Berrettini e Sinner “Non riesco più a tifare per chi paga le tasse all’estero”

Gentile redazione, i due tennisti italiani Matteo Berrettini e Jannick Sinner, per un motivo o per altro, non vanno alle Olimpiadi di Tokyo. Ma secondo il mio modesto parere, per potere partecipare alle Olimpiadi da italiani si dovrebbe avere pure la residenza in Italia, non a Montecarlo. Vorrei fare il tifo per un italiano che paga le tasse come me in Italia.

Martino

 

Gentile Martino, nelle sue parole leggo indignazione e pregiudizio, moralismo e neo-nazionalismo, sentimenti dettati dalla sacrosanta denuncia dei privilegi di pochi e dal ritenere che lo Stato sia latitante (se non complice), rispetto alle crescenti e insopportabili diseguaglianze economiche e sociali. Il campione amato dalle folle, osannato dai media e arricchito da ingaggi stellari, premi e sponsorizzazioni, incarna la figura del cittadino sleale che dallo Stato pretende diritti senza accettarne i doveri (a cominciare dalle tasse). Nel Web malumore e rabbia contro gli idoli dello sport (come dello spettacolo) alimentano una sorta di peronismo etico in cui si addita al pubblico ludibrio chi si rifugia nei paradisi fiscali per non pagare in patria il dovuto e chi sfugge all’onore (e, per alcuni, all’onere) di partecipare ai Giochi olimpici. Per esempio, a un torneo di tennis che non distribuisce milioni di dollari. Sospetto che avvelena la Rete. Berrettini ha dato forfait per motivi medici. Ma pochi gli credono. Sinner, almeno, ha detto che le Olimpiadi non rientrano nei suoi programmi. Quanto alla residenza, è un falso problema. Nessuno la contesta a Jorginho, italiano per via del nonno (o bisnonno), residente a Londra. Ha vinto l’Europeo ed è uno degli eroi di questa estate. Ha indossato con orgoglio la maglia azzurra. Non credo paghi le tasse da noi. Lo fa in Inghilterra, dove sono più basse. Ma legalmente. Non per questo, non merita il nostro tifo. Tuttavia, bisogna essere prudenti con certi ragionamenti che evocano toni demagogici. E che possono sconfinare dalle tasse al colore della pelle, al luogo di nascita, all’inginocchiamento contro le discriminazioni. Le residenze nei paradisi fiscali vanno verificate ed eventualmente sanzionate dallo Stato. Non ci si deve confondere con lo Stato. Possiamo criticarlo, invocare più giustizia. Siamo tartassati, in Italia, pure da pensionati, posso confermarlo. Il che non mi impedisce di tifare per chi indossa la maglia azzurra, a prescindere dalla residenza. Se poi ha eluso, evaso o peggio, avrà il mio disprezzo.

Leonardo Coen

Mail Box

 

Una richiesta di aiuto da parte di un lettore

Gentile Redazione, ho 54 anni, sono disoccupato, vivo solo e sono iscritto alle categorie protette ai sensi della legge 68/99. Questo grazie anche a una causa con un ex datore di lavoro, finita nel 2019, che mi ha messo in ginocchio. Il motivo è che per 9 anni sono stato assunto con contratti a progetto, quindi mi sono rivolto a un avvocato. L’azienda non mi ha rinnovato il contratto e non mi ha pagato neanche l’ultimo stipendio. A questo punto inizia il mio calvario con le spese processuali, poiché hanno pignorato il conto aziendale e personale, lasciandomi in mezzo a una strada.

Non avendo soldi non ho potuto pagare finanziamenti e servizi quali luce e gas e sono iniziate telefonate di recupero crediti. I miei debiti sono lievitati perché non pagando in tempo, sono subentrate anche le more. Due anni fa sono stato risarcito dall’azienda, ma non del tutto. Ho chiesto il Reddito di cittadinanza, ma dopo 4 mensilità, mi è stato revocato: requisiti economici sopra soglia.

Mi sono rivolto anche alle istituzioni locali, senza risultato. Il problema è che non mi hanno tolto solo il lavoro, ma la dignità: sfido chiunque a 54 anni a chiedere a famiglia e amici 10 euro per la benzina o per mangiare. Vorrei la possibilità di parlare con qualcuno che possa aiutarmi: sono disperato, senza lavoro e non ho la possibilità di fare qualcosa in proprio, in quanto senza soldi.

