Alluvioni, siccità e calura: aumentano le catastrofi naturali

In Italia – Dopo aver provocato le alluvioni in Europa centrale, la depressione “Bernd” si è mossa verso i Balcani causando temporali tra l’Adriatico e il Sud e scalfendo per qualche giorno l’estate mediterranea. Il Gargano, che solo pochi giorni prima era alle prese con calura, siccità e incendi, è stato colpito lunedì 19 luglio, quando San Marco in Lamis ha ricevuto ben 272 mm di pioggia e il paese è stato invaso da acqua e fango con danni da almeno 350 mila euro. Forti rovesci pure in Sicilia settentrionale con allagamenti a Palermo domenica 18, mentre altre zone dell’isola sono a secco da fine aprile e gli invasi – tra cui il Lago Pozzillo che dovrebbe irrigare la piana di Catania – sono bassi e l’agricoltura in pesante crisi idrica. In seguito caldo in ripresa a partire dal Nord e dal Tirreno, 36 °C a Firenze giovedì, ma in serata nubifragi hanno investito l’Alto Adige, grandine sui frutteti della Val di Non e rovinoso straripamento del torrente Frötsch a Siusi, altopiano dello Sciliar (93 mm di pioggia nei pressi), e nuovi temporali forti sono in arrivo al Settentrione.

Nel mondo – Mentre sulle zone alluvionate tra Germania e Belgio tornava il sole (bilancio provvisorio di 217 morti), nello scorso weekend inondazioni toccavano Austria e Romania, e martedì 20 luglio nubifragi eccezionali hanno colpito la provincia cinese di Henan. Oltre 600 mm di pioggia – pari alla media annua! – hanno subissato Zhengzhou, di cui 202 mm in appena un’ora, massima intensità mai rilevata in tutta la Cina; la grande città è stata sommersa, inclusa la metropolitana, almeno 33 le vittime nella zona. E ora il tifone “In-Fa” sta per approdare a Sud di Shanghai con nuovi diluvi. Alluvioni anche in India, Pakistan, Iran, Alabama e Nuova Zelanda, al contrario la siccità – classificata come “megadrought” – sta peggiorando nell’Ovest americano e i fumi dell’enorme Bootleg Fire (1600 km2 bruciati finora) dall’Oregon si sono spinti fino al Nord Atlantico. Record nazionali di caldo in Turchia, 49,1 °C a Cizre, al confine con la Siria, e in Irlanda del Nord con 31,4 °C. Calura, sebbene non eccezionale, pure sull’inaugurazione dei giochi olimpici in Giappone, fino a 35 °C nell’ultima settimana a Tokyo. Benché assai più rare e isolate rispetto ai prevalenti episodi di caldo eccessivo, ci sono anche anomalie fredde, come quella che da giorni sta interessando il Sud Africa con -7 °C a Johannesburg, un record per luglio (inverno australe). I primi dati di un rapporto che a settembre verrà pubblicato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Atlante della mortalità e delle perdite economiche per eventi climatici estremi, 1970-2019) indicano che siccità, tempeste, alluvioni e ondate di calore primeggiano tra i disastri che hanno provocato più vittime al mondo nell’ultimo cinquantennio (oltre 1,3 milioni). Sono fenomeni di certo non nuovi, tuttavia resi più probabili e intensi dai cambiamenti climatici. Uno studio dell’Università di Newcastle e del MetOffice a cura di Abdullah Kahraman e colleghi, apparso su Geophysical Research Letters, avverte che in un mondo più caldo piogge intense e stazionarie – dunque con maggiore potenziale alluvionale, come quelle di dieci giorni fa in Germania – potranno divenire 14 volte più frequenti in Europa a fine secolo a causa di un rallentamento dei venti d’alta quota che guidano il movimento delle tempeste, oltre che per la più elevata quantità di vapore che l’aria calda può contenere. Il comunicato del G20 Ambiente di Napoli tocca temi importanti come il ripristino di suoli degradati e biodiversità, gestione dell’acqua, protezione degli oceani, economia circolare e finanza sostenibile, sperando che si possa presto abbattere lo stridente divario che ancora separa questi annunci verdi dal delirio sviluppista del mondo reale.

 

Il libro. Grazie a Indro Montanelli: la sua lezione ci ha guidati al “Fatto”

 

“Una sera Colette aveva organizzato una festicciola a Roma, Pertini e la moglie Carla Voltolina erano gli invitati d’onore. Ma io quel mattino gli dedicai una corbellatura. Lui disdisse l’invito all’ultimo momento con una telefonata furibonda che Colette non ha più dimenticato, e di cui non posso riferire i toni né i contenuti per pudore. Facemmo pace quando, nel 1983, andammo insieme a inaugurare un centro residenziale a Castelnuovo di Conza, in Irpinia, ricostruito grazie alla generosità dei lettori del ‘Giornale’ che avevano partecipato alla sottoscrizione dopo il terremoto”.

