ordine di espulsione, sarebbe ancora vivo”. Un riflesso automatico tipicamente razzista.

Questa involuzione della coscienza collettiva, giunta a vietarsi espressioni di umana pietà da parte dei rappresentanti delle istituzioni, merita di essere studiata. Magari riprendendo in mano le preziose memorie racchiuse nel libro di Vittorio Emiliani, Vitelloni e giacobini. Voghera-Milano fra dopoguerra e boom (Donzelli), che proprio qui esordì con Alberto Arbasino e Peppino Turani nella sua carriera giornalistica, dando vita al settimanale Il Cittadino, seguendo le orme del direttore-partigiano Italo Pietra.

Quei “vitelloni” esprimevano il fervore culturale che nobilitava una terra di provincia protesa nella modernità, dove il riformismo socialista già nel 1956 aveva dato vita a una giunta di sinistra con l’appoggio esterno dei comunisti. Potrà infrangersi la cappa di cinismo in cui oggi pare imprigionata la società vogherese, o invece resterà aggrappata all’ostentazione di cattiveria dei suoi attuali amministratori? È uno dei dilemmi della futura Italia di destra.

 

La follia negazionista dai “no-pass” a Orbán

Perché così tanti, perché tutti di destra, perché così incattiviti occupano strade e piazze e proclamano, come se fosse un diritto rivoluzionario, che non vogliono essere vaccinati e non lo saranno mai? L’evento avviene e dà segni di crescere, coperto da due schermi. Il primo ha segnato tutta la prima fase della lotta alla vaccinazione, condotta con superstizione, disprezzo della scienza e accuse di arricchimento di ogni tipo contro il personale sanitario, dall’inventore del finto vaccino salvavita ai prezzi di smercio.

Questa prima fase è durata poco perché i vaccini sono arrivati presto e i risultati hanno cominciato a vedersi subito. Occorreva trovare un secondo percorso, più drammatico e mono smentibile. Perché dico “occorreva” come se si trattasse di un piano? Perché è un piano. Vi ricorderete che, nel pieno della messa in opera dei progetti politici di Trump, due argomenti sono sin da subito diventati importanti: il primo era “Big Fake”, la grande bugia, ovvero fare rotolare per le strade dell’informazione falsità grandi abbastanza da non poter essere facilmente smentite. Non con poche frasi e in pochi giorni. Era una trovata coraggiosa inaugurata da Berlusconi quando ha fatto votare all’intero Parlamento italiano che una ragazza amica, di nome Ruby, era stata favorita dalla polizia italiana in quanto parente della famiglia Mubarak (pur essendo di altra nazionalità). L’evento ha inaugurato la stagione della falsità, assoluta e bene accetta, che da allora ha segnato la vita italiana.

La falsità assoluta è molto popolare, come le madonne che all’improvviso si fanno trovare in circostanze prive di credibilità e di realismo, estranee ai dettami della Chiesa, rendendo tutto fiabesco e naturalmente falso.

Ma c’era bisogno dell’altro materiale indispensabile alla rivoluzione: confusione, disordine e mano armata. Molto bravi i registi di Trump che, con l’occupazione, a momenti violenta, del Campidoglio hanno indicato che l’azione c’era, poteva esserci. Ora non resta che aspettare il momento debole o la scivolata del presidente Biden: può non avvenire, ma perché non essere pronti?

“We Want Freedom”, vogliamo la libertà, sta gridando la folla negazionista che ha tormentato Roma durante alcune notti di luglio: erano liberi di fare, ma la mission era proprio invocare ciò che facevano. Aumenta così la voglia di partecipare dei disorientati e dimostra che dire cose assurde rende più vivace il ballo dei folli, ma non chiede ai folli di ritrattare.

Tuttavia, non possiamo ignorare la parte internazionale della storia che stiamo raccontando. Per esempio, la sottomessa amicizia di Giorgia Meloni, capo del partito italiano Fratelli d’Italia, per il capo milizia ungherese Viktor Orbán. La politica di Orbán è rigorosamente anti-italiana. Il suo no a ricevere anche solo due profughi incoraggia tutti gli altri a rifiutare, isolando l’Italia o in una accoglienza che non è mai avvenuta o nell’assassinio in mare a opera dei colleghi libici, che invece è frequente e senza obiezioni italiane. Ecco, dunque, perché i folli negazionisti sono così tanti e così attivi. Sanno che in Italia l’omicidio è gratis (se la vittima è straniera) e abbiamo il sostegno solido dei nostri nemici.