Ernesto Tulifero

 

Amo molto Luttazzi come Becciu gli affari

Volevo ringraziare Il Fatto Quotidiano per ospitare la rubrica di Daniele Luttazzi, che io seguo come il Card. Becciu segue il mercato immobiliare d’oltremanica.

Gianmarco Miroddi

 

Nuovo processo penale: si rischia l’impunità

Esprimo il mio grande disappunto per questa riforma. Mia moglie, avvocato, ha subito una tentata estorsione con incendio della porta studio-casa e spari dalla strada verso il terrazzo.

Gli esecutori sono stati condannati in I grado, i presunti mandanti assolti. La Procura ha fatto appello, ma siccome sono liberi, con questa riforma, difficilmente si farà il processo di appello. Che delusione anche i 5Stelle. Spero che si possa rimediare.

Domenico Danna

 

Il Guardasigilli spesso non sa quel che dice

In occasione dell’incontro tra Conte e Draghi, la ministra della Giustizia ha dichiarato che la sua “mediazione” sulla riforma non si tocca: ma le hanno spiegato che il Parlamento esiste per discutere ed eventualmente modificare le leggi proposte da e Commissioni parlamentari? Questo soggetto ha anche fatto il presidente della Corte costituzionale!

Salvatore Griffo

 

Vaccini e Green pass: il dibattito è in corso

Sono una vostra lettrice affezionata fin dagli esordi e vorrei sapere perché sul “mio” giornale preferito e indipendente, si esaltano gli effetti benefici dei vaccini mentre, secondo me, si omette il contraddittorio con la parte di esperti che non la pensa così. L’obbligo del green pass lede i diritti di chi non intende vaccinarsi. Non possiamo far passare il concetto che chi si vaccina è un buon cittadino e chi non lo fa è un cretino che merita di morire. Se non permettiamo di far sentire le altre voci, non aiutiamo il dialogo tra le parti.

Stefania Bettini

 

I troppi silenzi di “Rai News 24”

Gentile Direttore, ho ascoltato su Rai News 24 la Rassegna stampa di oggi. Il conduttore ha fatto vedere tutti i giornali, anche quelli che nessuno legge, compreso pure un giornaletto della Polizia, ma del Fatto Quotidiano nessun cenno, come se la testata non esistesse. E quanto ai titoli che ha fatto vedere, ha evidenziato di tutto, meno che dello schifo di riforma della Giustizia della Cartabia, bocciata oggi anche dal CSM, come sto leggendo sul televideo. È una vergogna. Dal pantano in cui l’innominabile ci ha fatto precipitare, forse ne usciremo solo se la sinistra (ma esiste ancora una sinistra?) uscirà da questa accozzaglia che oggi ci sgoverna.

P. Filippo Bini

 

Le teorie strampalate della Boschi su La7

Cari amici del Fatto, qualche sera fa ho avuto la pessima idea di sintonizzarmi su La7 dove Maria Elena Boschi accusava di incoerenza i 5S per aver votato a favore della riforma Cartabia, per poi cambiare idea dopo le perplessità mostrate da Conte e la maggior parte del M5S. Concita di Gregorio e Davide Parenzo, con la compagnia del Sambuca Molinari, si sono ben guardati dal chiederle della loro di coerenza, dopo il risultato del referendum. Ricordiamo la famosa frase del suo segretario IV, il cosidetto Rignanese “se perdo mi ritiro”. Infatti è ancora lì.