Marco Travaglio: “Indro il 900. Racconti e immagini di una vita straordinaria”. Rizzoli

 

È impossibile condensare in queste poche righe l’emozione che suscita la lettura dello splendido volume che Marco Travaglio ha dedicato alla vita e all’opera di Indro Montanelli, Il Giornalista. Mi affiderò dunque alle parole dei protagonisti. Racconta Marco, che lo ebbe come direttore amatissimo, nell’introduzione: “Un pomeriggio mi siedo nel corridoio fuori dal suo ufficio, con la porta sempre socchiusa. Lo spio dalla fessura per una mezz’oretta mentre scrive il suo editoriale sull’Olivetti Lettera 32. E assisto al prodigio che si ripete ogni giorno: è come una mantide religiosa in trance, la testa curva sulla tastiera, il naso quasi conficcato nel foglio che avanza nel rullo, i due indici che picchiettano senza sosta come sui tasti di un pianoforte a un ritmo musicale. Poi, arrivato in fondo, estrae il foglio rilegge rapidamente in tralice con gli occhiali sulla punta del naso, aggiunge un paio di virgole a pennarello, firma, sorride e consegna. Già sa che il pezzo è lungo il giusto, a misura della sua colonna in prima pagina (“Niente ‘giri’ nelle pagine interne: giramento di pezzo, giramento di coglioni”). Due cartelle dattiloscritte e immacolate, senza correzioni né tagli né cancellature”. Magistrale.

E adesso qualche piccolo assaggio di leccornie montanelliane in un libro arredato con splendide fotografie, testimonianze di un secolo, di un’epoca, di un’esistenza, di un personaggio irripetibile. “Dicono che l’onorevole Evangelisti sia il braccio destro di Andreotti. Se è vero, non resta che una speranza: che Andreotti sia mancino”. Su Giovanni Spadolini: “Hanno detto e scritto che è troppo innamorato di se stesso? Diciamo la verità: tutti siamo innamorati di noi stessi. Ciò che caratterizza Spadolini è che, a differenza di noi e di tanti altri, lui si corrisponde”. E ancora, fulminante: “Oggi, 25 aprile 1992, è la festa della Liberazione. Si dimette Francesco Cossiga”. Su Bettino Craxi: “Caro direttore, le rubo un po’ di spazio, ha scritto Craxi all’Avanti!. Incorreggibile Bettino: perfino al giornale del suo partito”. Mirabile sintesi di Silvio Berlusconi: “Quando venne a trovarmi in clinica dopo l’attentato, non riuscivo più a staccarmelo da letto. Piangeva a dirotto, si disperava, non faceva che chiedermi come mi sentissi. Gli feci notare che avevano sparato a me, non a lui. Non ci fu nulla da fare. Mi toccò fargli coraggio: temevo che mi svenisse sulla barella da un momento all’altro”. Dopo avere fondato il Giornale, che è costretto ad abbandonare estromesso dai berluscones, con l’ausilio dei picchiatori catodici (sono ancora tra noi, non dimentichiamo la vergogna di quegli anni), crea la Voce, a 85 anni. Scrive: “È un po’ tardi, ma alla fine mi sono convinto che di padroni non bisogna averne. Perché, anche quando cominciano bene, finiscono male”. È la lezione che ci ha guidati nella fondazione del Fatto Quotidiano Vent’anni fa il più grande giornalista italiano ci ha lasciato. Grazie, Indro.

 

Il duca di Borgogna, la sua amante Sofia e il pretino invaghito

Dalle novelle apocrife di Virginie Ancelot. Nel castello di Enrico, duca di Borgogna, uno degli uomini più ricchi di Francia, vivevano centinaia di persone, fra cameriere, cuoche, servi, giardinieri, attendenti e uomini d’arme. In aggiunta, Enrico ospitava un cappellano, per la propria anima, e un’incantevole damigella dagli occhi scuri, Sofia, per la propria gioia. Un’amante a corte era certo uno scandalo per i costumi rurali della Borgogna, ma la duchessa Sibilla era donna di mondo, e si faceva beffe di certi pregiudizi. Sofia, del resto, era più piccante della senape di Digione: impossibile resisterle. Anche il giovane cappellano, nonostante il tirocinio a Cluny, sentiva un palpito al cuore ogni volta che la incontrava, e, arrossendo, non riusciva ad astenersi dai complimenti: casti, ma inadatti all’abito talare. Sofia ne era divertita, e raccontava a Enrico, che rideva di gusto, ogni nuova avance del pretino impacciato. Un giorno, celiando, Enrico lo rimproverò: “Conosce le pene per il bracconaggio, cappellano? Nel mio territorio detengo tutti i diritti di caccia, e ogni intruso rischia le orecchie, o peggio.” Quello sbiancò: “Per carità, signor duca! Non farei mai una cosa simile!” Da quel momento, il cappellano cercò di starci attento, ma la bellezza di quella donna lo faceva ammattire. Una volta lei lo sfiorò, come per sbaglio, e lui avvampò. Sofia si allontanò con una risata, lasciandolo in quel dubbio che porta al tormento le anime prive di malizia. A letto, Enrico si sganasciava ai racconti di Sofia sul cappellano innamorato, tanto che un giorno le propose uno scherzo: “Lo inviterai oggi stesso in camera tua, dicendogli che sono fuori a caccia. Fagli capire che sei pronta a dargli ciò che desidera.” Sofia restò perplessa: “Tutto tutto?” “Non preoccuparti. Intorno alla vita metterai questo leggero imbraco di seta, da cui pende un piccolo congegno di mia invenzione che imita le trappole degli uccellatori. La sua sorpresa sarà definitiva.” E così il piano fu messo in atto. Il povero cappellano non stava in sé dalla gioia quando, ansimando, entrò nella stanza della giovane disinibita. Si spogliò nella penombra e, come reso folle dalla lunga attesa, si tuffò fra le coltri. Ci fu uno strano clak metallico, e un attimo dopo il sacerdote balzò dal letto urlando di dolore, la sua parte più tenera morsa dalla trappola. “Satanasso! Cosa sei, una donna o una tagliola?” “È la mia riserva di caccia, cappellano”, disse il duca, aprendo le tende dietro cui era nascosto. La luce inondò la stanza. “Ecco cosa succede quando un uccello si introduce di frodo nel nido sbagliato.” Il cappellano saltellava di qua e di là, e non riusciva a liberarsi del dispositivo dolorifico, finché crollò in ginocchio ai piedi del duca e domandò pietà: aveva imparato la lezione. Un servo lo liberò dalla tenaglia. Il duca disse al prete: “Stavolta ti perdono, ma la prossima subirai una punizione maggiore.” “È stata quella donna, con le sue moine, a mettermi certi pensieri in testa. Non la guarderò mai più!” Il duca e Sofia faticarono a trattenere le risate, ma da quel giorno si smascellavano ogni volta che i ricordi andavano al balletto del cappellano uccellato. Il duca, però, aveva sottovalutato il potere di osservazione di Sofia. Quella farsa da camera aveva risvegliato in lei certe voglie. Qualche mese dopo, quando il duca era via per affari, si recò nella celletta del cappellano mortificato e gli si concesse con gioia. Chi poteva immaginare, infatti, prima dello scherzo, che quel pretino fosse così ben dotato? Inutile proibire il bracconaggio, se la preda vuole essere catturata.

