Conosciamo tutti l’Emir Kusturica cineasta, col suo cinema sgargiante, dionisiaco, sentimentale, surreale, poetico. Il regista di commedie vorticose e intrise di humour nero, venate di una malinconia di fondo per la patria perduta. Il narratore di storie mai viste prima sul grande schermo, tranche de vie magico-realistiche dalla Jugoslavia post-titina e dall’universo gitano. Il vincitore di due Palme d’Oro a Cannes con Papà è in viaggio d’affari e Underground. Non tutti sanno, invece, della sua passione per la musica, che lo vede cantare e suonare la chitarra elettrica e girare il pianeta con la No Smoking Orchestra, band fondata nel 1980 nella sua Sarajevo. La colonna sonora de La vita è un miracolo, per esempio, era roba loro, non più di Goran Bregovic. Una patchanka di “musica zigana, punk, turbo folk, jazz, reggae e ritmi balcanici. Noi la chiamiamo Unza Unza Music”, ci spiega. Domani sera sarà in concerto a L’Aquila all’interno del festival “I cantieri dell’immaginario”.
Caro Kusturica, ci rivolgiamo innanzitutto al rocker che è in lei. Quanto le è mancato suonare dal vivo nell’ultimo anno e mezzo?
Molto, perché lo scambio tra il palco e le persone che assistono a un concerto è un’emozione diretta, in questi ultimi vent’anni ha rappresentato una fonte d’energia per la mia creatività.
Il suo gruppo nacque all’inizio degli anni 80, in piena transizione post-comunista. Con la musica si fanno ancora rivoluzioni?
La musica è sempre stata un messaggio unificante forte, ma anche di rottura per le nuove generazioni. All’epoca noi ascoltavamo musica punk, i Clash, i Sex Pistols, con la loro carica “fuori controllo”. Ma oggi i tempi sono cambiati. Restavamo per ore fuori dai negozi di dischi, aspettando che aprissero, per l’uscita di un nuovo 33 giri. Adesso le persone fanno la fila per l’ultimo modello di iPhone. Si è passati dal dare importanza al contenuto, al contenitore.
Macchina da presa e chitarra elettrica. In che modo convivono, in lei, questi due strumenti espressivi?
La musica è un mezzo più immediato, che arriva subito al cuore, senza filtri. Il cinema è un’arte che ha bisogno di grosse quantità di denaro per essere prodotta e prevede il coinvolgimento di molti professionisti. Per me sono due facce della stessa medaglia, fanno parte entrambe della mia vita.
Il leitmotiv del suo primo lungometraggio, Ti ricordi di Dolly Bell?, era 24.000 baci di Adriano Celentano. Come lo scelse?
Era una canzone che aveva avuto un grande successo anche da noi: eravamo molto influenzati dalla cultura italiana. Amavo parecchio il ritmo rock’n’roll di questa canzone, si collegava a un momento di trasformazione culturale che avveniva anche in Jugoslavia.
Ha mai visto il Festival di Sanremo?
È sempre stato trasmesso dalla nostra televisione, era una manifestazione popolare pure nei Balcani.
E ha seguito gli Europei di calcio?
L’Italia ha giocato molto bene, penso sia stata una vittoria meritata. E poi, visto che la finale era contro l’Inghilterra, è facile capire per chi abbia tifato. Ho tanti amici in Italia, sono davvero felice per loro.
Cosa le manca di più del suo amico Maradona?
Diego è stato come un eroe, non credo possa avere eredi, con la stessa bravura e coraggio. Sono orgoglioso di aver realizzato un documentario sulla sua vita, anche perché fu girato durante un periodo delicato della sua esistenza. Voglio illudermi che essersi rivisto nelle immagini cinematografiche lo abbia aiutato, in parte, a superare quella fase.
Lei ha inventato un cinema sui generis. Quali sono stati i suoi maestri?
Milos Forman, tra i miei insegnanti alla scuola di Praga. Uno dei registi che ho amato di più è Fellini, ma vorrei ricordare anche il Neorealismo di De Sica, Zavattini e Rossellini. E poi Tarkovskij, e naturalmente il grande Kubrick.
E tra i cineasti italiani coevi chi stima maggiormente?
Sono amico di Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, che rappresentano il cinema italiano internazionale di oggi. Ma ci sono anche autentici talenti giovani, come Alba Rohrwacher, i fratelli De Serio e D’Innocenzo, che hanno uno sguardo originale sul mondo.
È vero che sta scrivendo una sceneggiatura ispirata ai personaggi di Dostoevskij?
Sì, è ambientata ai giorni nostri. Il personaggio di Myskin, dal romanzo L’Idiota, si fonde col Raskolnikov di Delitto e Castigo. Due identità letterarie in un’unica figura filmica.
La pandemia ci ha cambiato in meglio o in peggio?
Di sicuro non è stato un momento facile, ma ha aumentato il controllo sulle nostre vite. Nella maggior parte dei casi non solo lo consentiamo, ma forniamo i nostri dati privati volontariamente. E viviamo circondati da telecamere.
Le piace il capitalismo contemporaneo?
Prevede solo di vendere e comprare: ogni domanda che possiamo porci al riguardo complica questa semplice logica.
E i social?
Non ho nemmeno lo smartphone.