Lettera firmata

Alani, Modelle in posa, telefonate erotiche e mal di capelli: che film

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rete 4, 23.20: Blow Up, film thriller. Tratto dal manuale di istruzioni della Nikon F, questo lungometraggio insensato ha per protagonista Thomas, un ambizioso fotografo di moda che nella Swingin’ London degli anni 60 riscuote grande successo perché riesce a estrarre espressioni insolite dalle sue modelle. UNA MODELLA A UN’ALTRA, RIVESTENDOSI: “Attenta. Ti dice di dire cheese, e in quell’istante te lo appoggia”. L’ALTRA: “Strano. Normalmente me lo mettono nel culo”. Il suo studio, se può essere chiamata così una stanza senza libri, è in una di quelle meravigliose strade di Londra prive di palazzi moderni, dunque trascurate da Göring, risparmiate da Attlee, ignorate da Churchill e snobbate da Wilson. Thomas vende le sue foto a Vogue, se non ha dimenticato di mettere il rullino. Pur avendo fra le lenzuola tutte le modelle che vuole (e anche in bagno, e sotto la moquette lilla, e nel frigo), e in garage una Rolls-Royce bianca con dentro John Lennon e Yoko Ono, Thomas preferisce trascorrere il suo tempo libero nel parco, a fotografare di nascosto coppie che limonano. Un pomeriggio, una donna infrattata con un grande alano flatulento si accorge che Thomas la sta fotografando. L’ALANO: “Me ne stampi 4 formato tessera”. Ma la donna, urlando oscenità, prende Thomas a ombrellate e lo insegue fino allo studio per farsi dare il rullino. THOMAS: “E tu cosa mi dai in cambio?”. DONNA: “Ti darei due cuccioli di alano da tenere sottobraccio, ma poi avrei paura che potresti scoparmi”. THOMAS: “E come diavolo farei a scoparti, con un cucciolo di alano sotto ogni braccio?”. DONNA: “Be’, potrei sempre tenerteli io, no?”. Thomas le consegna un rullino diverso, e quando, insospettito, sviluppa l’altro, vede in un ingrandimento qualcosa di interessante. Si fionda al parco, e infatti eccolo: il parco! Ne solleva un angolo, e con grande sorpresa di assolutamente nessuno trova il cadavere dell’alano. Ma quando torna in studio, è tutto sottosopra: negativi e ingrandimenti sono stati rubati. Squilla il telefono, cosa che lo fa sobbalzare, dato che credeva gli avessero staccato la linea da un pezzo. THOMAS: “Pronto”. VOCE FEMMINILE: “Dove cazzo è il rullino?”. “Chi parla?”. “Sai benissimo chi”. “Oh, mi dispiace. Avrei preferito una telefonata oscena”. “Ti sembro una che fa telefonate oscene?”. “Non saprei. Fammi sentire come ansimi e te lo dico”. Scende in strada e la cerca ovunque come una checca che sta dragando i bar. La trova dentro un locale dove stanno suonando gli Yardbirds (i Rolling Stones costavano troppo: per meno di 1.000 euro al minuto, Mick Jagger non faceva neanche un pompino a David Bowie), ma dopo un po’ la donna pare svanita. Inoltre è scomparsa. In cerca di aiuto, Thomas va a casa di Ron, un suo amico, dove però è in corso un convegno immorale di genere irriferibile (un balletto marrone) e sono tutti strafatti. Thomas si fa un cannone con Veruschka: è la creatura più affascinante dell’epoca, e anche Veruschka non è da buttare, pensa Thomas. Insieme, guardano in tv la finale di Wimbledon fra Manolo Santana e una foca (un tipico flash dell’indica eschimese). VERUSCHKA: “Mi fanno male i capelli”. La mattina dopo, Thomas si sveglia ormai persuaso di aver immaginato tutto. Torna al parco con la Nikon, e scopre che il cadavere dell’alano è scomparso. Furioso di trovarsi in questo film del cazzo, Thomas rincasa con un’espressione cogitabonda. Celeberrima l’epica scena finale, col frigo pieno di modelle che esplode al rallentatore sulle note di uno strillo di Yoko Ono.

 

Nicola Tranfaglia. Uno storico nato giornalista

Se n’è andato a 82 anni, conservando ancora l’incarico legato a uno dei suoi amori: il giornalismo. Nicola Tranfaglia infatti, storico, politico, collaboratore di Espresso e Repubblica, era il presidente della comitato scientifico della Fondazione Paolo Murialdi, l’ente culturale del giornalisti italiani.

E proprio in un giornale, La Stampa, aveva incominciato la carriera di intellettuale, sempre militando nella sinistra. Laureatosi a Napoli, era arrivato a Torino negli anni 60, come assistente volontario di Alessandro Galante Garrone. Fu proprio quest’ultimo a segnalarlo, assieme a Giampaolo Pansa, al direttore Giulio De Benedetti che gli chiedeva giovani laureati da inserire in redazione. Tranfaglia ci rimase poco, agli Esteri, stimatissimo da Carlo Casalegno, ma poi ritornò sotto le ali del suo maestro e al cursus universitario: sino alla cattedra di Storia contemporanea e poi come preside di facoltà. Uno “storico impegnato”, attento ai passaggi dell’avvento del fascismo, dell’antifascismo (importanti i suoi studi sui fratelli Rosselli) e ai primi anni della Repubblica italiana, con particolare riguardo alle intromissioni dei servizi segreti statunitensi nella nostra politica e nella stagione dell’eversione nera e della mafia. Soprattutto, un grande organizzatore culturale: come dimostra la grande opera in 19 volumi sul Mondo contemporaneo (Nuova Italia).