 

Ior, i giudici: “Così sono stati dissipati 31 milioni di euro”

C’era una volta il patrimonio immobiliare dello Ior, la cassaforte dello Stato Vaticano. Una volta, appunto. Fra il 2001 e il 2008 il 70 per cento di questo tesoro è stato dilapidato attraverso 50 contratti di vendita “sotto stimati”, relativi a 29 immobili. La vicenda ha portato il Tribunale del Vaticano, guidato da Giuseppe Pignatone, a condannare lo scorso gennaio a 8 anni e 11 mesi per riciclaggio, appropriazione indebita aggravata e peculato l’ex presidente dello Ior, Angelo Caloia, 81 anni (nella foto) – successore di Paul Marcinkus – e Gabriele Liuzzo, 97 anni. Per circa la metà degli immobili, infatti, gli imputati sono stati assolti per insufficienza di prove “pur in un contesto di gravi anomalie”. In sostanza secondo le accuse del Promotore di Giustizia (il corrispettivo della Procura in Vaticano) gli immobili erano stati venduti a un prezzo molto inferiore all’effettivo valore di mercato, con una differenza di 57 milioni di euro – poi ridotti a 31 milioni in sede dibattimentale – a danno dell’Istituto. Soldi transitati, secondo i giudici, nei conti in Svizzera riconducibili agli imputati. Una sentenza storica per il Vaticano, che per la prima volta ha condanne con pene carcerarie per reati finanziari. Condanne a cui si aggiungono i risarcimenti allo Ior, costituitosi parte civile – rappresentato dall’avvocato Alessandro Benedetti – insieme alla società Sgir difesa dai legali Marcello Mustilli e Roberto Lipari.

Nelle motivazioni del provvedimento, depositate lo scorso 16 luglio, c’è la dettagliata cronistoria della vicenda, scoperchiata grazie all’indagine interna affidata nel 2014 dall’attuale dg dello Ior, Gian Franco Mammì – con il placet di Papa Francesco – alla società Promontory. La tabella dei 50 immobili oggetto della svendita conta alcuni edifici presenti in zone prestigiose di Roma e, in un caso, anche di Milano. Una buona parte di questi finì a una società denominata Marine Investimenti Sud, che in particolare si aggiudicò un vasto complesso immobiliare di via Pineta Sacchetti. Come conferma il documento sottoscritto da Pignatone, la società faceva riferimento a Michele D’Adamo, condannato in via definitiva nel 1997 a 6 mesi nell’ambito del noto processo sulla maxi-tangente Enimont, per il suo ruolo di collaboratore dell’ex deputato del Psi, Filippo Fiandrotti (è bene ricordare che i circa 150 miliardi di lire della tangente transitarono proprio sui conti dello Ior). D’Adamo è totalmente estraneo a questa inchiesta, ma secondo i giudici vaticani, il fatto che la compravendita sia avvenuta con una società riconducibile a un condannato in via definitiva “contrasta contro uno dei requisiti, l’irreprensibilità degli acquirenti, necessari per la vendita”. Fra le società acquirenti compare la Collina Verde srl, che nel 2004 acquistò per 2 milioni di euro un’intera palazzina di quattro piani, con appartamenti da dieci locali ciascuno nella zona dell’Aventino. L’intero capitale della società risultava intestato alla Woodhill Homes di Londra. Nel 2015 la Collina Verde ha venduto l’immobile a San Pancrazio srl (estranea all’inchiesta), a destinazione alberghiera.

Decisiva ai fini del giudizio, la perizia economico-finanziaria assegnata a Luigi Gaspari, dove si parla di “assenza di perizie aggiornate” rispetto al piano di dismissione, dove si afferma, ad esempio “che non risulta nessuna giustificazione tecnica per il mancato accoglimento di offerte nettamente superiori al prezzo finale di vendita”. Non solo. Dalla relazione di Promontory si apprende che “tutte le vendite erano state curate non dagli uffici dell’Istituto e delle società, ma dall’avvocato Gabriele Liuzzo, che aveva anche stipulato l’atto di vendita (tranne uno) in forza di procure rilasciategli da Caloia”. Liuzzo aveva ricevuto “la somma di 8,2 milioni di euro, pari a circa il 9% dei ricavi incassati dai venditori”, percentuale “che Promontory giudicava del tutto sproporzionata e nettamente superiore a quella ordinaria, tra l’1 e il 3%”.