Furbate linguistiche, Orietta Berti remix e il potente Zollkron

E adesso, per la serie “Un’altra divertente rubrica per il programma tv che in Rai non mi fanno fare dal 2001 perché sono criminoso e invece Amadeus no”, Arrangiate fresche.

Un Comune umbro ha cominciato a usare il simbolo del click dentale per essere più inclusivo. Il comune di Collefegato (Terni) ha cominciato a utilizzare in alcuni contesti il simbolo fonetico I, detto tsk, come desinenza finale al posto dei plurali maschili universali per essere “più inclusivo”. Lo ha fatto ad esempio in un post su Facebook del 23 luglio che dice “A partire da lunedì 13 settembre moltI nostrI bambinI e ragazzI potranno tornare in classe”, invece di “molti nostri bambini e ragazzi”. La scelta è stata poi spiegata con un altro post che usava il simbolo fonetico dello schiocco bilabiale, O, detto pop, come desinenza finale di ogni parola, per essere “più esilarante”.

Coltivazioni o estrazioni? In un articolo sui sì di Roberto Cingolani alle trivelle (Cingolani è il ministro ecologico sponsorizzato da Grillo nel patto che ha asservito il M5S a Draghi, cioè alla finanza che governa l’Europa) si legge di un “giacimento per la coltivazione di idrocarburi fra Emilia-Romagna e Veneto”. Gli idrocarburi si estraggono, non si coltivano, ma il greenwashing passa per queste furbate lessicali. “Coltivare” partecipa del frame “natura”: i campi si coltivano, le mucche si mungono. “A quando i giacimenti per la mungitura di idrocarburi, potenti del cazzo?”, domanda la casalinga di Voghera.

Soffoca carabinieri, poi telefona alla moglie malata. Avrebbe soffocato con un cuscino una pattuglia di carabinieri, prima di telefonare alla moglie, malata da tempo, riferendo dell’accaduto. È successo a Roma (Roma), nel corso della notte. Il marito, 73 anni, è stato immediatamente interrogato dalla moglie. Sembra che il movente dell’omicidio sia legato alle barzellette sui carabinieri: l’uomo avrebbe riferito di provare pietà per i carabinieri dopo aver ascoltato quella su quanti ne servono per avvitare una lampadina. Le salme sono state trasportate alla Medicina legale dopo che un appuntato ha controllato se funzionava la freccia posteriore.

Orietta Berti ha ri-registrato il suo primo disco, uscito nel 1964. Venerdì scorso Orietta Berti ha diffuso la versione ri-registrata e ri-masterizzata del suo primo disco Orietta Berti canta Suor Sorriso, uscito nel 1964 per la casa discografica Polydor. Il nuovo disco si intitola Sorriso (Orietta’s Version) e contiene 24 brani: tutte le canzoni del disco originale più i bonus track e 6 inediti. Featuring Moby e tha Supreme, Sorriso (Orietta’s Version) sta ricevendo recensioni entusiastiche dai critici musicali più esigenti.

Novità sul fronte Covid. “BigFarma e il generale Figliuolo sono orgogliosi di presentare: Zollkron, la cura più efficace contro il Covid. Ecco come funziona. Quando prendete il Covid, milioni di virus microscopici invadono il vostro sistema respiratorio, debellando sistematicamente le difese naturali del vostro organismo. A questo punto interviene Zollkron. Zollkron contiene KLL35, l’ingrediente attivo che una volta iniettato passa subito al lavoro, cacciando e uccidendo i virus del Covid ovunque si trovino. Ma Zollkron non si ferma qui. Dopo aver completato le brutali esecuzioni dei virus del Covid, Zollkron fa scempio dei loro cadaveri, li denuda, li fotografa in pose oscene, li smembra in mille brandelli, se ne ciba e ne beve il sangue per ricavare potere dallo spirito dei nemici distrutti. Infine Zollkron espone gli orripilanti resti dei virus morti lungo tutto il vostro corpo come monito raccapricciante a tutti i virus futuri. E Il Foglio pubblica in prima pagina le loro foto a colori. Zollkron. Addio per sempre al Covid. E il brevetto ce lo teniamo noi”.