Senza mai dimenticare il giornalismo: come studioso (sua e di Valerio Castronovo la Storia della Stampa italiana in 7 volumi, editore Laterza), come direttore, con Diego Novelli, del periodico torinese Città, e poi come fondatore, con Vera Schiavazzi, del master universitario di giornalismo. Infine, l’impegno in politica: capogruppo del Pds in Comune a Torino e deputato dei Comunisti italiani. Ostinato nelle sue idee, sempre confrontate però con storia e cultura.

Adriatici: “Non ricordo nulla”. I pm: “Era consapevole di sparare, non di uccidere”

L’assessore leghista alla Sicurezza del comune di Voghera Massimo Adriatici (47 anni) martedì sera in piazza Meardi ha “tirato il grilletto” della sua Beretta calibro 22 “in modo consapevole” ma “certamente non per uccidere”. Ucciderà, suo malgrado, un marocchino senza fissa dimora, disarmato, pregiudicato. Questo il ragionamento fatto ieri dalla Procura di Pavia. Il colpo, secondo l’accusa, non sarebbe partito “accidentalmente”. Ipotesi, questa, legata alla caduta provocata dal pugno dato dalla vittima. Adriatici nell’interrogatorio di garanzia ieri ha spiegato di non ricordare come sia partito lo sparo che ha ucciso il 38enne Yous El Boussettaoui. L’accusa ha chiesto al gip, che deciderà oggi, di confermare i domiciliari per il rischio di reiterazione del reato. Ha dato poi mandato agli investigatori di trovare video che mostrino come la vittima prima del diverbio “stesse molestando” i clienti dei bar.

Ora, va detto, la posizione dei magistrati rientra nel titolo del reato contestato: omicidio (colposo) per eccesso colposo di legittima difesa. Fin da martedì, in Procura si è ragionato sul più grave omicidio doloso sul quale puntano i legali della vittima. Il reato, dopo aver ascoltato le testimonianze e poi visto i video, è stato scartato per le “circostanze psicologiche accessorie” che hanno escluso il dolo, così come inizialmente ipotizzato dai carabinieri che hanno eseguito l’arresto. Tra queste circostanze vi è il pugno improvviso ricevuto da Adriatici. Elemento mostrato nel video ripreso da una telecamera di sicurezza e che immortala il marocchino sferrare un pugno al politico. La violenza è inaspettata. Poco prima, Adriatici sta chiamando il commissariato e sembra aver già estratto l’arma poi mostrata al suo aggressore. Dopodiché, colpito, cade e con buona probabilità perde gli occhiali. Un dato di non poco conto visto che il leghista è miope e, come molti, non vede bene dalle medie distanze. Perdere gli occhiali in quel modo, spiegano i pm, lo ha mandato in confusione. Stato spiegato ieri dai legali del politico. Questa la novità che emerge dalle 20 pagine di richiesta depositate al gip e che conferma l’ipotesi di omicidio colposo. Ieri, come detto, Adriatici è stato interrogato tre ore dal giudice. Interrogatorio dove, spiegano i suoi legali, ha detto che prima di uccidere con un colpo di pistola è stato “vittima di una violenza inattesa che l’ha fatto cadere procurandogli uno stato di confusione”. Per gli avvocati “sono insussistenti le ragioni di una custodia cautelare”. Oggi il giudice deciderà. La Procura ha incaricato un ingegnere informatico per chiarire le immagini del video. Ci sono infatti alcuni particolari che secondo il pm Roberto Valli, se chiariti, potrebbero meglio definire i contorni della dinamica.