Vaticano vendesi: le mani sui gioielli di “Sua Sanità”

“Un buon servizio sanitario, accessibile a tutti: non bisogna perdere questo bene prezioso”. È il passaggio chiave dell’Angelus che Papa Francesco, l’11 luglio scorso, ha recitato dalla finestra del Policlinico Gemelli di Roma, dove era ricoverato per un intervento all’intestino. Un messaggio chiaro, quello di Jorge Bergoglio, interpretato dalle autorità ecclesiastiche come un monito: gli ospedali cattolici non si vendono. Un indirizzo “politico” più che spirituale. Eppure sta accadendo tutto il contrario. I conti disastrati – a parte alcune eccezioni virtuose – di gran parte dei “gioielli di famiglia”, hanno spinto alcuni gruppi importanti della sanità privata laica a farsi avanti. E le parole di Francesco non hanno bloccato le trattative che, in realtà, sono in uno stato avanzato. La dimostrazione arriva da Campobasso. Qui il 12 luglio sono state aperte le buste per l’acquisizione del Gemelli Molise, “fratello minore” del Policlinico romano, inaugurato nel 2002 ma entrato subito in crisi nonostante i 130 milioni di fondi pubblici ottenuti in 20 anni. In corsa c’erano il Gruppo San Raffaele della famiglia Angelucci – oggi gestito dal rampollo Giampaolo ma su cui continua ad avere voce in capitolo papà “Tonino”, deputato di Forza Italia e editore di Libero e Il Tempo – il gruppo lombardo Humanitas e la Pegaso: alla fine, il 22 luglio, l’ha spuntata la Sanstefar Molise, coadiuvata da un fondo svizzero, con un’offerta di 33 milioni. “Avevo provato a strappare un rinvio di tre mesi dell’operazione. Non mi è stato possibile, nonostante la Regione abbia contribuito all’epoca con 10 miliardi di lire, il 95% dell’importo della realizzazione”, ha dichiarato, in Consiglio regionale il governatore molisano Donato Toma.

Da Campobasso a Roma la strada è breve. Non si ferma la vendita del Fatebenefratelli, lo storico ospedale dell’Isola Tiberina, dal 2014 in concordato preventivo. “C’è il serio rischio che tra settembre o ottobre non si riescano a pagare gli stipendi”, azzarda Roberto Chierchia, segretario romano della Cisl Fp. Entro il 31 ottobre va versata alle banche la rata del concordato. Gli importi sono top secret, all’atto dell’accesso alla procedura i debiti superavano i 270 milioni di euro. La congregazione a capo del nosocomio ha ricevuto dal Gruppo San Donato un’offerta vincolante, il cui importo si aggira sui 200 milioni di euro. Il San Donato fa riferimento alla famiglia Rotelli e gestisce i più importanti ospedali lombardi (a iniziare dal San Raffaele di Milano). Da qualche anno, la presidenza del gruppo è stata affidata all’ex vicepremier Angelino Alfano, con l’obiettivo dichiarato di espandersi a sud del Po. Come rivelato dall’Espresso, l’Ordine di San Giovanni di Dio, che sovrintende il Fatebenefratelli, si affida allo Studio Legale Bonelli, che annovera come consulente anche Alfano. Ma l’ex ministro agisce solo in rappresentanza dell’aspirante acquirente e non c’è alcun conflitto. “La trattativa va avanti”, confermano al Fatto dall’Isola Tiberina. E potrebbe chiudersi prima della fine dell’estate.

Il San Donato resta il grande protagonista di questa “campagna acquisti”. Nei mesi scorsi, Alfano è stato avvistato negli uffici della Santa Sede anche, a quanto risulta, per sondare la disponibilità alla cessione dell’Idi di Roma. L’Istituto dermatologico è divenuto di fatto, nel 2015, la “bad company” del San Carlo di Nancy, che vi ha scaricato debiti e personale in esubero, prima della cessione alla Gvm di Ettore Sansavini. “Oggi sull’Idi pesano 50 milioni di debiti e una struttura ultra-dimensionata che non permette di coprire gli oneri bancari, nonostante il pareggio di gestione”, conferma Massimiliano Rizzuto, della Fp Cgil. Per ora non ci sono state mosse ufficiali e per l’Istituto “sono solo rumors”. Nemmeno Alfano, contattato dal Fatto, vuole commentare, ma fonti autorevoli del San Donato confermano la volontà del gruppo di sbarcare sul mercato romano, visto che di 30 sedi, ben 29 sono in Lombardia e solo una in Emilia. Ragionamento valido anche per la “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo, meglio noto come “l’ospedale di Padre Pio”: la struttura alle porte del Gargano annovera oltre 100 milioni di debiti e una trattativa a oltranza con la Regione Puglia guidata da Michele Emiliano, che la vuole acquistare. Procedura in stallo, monitorata da lontano dagli Angelucci.