 

FdI, il consenso con il piede in due staffe

Nelle parole di Guido Crosetto, fondatore di Fratelli d’Italia, che consiglia a Giorgia Meloni di “non farsi mettere nell’angolo e di sparigliare evitando di farsi attaccare addosso etichette scomode”, cogliamo, oltre a un gancio di attualità, dei precedenti storici. Nella storia repubblicana non è la prima volta che la destra radicale registra un boom di consensi (sia pure nei sondaggi) di cui poi non sa bene cosa fare. Capitò al Msi di Giorgio Almirante quando negli anni Settanta faceva il pieno di voti sfiorando il 9% a livello nazionale, con punte clamorose nelle città del Sud (Catania, Reggio Calabria). Consenso che poi restava inutilizzato nel frigorifero della politica, come si scriveva allora. A parte certi “scongelamenti” sottobanco da parte della Dc quando in Parlamento c’era bisogno (si fa ma non si dice) del soccorso neofascista.

Anche se le percentuali attribuite a FdI sono più del doppio rispetto a quelle della fiamma tricolore di allora, il problema sembra non essere poi così diverso. Appunto, “il rischio di una conventio ad excludendum, come è avvenuto in Francia per Marine Le Pen”, evocato da Crosetto. Purtroppo in politica, come nella vita, non è sempre agevole tenere il piede in due staffe. Se scegli di presidiare e occupare, pressoché in solitudine, il campo dell’opposizione senza se e senza ma al governo Draghi, e ne riscuoti i robusti dividendi in termini elettorali, poi non è cosi facile svestire i panni dell’intransigenza. Mettiamo, per dialogare con la maggioranza su singoli punti. Anche perché esiste un’altra destra, la Lega di Matteo Salvini, che svolge questo lavoro stando ben piantata dentro il governo.

Altro discorso è lo “spariglio” a cui allude Crosetto: un’ipotesi, sembra di capire, consisterebbe nel liberarsi di Draghi spedendolo nel febbraio prossimo al Quirinale, e provare a mettere insieme, in questo Parlamento, una maggioranza nuova di zecca con Lega e Forza Italia, aperta se possibile a Matteo Renzi e ai cespugli centristi. Mah. Quanto alle “etichette scomode” da cui guardarsi, la più scomoda in assoluto è quella di essere considerati il partito dei No Vax e dei No Green pass, che forse anche la Meloni non gradisce troppo. Infatti, che sia andata a vaccinarsi, come già aveva fatto Salvini, vorrà dire qualcosa. Vero è che sono in ballo un mucchio di voti (circa sei milioni, come è stato calcolato), Ma anche in questo caso due staffe per un piede solo sembrano troppe.

Trisulti. I sovranisti riconsegnano chiavi della Certosa

“Riconsegnate le chiavi della Certosa di Trisulti. Comunità Solidali ringrazia tutti i cittadini e le cittadine, le associazioni, i legali, che hanno fatto sì che arrivasse questo giorno, facendosi custodi di bellezza e cultura”. Così le associazioni di cittadini che si sono battute affinché il progetto sovranista di Steve Bannon non approdasse nel monastero della Ciociaria annunciano la restituzione dell’abbazia. A marzo il Consiglio di Stato aveva confermato la posizione del ministero della Cultura annullando la concessione della Certosa all’associazione fondamentalista cattolica Dignitatis Humanae Institute. Ieri, dunque, riferiscono le associazioni, il direttore dell’associazione Dhi, Benjamin Harnwell ha lasciato l’abbazia restituendo le chiavi. “Una vicenda opaca, quella della Certosa, affidata per anni alla scuola sovranista di Bannon, sprovvista dei requisiti richiesti dalla concessione e in mora per il versamento della quota dovuta di manutenzione ordinaria e straordinaria della struttura di soli 100 mila euro”, spiegano sempre le associazioni. “Avevamo più volte preso posizione contro l’uso distorto del bene e denunciato la situazione di degrado e inaccessibilità della Sala Capitolare. Abbiamo aderito e sostenuto ogni iniziativa, insieme al territorio, per restituire la Certosa ai cittadini e che torna sotto la tutela dello Stato. Confidiamo nella professionalità del personale del ministero della Cultura per un’adeguata fruizione pubblica della Certosa”, conclude il sindacato.