La Consulta boccia il decreto Calabria: tutto da rifare

Il governo, nella seduta del 29 dicembre 2020, aveva posto la fiducia al Senato e così aveva approvato il “decreto Calabria” convertendolo in legge. In questo modo, il commissariamento della sanità calabrese, iniziato più di 10 anni fa, è stato prorogato fino al 2023 tra gli applausi della maggioranza di allora Pd-M5S. Con la sentenza di ieri, la Consulta ha stabilito che quella legge è incostituzionale: lo Stato non può limitarsi a un “mero avvicendamento del vertice, senza considerare l’inefficienza dell’intera struttura sulla quale tale vertice è chiamato a operare in nome dello Stato”. Per i giudici della Consulta è incostituzionale non avere previsto che al prevalente fabbisogno della struttura di supporto del commissario ad acta debba provvedere “direttamente lo Stato” con personale esterno.

In sostanza, il governo ha commissariato la sanità in una regione dove le irregolarità registrate nella gestione hanno assunto livelli di gravità mai riscontrati in precedenza” per poi obbligare la stessa regione “a mettere a disposizione del commissario ad acta un ‘contingente minimo’ di 25 unità di personale”. Per la Consulta, il commissario Guido Longo doveva “essere assistito da una struttura amministrativa all’altezza del delicatissimo compito che si trova a svolgere”. Questo non è avvenuto e a distanza di quasi otto mesi dall’approvazione della legge “il commissario ad acta non dispone ancora di una adeguata struttura di supporto”. Ecco perché il decreto Calabria “non riflette la connotazione costituzionale del potere sostitutivo”, ma “stabilisce una misura che si dimostra irragionevole per la sua inadeguatezza alla situazione nella quale deve intervenire”. Esulta il centrodestra. il capogruppo alla Camera dei deputati di Forza Italia, Roberto Occhiuto, candidato presidente della Regione Calabria, chiede “che ora la gestione della sanità, dopo 11 anni, torni alla Regione, vista l’inutilità del commissariamento”.

Olimpiadi, inaugurazione spettrale a Tokyo L’Italia con 384 atleti, punta al record di ori

Il braciere si è acceso. Naomi Osaka, numero 2 del mondo del tennis, è l’ultimo tedoforo che dà ufficialmente il via ai Giochi olimpici, alla presenza dell’imperatore Naruhito. Osaka ha ricevuto la torcia olimpica dopo una staffetta di atleti simbolo della storia sportiva del Giappone, una coppia di sanitari, un gruppo di bambini nati a Fukushima e dalle prefetture colpite dall’incidente nucleare del 2011. La 32a edizione delle Olimpiadi, che si apre con un anno di ritardo, vedrà 11mila atleti, oltre 200 paesi e 306 gare in programma fino all’8 agosto. In totale saranno 42 le discipline presenti, con alcune aggiunte: surf, arrampicata, karate e skate, novità introdotte dal Cio per fidelizzare anche i più giovani. Grande assente la Russia, bandita causa doping: i suoi atleti sfilano senza bandiera. Comemorate le vittime israeliane del 1972. Gli italiani a Tokyo saranno 384 (197 uomini e 187 donne), presenti in 36 delle 42 discipline in programma. Vuota invece la casella del calcio, assenza che stride con la vittoria a Euro 2020 della Nazionale di Mancini.

La labirintite di Matteo al governo

Oggi vorremmo parlare di Matteo Salvini, ma seriamente. Ci rendiamo conto di quanto sia difficile immaginarlo non nelle vesti abituali del virologo macchietta, o del guappo di cartone, o dello sparafucile di turno (le pistole invece le maneggiano i suoi assessori). È anche vero che si tratta pur sempre del leader della Lega, il partito fino a ieri in testa ai sondaggi elettorali, nonché forza rilevante del governo Draghi. Che giovedì sera lo ha preso letteralmente a ceffoni davanti all’intero Paese quando ha detto che “l’appello a non vaccinarsi è appello a morire”. Ce l’aveva con la Meloni, ma soprattutto con il suo alleato, il teorico del “non c’è Covid sotto i quarant’anni”, che rintronato dalla piallata ha provato solo a farfugliare qualcosa. Dopo una figuraccia del genere un politico provvisto di elementare dignità avrebbe annunciato il ritiro della delegazione leghista dalla maggioranza. Ma nel suo caso, povera stella, come si fa a rinunciare di botto a ministri, sottosegretari e relativo ambaradam di potere, le famose cadreghe che ai tempi del Bossi erano la farina del diavolo? Assistiamo alla nemesi dell’ambiguità farlocca, del piede in due staffe, del qui lo dico e qui lo nego, del Matteo di lotta e di governo (l’altro Matteo presidia gli studi dei commercialisti), espedienti che possono fare fessi gli elettori per un po’ ma non per sempre.