E non è un caso che sia nel San Donato che nel San Raffaele si annoverino nomi noti della politica italiana. Nei quadri del San Donato, in particolare, oltre ad Alfano, figurano (pur con cariche minori) anche l’ex governatore lombardo, Roberto Maroni e Valerio Fabio Alberti, fratello della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Gli affari sono decollati con l’arrivo alla vicepresidenza del global advisor tunisino Kamel Ghribi, ex petroliere la cui holding Gk Investment ha sede in Svizzera, che però Oltretevere viene accolto con un po’ di diffidenza. “Vogliamo attirare nei nostri ospedali i turisti che già vengono in Italia perché apprezzano il nostro stile di vita e le bellezze del nostro Paese”, aveva dichiarato lo scorso anno Paolo Rotelli. Non è un caso che San Donato abbia iniziato ad allacciare molti contatti nei Paesi arabi, dove è presente con un international office a Dubai. Qui i Rotelli hanno investito – ultimi tre bilanci pubblicati alla mano – dal 2017 al 2019 circa 5,9 milioni di euro, con svalutazione complessiva nei tre anni di 5,4 milioni. In realtà quest’attenzione al Medio Oriente non dovrebbe essere un ostacolo per il Vaticano, che negli anni scorsi ha accettato di entrare “in società” con la Qatar Foundation per la co-gestione dell’ospedale pediatrico Mater Olbia.

E il monito di Papa Francesco? La volontà sembra essere quella di dare seguito all’indicazione di Bergoglio. Ma come? La Segreteria di Stato non ha competenze dirette sulla governance degli ospedali, che fanno capo a Fondazioni e Congregazioni. Ha potere su queste ultime, però. L’idea, stando a quanto riferiscono fonti vicine alla Santa Sede, è di commissariarle organizzando un (costoso) rilancio dei nosocomi in difficoltà. La task force papale vorrebbe replicare la positiva esperienza del Bambino Gesù, la cui direttrice Mariella Enoc è molto stimata dal Pontefice. Ma i tempi sono stretti, e il piano è così complesso che nemmeno l’ordinamento “snello” e verticistico dello Stato Vaticano può accelerare più di tanto.

Il “porta a porta” sannita alla ricerca dei pazienti

“La nostra campagna vaccinale è stata diversa”. È lo sfogo di un medico di famiglia dell’aspro territorio dell’entroterra appenninico campano. In Campania, infatti, i numeri competitivi delle dosi somministrate, al terzo posto nella graduatoria delle regioni italiane – oltre sei milioni le iniezioni effettuate – non sono infatti solo il risultato delle attività “militarizzate” degli hub cittadini, gestiti dalla Protezione civile e da squadre di professionisti che si dividono i compiti, dall’accettazione del paziente, alla raccolta del consenso fino all’osservazione post iniezione. Nelle pieghe del dato aggregato va rintracciato anche il prezioso lavoro dei medici dell’Italia più impenetrabile, dove con ogni probabilità si “nasconde” una parte non indifferente di quella “quota significativa di over 50” ancora non raggiunta dal vaccino cui accennava venerdì il presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro.
Medici “del territorio” a tutti gli effetti, che hanno dato il loro contributo alla campagna vaccinale da soli e con pochissimi mezzi.

In uno dei 5 distretti dell’Azienda sanitaria di Benevento – una dozzina di paesi sparsi tra boschi di farnie e ruderi di castelli –, i medici di famiglia si sono occupati della vaccinazione domiciliare di fragili e allettati macinando chilometri tra una contrada e l’altra, di corsa perché le dosi, com’è noto, hanno poche ore di autonomia fuori dal frigo. “La nostra – dichiara un altro di loro – è un’esperienza difficile da raccontare a chi non conosce questo ambiente di lavoro”.

Le giornate dedicate sono cominciate col ritiro del flacone di Moderna da 10 dosi presso la sede distrettuale, in media a mezz’ora di macchina dallo studio medico. Poi la divisione in fiale e la partenza per il giro, col countdown di 6 ore: almeno 10 pazienti, spesso molto distanti l’uno dall’altro, nella speranza che le strade dissestate non intralciassero l’operazione.
Ancora, l’attesa del quarto d’ora di osservazione e la compilazione del fascicolo con i dati da inserire nella piattaforma regionale. Non solo. In più di un caso, come racconta il collega di un paese confinante, si è reso necessario un pit stop per uno scambio. “Dal flacone di Moderna si ricavano 10 dosi. È capitato che i pazienti da raggiungere fossero di meno, ed è scattata così la ricerca del collega al quale potessero servire quelle in eccesso. L’ho raggiunto con la borsa frigo in macchina e sono ripartito”.

Le perplessità su un protocollo che almeno avrebbe dovuto tenere conto di certe difficoltà territoriali sono emerse sin dall’inizio, ma “i disagi di noi medici di campagna sono storia vecchia. La vaccinazione anti-Covid ha seguito il canale, forse non del tutto ‘collaudato’, dell’antinfluenzale. La pandemia ha esasperato le criticità e abbiamo affrontato, come tutti i medici di famiglia, anche i famosi ‘scenari di gestione domiciliare’, come si legge nella circolare del Ministero della Salute. Da noi però significavano una paura diversa. Siamo in media a 40 km dall’ospedale più vicino, troppe persone non sono arrivate in tempo già prima del Covid”.
La fatica per queste modalità di vaccinazione domiciliare nutre la rassegnazione di chi abita un posto mai raccontato adeguatamente. “I nostri paesi sono lontani da Roma – dichiara un altro medico, che conta 1.500 pazienti distribuiti in comuni diversi – “sentiamo ogni giorno parlare del potenziamento della medicina del territorio e non vediamo l’ora di assistere al cambiamento. Ma quando il Generale Figliuolo a fine maggio ha invitato le Regioni ad aumentare il contributo dei medici di medicina generale ci siamo chiesti: ‘più di così?’”.