PetrolValves, le mazzette per lavorare in Australia

L’obiettivo era ambizioso: entrare nell’affare Shell Prelude Flng, in Australia, la più grande piattaforma galleggiante al mondo per l’estrazione di gas. Ce l’ha fatta Petrolvalves, multinazionale italiana delle valvole per il settore petrolifero, ma il prezzo pagato per quella commessa da 20 milioni di euro è stato altissimo. La società milanese è finita in amministrazione giudiziaria con l’accusa di aver pagato una mazzetta da 1,6 milioni di euro per raggiungere l’obiettivo. Principale beneficiario della stecca: un dirigente di Technip, colosso francese dell’ingegneria petrolifera.

Fondata da Mario Candiani, passata per il fondo Sator di Matteo Arpe e ora controllata interamente dalla famiglia Thyssen-Bornemisza, Petrolvalves conta 526 dipendenti e un fatturato di 200 milioni di euro. È considerata tra le regine della meccanica nostrana. Un gioiellino da proteggere, tanto da aver recentemente beneficiato di un finanziamento da 35 milioni di euro garantito dallo Stato attraverso Sace. Quando il prestito è stato concesso, meno di un anno fa, nessuno sapeva che la Procura di Milano stava indagando sulle strane consulenze pagate da Petrolvalves dal 2012 al 2016, quando a capo dell’azienda c’era ancora la famiglia Candiani. La notizia è emersa due mesi fa, allorché la società è finita tra gli indagati di un’inchiesta condotta dal pm Paolo Storari per false fatture, corruzione e riciclaggio. Il 22 maggio il gip del Tribunale di Milano, Domenico Santoro, ha ordinato il sequestro di quasi 12 milioni di euro nei confronti dell’azienda. Tre giorni dopo è stata disposta l’amministrazione giudiziaria con lo scopo di “prevenire reati della specie di quello verificatosi”.

I testimoni chiave dell’indagine, partita dall’Italia e ora in corso anche in Francia e in Svizzera, si chiamano Giuseppe Cian e Walter Bottini, ex dirigenti del gruppo diventati consulenti dopo la pensione. È grazie alle loro parole che gli investigatori hanno scoperto quello che sarebbe il metodo usato da Petrolvalves per pagare tangenti all’estero. Consulenze fittizie, messe a bilancio come costi per abbattere l’utile netto. Fatture pagate a piccole società europee, che subito dopo aver incassato il malloppo lo suddividono per trasferirlo su conti correnti offshore, dai quali il contante torna in Italia recapitato a mano da moderni spalloni. Un sistema chiavi in mano, venduto da due professionisti del settore: i fratelli Oscar e Luca Ronzoni, italiani con base a Lugano, finiti in carcere (ora ai domiciliari) con queste accuse nell’ambito dell’operazione condotta dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Gdf di Milano.

“La società che mi ha messo a disposizione Ronzoni – ha detto Cian durante gli interrogatori – emettevano fatture nei confronti della Petrovalves; Petrolvalves pagava Ronzoni che si tratteneva il 18%. Successivamente un incaricato di Ronzoni – veniva sempre una persona diversa – mi portava il denaro a Milano a casa mia… Io prendevo questo denaro, lo davo a Bottini che provvedeva a consegnarlo a Parigi al responsabile dell’ufficio acquisti” della Technip.

Il manager accusato di aver intascato la mazzetta si chiama Heiko Ruschinski, polacco, da anni capo degli acquisti del colosso francese. La tangente uscita dalle casse di Petrolvalves non è però finita tutta a lui. Oltre al 18% destinato ai fratelli Ronzoni, una parte tornava proprio ai due consulenti italiani. “Veniva fatta una divisione per cinque: tre quinti andavano al polacco, un quinto a me e un quinto a Bottini”, ha detto Cian agli inquirenti. Alla fine il capo ufficio acquisti di Technip avrebbe incassato cash 740mila euro. Un giochino costato parecchio anche agli azionisti di Technip: “Il contratto – si legge nel verbale d’interrogatorio – è stato estremamente remunerativo: facendo un esempio, se le valvole che abbiamo fornito a prezzo di listino sarebbero state vendute a 10, qui sono state vendute a 17-18”. Insomma, in cambio della stecca Petrovalves poteva vendere a prezzi più alti del normale. Le indagini dei magistrati di Italia, Francia e Svizzera potrebbero permettere di capire se lo schema adottato sull’asse Milano-Parigi è stato casuale, oppure se dietro a quel giro di false fatture e contanti c’è del metodo.