La stessa doppiezza di chi predica sceriffi a mano armata e strappa l’applauso con la legittima difesa prêt-à-porter

, per poi ritrovarsi a giustificare l’assessore col colpo in canna e una persona morta per strada. Ovviamente, il Salvini multitasking non fa che portare voti all’opposizione radicale di FdI, libera in assoluta coerenza di sostenere la protesta No Vax e No Pass, o qualunque altra forma ribellistica utile da cavalcare. Un problema che agita il Carroccio dove cresce la frangia di coloro che s’interrogano sul senso di una linea politica sempre più contraddittoria e perdente. Neppure Draghi può dormire sonni tranquilli dal momento che il decisionismo sulla giustizia (voto di fiducia), sommato a quello sui vaccini rischia di mettere in crisi il rapporto con le due forze fondamentali della coalizione, M5S e Lega. Con la prospettiva di un semestre bianco per lui tutt’altro che tranquillo.

Estate 2021, la variante D s’è mangiata l’effetto caldo

Oltre 24 mila nell’ultima settimana e +115% rispetto ai sette giorni precedenti, un incremento maggiore di quelli registrati a ottobre quando si è innescata la seconda ondata. Di questo passo, con un tempo di raddoppio di circa 6 giorni, per fine agosto potremmo raggiungere lo stesso picco registrato in UK con oltre 40 mila contagi.

Da un confronto dei dati del periodo 23 giugno-22 luglio di quest’anno, e lo stesso periodo del 2020, emergono interessanti analogie e profonde differenze utili a comprendere l’attuale fase pandemica e le strategie da intraprendere.

Nell’ultimo mese in Italia si sono rilevati 48.605 nuovi casi positivi, otto volte di più di quelle registrati un anno fa. Una differenza significativa spiegabile solo in parte con il notevole aumento dei tamponi: 1,3 milioni l’anno scorso, 5,4 milioni nell’ultimo mese, 4 volte di più. E infatti il tasso di positività di quest’anno si è attestato su una media dello 0,9% nell’ultimo mese, lo scorso anno era allo 0,5%. Il 22 luglio 2020 in Italia c’erano 772 ricoverati in ospedale di cui 48 in terapia intensiva. Oggi i ricoverati sono circa il doppio e nelle terapie intensive sono occupati il triplo di posti letto. 425 i morti nel 2020, 598 di quest’anno.

Cosa ci indica l’analisi comparata di questi dati? Innanzitutto che l’attuale situazione epidemiologica è peggiore di quella dello scorso anno, quando venivamo da mesi di durissimo lockdown che avevano ridotto al lumicino la circolazione del virus. Nemmeno “l’effetto estate”, che nel 2020 ha concesso tre mesi di tregua, è in grado di arginare la variante Delta che, il doppio più contagiosa rispetto al ceppo di virus circolante un anno fa; la dimostrazione di ciò è che in tutta Europa i contagi stanno risalendo, nonostante il caldo.

Il trovarsi di fronte una situazione epidemiologica peggiore rispetto allo scorso anno è un fatto che nessuno si sarebbe immaginato con l’arrivo dei vaccini. “Non sappiamo ancora se i vaccini proteggono solo dall’infezione o anche dalla trasmissione”, dicevamo nei primi mesi di campagna vaccinale. Ora la risposta l’abbiamo e non è di certo positiva: i vaccini non impediscono la diffusione del virus.

Le buone notizie di questa analisi arrivano però sull’efficacia dei vaccini nel prevenire manifestazioni gravi di infezione. Il tasso di ospedalizzazione di malati in terapia intensiva, che un anno fa oscillava tra il 4% e il 5%, adesso è di poco superiore all’1%. La letalità, che si aggirava intorno al 2-3%, ora è di poco sotto all’1% e continua a scendere proprio come è avvenuto in Uk con l’avanzare delle vaccinazioni, attestandosi intorno allo 0,2%.