Al “Piano Figliuolo” mancano farmacie, medici e dosi a casa

Migliaia di No Vax e no green pass hanno manifestato ieri in oltre ottanta città contro il green pass obbligatorio per accedere a eventi, competizioni sportive, palestre, piscine, musei o servizi di ristorazione al chiuso. Obbligo che entrerà in vigore dal 6 agosto. Ma adesso non ci sono solo i diffidenti da convincere. Ci sono i ritardatari da sollecitare, gli abitanti delle località più impervie da raggiungere. Per il commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo siamo di fronte all’ultimo miglio della campagna vaccinale. Da affrontare utilizzando tutte le leve. Quindi non solo gli hub vaccinali allestiti dalle Regioni. Ma anche le farmacie, la rete dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta. Poi, per Figliuolo, è necessario spingere sui vaccini porta a porta, con le mini task force della sanità militare (un medico e due infermieri), vale a dire le cinquanta unità costituite in dieci regioni italiane per integrare i team mobili delle Asl nelle aree più remote, quelle più lontane dai presidi sanitari.

Ieri le somministrazioni complessive effettuate dall’inizio della campagna avevano sfiorato quota 64,5 milioni, per un totale di oltre 29,4 milioni di persone che hanno completato il ciclo vaccinale. Il che significa che il 54,55% degli italiani over 12 sono vaccinati. L’obiettivo resta quello di raggiungere l’immunità di gregge (l’80% della popolazione immunizzata) entro la fine di settembre. Ma il traguardo è ancora lontano. E non tutto pare procedere sempre come auspicato dal generale Figliuolo. Per esempio: è vero che le somministrazioni nelle farmacie sembrano essere entrate nella fase di una erogazione regolare e a ritmo costante. Ma è anche vero che questo non avviene in tutte le regioni. L’accordo nazionale per far entrare i farmacisti nella platea dei vaccinatori a supporto della campagna – hanno aderito in 11 mila a livello nazionale – non è ancora stato recepito da sei tra Regioni e Province autonome. Le intese, in assenza delle quali le farmacie restano fuori dal piano, sono infatti ancora in corso di definizione in Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Puglia. Ma anche nel Trentino e nella provincia di Bolzano. Le dichiarazioni del premier Mario Draghi e l’introduzione dell’obbligo del green pass hanno fatto scattare una corsa alle prenotazioni. Ma al netto dei refrattari al vaccino resta il problema di raggiungere le persone che vivono nei comuni più remoti. L’arma del generale è quella dei vaccini porta a porta, con le mini task force da affiancare alle unità mobili delle Asl.

Alcune Regioni sono però in ritardo. Nelle Marche i camper dell’azienda sanitaria dovrebbero partire solo dalla fine di questo mese, iniziando dai paesi montani. E per ora sarà solo una sperimentazione, da verificare giorno dopo giorno. Chi invece i team mobili ce li ha già – come la Regione Lazio – per ora non ha visto nessuna integrazione da parte della sanità militare. “I nostri camper – spiegano dall’assessorato alla Salute del Lazio –, sono operativi dall’inizio dell’estate con il solo vaccino Johnson&Johnson, che prevede un’unica dose. Sono pensati per le località turistiche e per raggiungere le aree più impervie e le persone che non hanno accesso a Internet”.

L’idea non è quindi quella di macinare grandi numeri, ma di fare somministrazioni mirate. In Emilia-Romagna l’ipotesi del porta a porta è stata considerata ma fino a ora non realizzata. Quanto alla Lombardia, a Milano i centri vaccinali mobili attivati hanno invece un altro target: vaccinare gli over 60.

Vaccini, trasporti e classi pollaio: il ministro Bianchi sta a guardare

A meno di un mese mezzo dalla prima campanella, l’avvio del nuovo anno scolastico è in alto mare. I dirigenti scolastici navigano a vista in attesa di indicazioni precise da parte del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, che finora si è limitato a inviare una nota che ratifica l’ultimo verbale del Comitato tecnico scientifico (Cts) che “raccomanda” il distanziamento ma autorizza i presidi a derogare qualora non vi siano le condizioni. Tradotto: centinaia di istituti, non avendo spazi, faranno andare in classe gli alunni con le mascherine ma con i banchi vicini uno all’altro. Le organizzazioni sindacali, prima di firmare il nuovo protocollo di sicurezza, chiedono un incontro con il Cts che finora comunica le sue decisioni ai ministeri senza dialogare con nessun altro. C’è poi la questione vaccinazioni a complicare ulteriormente tutto, ma anche i trasporti che non sono nemmeno entrati nelle priorità della politica. Così come le classi pollaio, i lavori di edilizia, l’organico extra di personale scolastico o il tracciamento e screening non sono mai stati gestiti dal ministero guidato da Bianchi. Facciamo il punto sul caos della scuola.

Vaccinazioni. L’obiettivo del commissario per l’emergenza Francesco Figliuolo è avere entro la prima decade di settembre il 60% dei ragazzi vaccinati pena l’impossibilità di garantire la scuola in presenza e l’inevitabile ritorno alla didattica a distanza come avverte il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli. Nonostante l’ottimismo di Bianchi, i numeri non lasciano spazio a interpretazioni: 4 milioni di ragazzi dai 12 ai 18 anni vanno vaccinati entro la ripartenza.

Dad. In questo marasma il ministro Bianchi continua imperterrito ad annunciare le lezioni in presenza e il premier Mario Draghi parla della scuola come “priorità assoluta”, ma intanto rimanda la decisione dell’obbligo vaccinale alla prossima settimana. “Il governo sembra sordo, neanche risponde alle interrogazioni delle opposizioni”, denuncia il responsabile nazionale scuola di Sinistra italiana, Giuseppe Buondonno. A creare mal di pancia nella maggioranza è proprio il caso vaccini. Il 20 agosto il generale Figliuolo vuole sul tavolo un monitoraggio delle mancate adesioni. L’ultimo report settimanale indica 222 mila docenti e Ata non immunizzati. Tra i 12/19enni, 7 casi su 10 non hanno ricevuto nemmeno la prima dose. Intanto sul fronte tracciamento e screening, nessuno si è ancora pronunciato.

Classi pollaio. Il tema che preoccupa di più è quello legato agli spazi e alle cosiddette classi pollaio. Come ha fatto notare l’ex ministra Lucia Azzolina, per ovviare al problema lo scorso anno sono stati stipulati contratti con gli enti locali, cinema, teatri, biblioteche, ecc. Ma quest’anno nessuno ha pensato di cercare nuovi spazi. Così, nel Lazio mancheranno 15 mila aule, mentre a Milano – con le attuali norme sul distanziamento – solo il 20% delle scuole potrebbe riprendere le lezioni in presenza.

Lavori di edilizia. Mentre lo scorso anno per ampliare gli spazi sono stati fatti dei lavori in estate su 40 mila aule, sottolinea Azzolina, il ministero in queste settimane è immobile. È rimasta una promessa anche l’annuncio della Lega di fare degli impianti di aerazione.

Trasporti. Su metro, autobus e treni, il ministero di Enrico Giovannini attende indicazioni dal Cts che tardano ad arrivare. A muoversi, senza una cornice precisa, sono i prefetti che hanno cominciato a prospettare i diversi scenari. Tra le novità il mobility manager che ogni scuola dovrà avere.

Mense. Fumata grigia anche per le mense scolastiche. Il Cts ha detto che il servizio può tornare “nelle forme usuali” con il personale, ma i presidi spingono per confermare le porzioni mono uso in classe per garantire il distanziamento.

Arredi scolastici. È la novità arrivata dal ministro Bianchi: sono stati stanziati 6 milioni che si aggiungono ai 318 milioni spesi nel 2020. Ma era più o meno un anno fa quando la politica si divideva sulla necessità di dotare le scuole di 2,5 milioni di banchi a rotelle per rispettare il metro di distanza. Fino ad ora è l’unica iniziativa del ministero.

Feste, nastrini, tour: la Regione spende anche con il Covid

Dai “nastrini e attestati nominali e relativa consegna” alla cerimonia per la consegna dei premi “Rosa Camuna” fino alla manifestazione equestre a San Siro: sono solo alcuni delle centinaia di impegni di spesa appartenenti al capitolo “comunicazione” di Regione Lombardia. Un oceano di uscite – pagamenti già effettuati o ancora da effettuare – per milioni di euro, la cui ricostruzione è spesso ardua, data la genericità dei giustificativi. Capita spesso infatti che la dicitura della spesa sia generica, come “acquisto spazi pubblicitari”, oppure “Presentazione del piano strategico per dare nuovo impulso alla ripresa economica della Lombardia a seguito dell’emergenza Covid-19” (158.339,19 euro). Ricostruirne poi i dettagli è impossibile. Il Fatto ha potuto leggere alcuni di questi impegni per il 2021, periodo con forti restrizioni causa Covid, quindi con un’attività istituzionale ridotta. Ed è in grado di offrire una panoramica, certamente non esaustiva, su come la giunta Fontana investa i soldi pubblici per farsi pubblicità.

Nastrini d’oro. La Direzione generale sicurezza urbana integrata spende 14.567,36 euro per la “Fornitura di n. 980 nastrini, n. 980 attestati nominali e relativa consegna presso 13 location in Lombardia”. Cioè, 7,43 euro a nastrino e altrettanti ad attestato. Non contenta, spende altri 47.165,68 euro per ulteriori “6000 nastrini, 6000 attestati nominali e relativa consegna presso 13 location in Lombardia” (qui il prezzo unitario scende a 3,9 euro).

Attività storiche. Per la “Premiazione attività storiche”, la Direzione generale sviluppo economico stanzia 59.780 euro.

Jumping Cup. Al Pirellone amano i cavalli e il salto a ostacoli, visto che la Dir. Gen. Sviluppo città metropolitana elargisce 38.632,56 euro alla manifestazione equestre di Milano.

Lombardia in Festa. “La festa della Lombardia 2021” alla Villa Reale di Monza (in parte controllata dalla Regione, quindi si ipotizza possa avere prezzi di favore) costa 120.228,04 euro.

Rosa Camuna. Per il premio annuale che la Regione conferisce alle personalità di spicco (una breve cerimonia in Consiglio regionale, quindi teoricamente senza spese), nel 2021 la Regione ha pagato 61.255,96 euro.

L’assessore in tour. Per il “servizio di organizzazione del tour dell’assessore alla Sviluppo economico nelle imprese”, il leghista Guido Guidesi, Regione ha sborsato 46.648,57 euro.