Questi ultimi sono i dati più importanti su cui impostare la nuova strategia di gestione della pandemia per il futuro. Non guardare più ai soli casi positivi ma soprattutto al numero di posti letto occupati negli ospedali; ben vengano quindi i nuovi parametri stabiliti dal governo per retrocedere le regioni in fasce di rischio maggiori. Bene anche la decisione del green pass obbligatorio, misura necessaria per garantire la salute pubblica e non, come qualcuno vorrebbe far credere, una limitazione delle libertà individuali. Il certificato obbligatorio è un incentivo, per chi non ha intenzione di vaccinarsi, a convincersi a farlo, e i primi dati lo dimostrano: sono più che raddoppiate in sole 24 ore le richieste di vaccino in molte regioni italiane.

Sono proprio i non vaccinati a rappresentare il pericolo maggiore in questo momento: pericolo per loro stessi e per chi, per varie ragioni, il vaccino vorrebbe farlo ma non può.

Salvini rimane solo e chiede ai ministri la difesa da Draghi

In questi ultimi giorni in cima alle preoccupazioni di Mario Draghi c’era il dossier giustizia. La gestione della nuova fase della pandemia – fondamentale e importantissima – è stata basata prima di tutto sulle valutazioni del Cts. Ma poi ci si è mossi secondo un assunto di base: per salvare la stagione estiva, le Regioni dovevano restare in zona bianca. E dunque, oltre a cambiare i parametri, serviva estendere al massimo l’uso del green pass. Una linea abbastanza rigorista, che ha visto un riavvicinamento tra Draghi e il ministro della Salute, Roberto Speranza. A Palazzo Chigi vanno per la loro strada, ma rispetto a qualche mese fa – quando Speranza era finito all’angolo – i rapporti sono decisamente migliorati. Nel mirino del premier c’è finito Matteo Salvini. E non per questioni politiche, ma perché la sua posizione di no ai vaccini per gli under 40 e no al green pass ha creato una certa tensione. Che si è poi scaricata nelle dichiarazioni della conferenza stampa (“L’invito a non vaccinarsi è un invito a morire”). Dichiarazione scientifica e studiata, che serviva a ridimensionare una posizione.

Il leader leghista non ha gradito, ma va detto che ieri mattina è immediatamente corso a vaccinarsi. Anche se nella foto non si vede la siringa, ma solo il Qr code. Non è il caso di esagerare. Di fatto, però, lo hanno mollato anche i Governatori leghisti. “Chi non si vaccina può morire, è vero. Questo è un dato scientifico: 4 persone su 10 che finiscono in terapia intensiva perdono la vita, e ci vanno i non vaccinati, il dato è scientifico non è promozione al vaccino”, ha detto Luca Zaia, Presidente del Veneto. Mentre Massimiliano Fredriga, Presidente della Conferenza Stato-Regioni, ha parlato di “uno scontro fra bande” sui vaccini. Al netto delle dichiarazioni, però, sui i parametri, la Lega è rimasta da sola nella richiesta di soglie più alte per le terapie intensive per i passaggi da un colore all’altro delle Regioni. Che qualcosa stava andando storto Salvini lo ha capito, perché ieri ha chiamato Giancarlo Giorgetti per protestare non solo di non essere stato abbastanza difeso, ma anche del fatto che il Carroccio in Cdm non è stato abbastanza netto nel chiedere riapertura delle discoteche e green pass leggero. Ne è uscita così una nota firmata dai tre ministri leghisti (Giorgetti, Massimo Garavaglia, Erika Stefani): “Aver previsto i ristori per le attività obbligate ancora alla chiusura è importante, lo abbiamo chiesto come Lega, anche se riteniamo che non ci siano più le condizioni di pericolo e rischio per una possibile apertura delle discoteche all’aperto”. Ancora: “Riteniamo ingenerose le critiche alla Lega e al nostro leader sui vaccini”. Niente di particolarmente barricadero. Tanto che ieri a Palazzo Chigi ostentano sicurezza sulla successiva gestione del dossier Covid.

Ma intanto esponenti di primo piano della Lega, come Armando Siri, Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Simone Pillon, insieme a Vittorio Sgarbi e Gianluigi Paragone mercoledì andranno in piazza per dire no al green pass. Torna il partito di lotta e di governo. Da vedere se riuscirà a condizionare le scelte centrali sull’obbligo di certificato per scuola e trasporti da fare prima della pausa estiva. E poi per il lavoro.