Generazione Lombardia. Per “l’organizzazione delle sei tappe del Tour Generazione Lombardia”, il Pirellone stacca una fattura da 97.858,19 euro, circa 16 mila euro a tappa.

Seminari e Workshop. Non mancano poi gli esborsi per i seminari, come i 71.182,40 euro pagati per “Organizzazione del seminario di giunta e convention dirigenti”.

Olimpiadi Milano-Cortina.Non potevano mancare i giochi olimpici del 2026: 60.866,27 euro per il logo che promuova i “territori olimpici lombardi”.

Fontana vuole 8 mln di euro ma non spiega per fare cosa

Otto milioni di euro. È l’extra-budget che la giunta di Attilio Fontana ha chiesto di inserire nel prossimo bilancio della Regione Lombardia. Soldi necessari, dicono, per nuove iniziative del settore “comunicazione” e che vanno a sommarsi agli oltre 24 milioni di euro già stanziati nel 2019, sempre per la comunicazione, a inizio legislatura. Secondo i desiderata di Fontana, annunciati in sordina dal direttore della Comunicazione del Pirellone, Alessandro Papini, i nuovi fondi dovrebbero riguardare sia l’anno in corso (2.469.500 euro), sia i due successivi, 3 milioni per il 2022 e altrettanti per il 2023. In pratica, a metà legislatura, Fontana si è reso conto che i soldi già programmati per quest’anno non erano sufficienti a “comunicare” le attività della sua giunta e che aveva sbagliato anche i budget per i prossimi due anni. Così ha chiesto un aumento del 33%, proprio mentre la giunta stanziava solo 760.753 euro per i centri antiviolenza e le case rifugio delle donne maltrattate (circa 4500 euro a centro) e tagliava da 30 a 8 i milioni del fondo per l’innovazione alle imprese. Perché le risorse scarseggiano.

Ma a cosa dovrebbero servire tali fondi? Ufficialmente, sono risorse “che saranno utilizzate per campagne di comunicazione che stiamo già istruendo, aggiuntive a quelle già programmate, con la Presidenza e le singole direzioni generali”, come ha spiegato Papini nei giorni scorsi durante una seduta della VII Commissione. Una risposta che non risponde. In realtà la lista particolareggiata delle singole iniziative e relativi costi non è stata mai comunicata. Così, si chiedono le opposizioni: come puoi chiedere dei soldi, se non spieghi per cosa intendi utilizzarli? E, ancora, come puoi quantificare quegli 8,4 milioni, se non hai le singole voci di spesa? Inoltre, se affermi che alcune iniziative sono state già avviate, perché non annunciare almeno quelle?

A oggi, di sicuro, si sa che nel 2021, 469.500 euro andranno a incrementare l’attività del contact center Covid (già finanziato per l’anno in corso con oltre 800.000 euro). I restanti 2 milioni, invece, sono un mistero. E non pochi ritengono che quei fondi aggiuntivi servano per preparare il terreno in vista della campagna elettorale per le Regionali del 2023. Come il capogruppo M5S al Pirellone Massimo de Rosa: “È evidente che la Regione abbia necessità di ricostruire la propria immagine. Da qui l’esigenza di spendere 8 milioni aggiuntivi in comunicazione. Colpisce che la Regione si sia accorta di questa necessità in sessione di assestamento di bilancio, piuttosto che in fase di previsione”. “Da una parte – continua De Rosa – viene il sospetto possa trattarsi di un’operazione volta a ricostruire il consenso e la credibilità persa, dall’altra la giunta Fontana è quella dell’annuncio vuoto e delle conferenze stampa show. Viene poi da chiedersi come mai si scelga di affidare direttamente all’esterno ulteriori risorse, quando in Regione esistono già strutture dedicate alla comunicazione. In ogni caso il filo conduttore di questa legislatura resta: prima la propaganda poi i cittadini”.

Se non si sa a cosa serviranno quei soldi, si sa chi molto probabilmente li gestirà: sarà Inrete, l’agenzia guidata da Simone Dattoli che a maggio 2019 si è assicurata i due lotti principali della gara per la comunicazione del Pirellone. Si tratta di due affidamenti per 36 mesi (estendibili di ulteriori sei) per un valore complessivo di 24 milioni. Un uomo assai vicino alla Lega, Dattoli, tanto che il Carroccio lo voleva ai vertici di Sport e Salute, la società che avrebbe dovuto gestire lo sport nazionale. In particolare è molto vicino all’assessore regionale alla Comunicazione, il leghista Stefano Bolognini. I due appaiono spesso nelle foto del profilo Facebook di Bolognini mentre pedalano felici.

E circa la duplicazione dei ruoli (e dei costi), De Rosa ha ragione: secondo la convenzione Arca, Inrete deve occuparsi di tutte l’attività di comunicazione della Regione. Ma lo stesso fa Lombardia Notizie, la testata giornalistica interna al Pirellone che ne segue la vita istituzionale. Un esempio? Nel 2021 la Regione stanzia 31.013,27 euro a favore di Inrete per “L’attivazione di servizi a supporto delle iniziative pubbliche istituzionali e conferenze stampa post giunta e del presidente”. Ma le conferenze stampa sono già trasmesse in diretta streaming sui canali di Lombardia Notizie che poi invia i comunicati stampa. Quindi perché pagare due volte lo stesso servizio?