Gli ultimi giorni di Ghani, stretto tra Talebani e Isis

Mai dei razzi avevano preso di mira il palazzo presidenziale afghano durante la cerimonia che segna la fine del Ramadan. L’Eid al-Fitr, cioè la “festa della fine del digiuno” è una delle ricorrenze più importanti della religione islamica ed era stata finora rispettata anche nei momenti più tragici della storia afghana. Per questo l’attacco missilistico contro la “zona verde” – la cittadella iper-fortificata di Kabul dove si trovano oltre al palazzo presidenziale anche le sedi delle ambasciate, a partire da quella americana, la più dirimente per la storia recente del Paese – avvenuto lunedì mattina mentre il presidente della Repubblica, Ashraf Ghani, stava pregando, è la dimostrazione che la situazione è ormai caotica e una nuova guerra civile potrebbe non essere lontana.

Nei giorni più bui da quando è stato eletto per la seconda volta, Ghani sta cercando di evitare un conflitto interno che invece, nonostante le note stampa e le dichiarazioni ufficiali a favore di telecamere in sede negoziale a Doha, i talebani stanno propiziando. A tentare di far ricadere l’Afghanistan nel baratro del conflitto interno c’è però anche il gruppo Khorasan, cioè il movimento locale affiliato dell’Isis.

I tre razzi sparati da un’auto e atterrati vicino al palazzo presidenziale afghano sono stati infatti rivendicati dai tagliagole dello Stato Islamico sull’app Telegram. Non ci sono state segnalazioni di feriti o vittime. Non tutti, del resto, credono che gli autori siano del gruppo Khorasan, piuttosto è molto probabile che siano stati i talebani per alzare la posta e arrivare a ottenere una sorta di resa da parte del governo senza imporlo in ambito ufficiale per non sembrare chiusi al dialogo e ai compromessi. L’attacco coincide infatti con l’ampia offensiva talebana in tutto il Paese mentre le forze americane e Nato stanno completando il ritiro. A differenza del passato, i talebani non hanno dichiarato un cessate il fuoco durante la festa di Eid, nonostante gli urgenti appelli della società civile afghana e della comunità internazionale per porre fine ai combattimenti. “I talebani non hanno volontà di pace”, ha detto Ghani. “Abbiamo dimostrato di avere l’intenzione, la volontà e ci siamo sacrificati per la pace”. Lunedì 15 missioni diplomatiche e il rappresentante della Nato a Kabul hanno esortato i talebani a fermare l’offensiva, poche ore dopo che il gruppo e il governo afgano non erano riusciti a concordare un cessate il fuoco nei colloqui in Qatar.

“L’offensiva dei talebani è in contraddizione con la loro pretesa di sostenere un accordo negoziato”, si legge nella dichiarazione. Intanto il Pakistan, i cui servizi segreti crearono e sostennero i talebani in chiave anti-occidentale, nega che la propria aviazione militare stia aiutando i talebani. La corruzione è un altro problema enorme per la pacificazione del Paese. I signori della guerra, che partecipano sia al governo sia alla controffensiva militare sui talebani, hanno contribuito a devastare l’Afghanistan.

Netanyahu, patti con i regimi illiberali favoriti dallo spyware

Sembra concepito apposta per gettare ulteriore discredito su Israele questo “progetto Pegasus”, utilizzato da regimi illiberali che hanno in spregio i diritti civili per sorvegliare avversari politici, giornalisti dissidenti, capi di governo stranieri. Ora è dimostrato che a fornirglielo è stata una società, la Nso, che agisce in piena sintonia col ministero della Difesa israeliano. E a nessuno dei grandi giornali che raccontano lo scandalo è sfuggita la coincidenza: di tali sofisticate tecniche per intercettazioni illegali hanno beneficiato – guarda caso – proprio i governi con cui Netanyahu avviava relazioni privilegiate. Poco importandogli che venissero utilizzati in spregio alle regole democratiche, dall’Arabia Saudita all’Ungheria, passando per il Messico e il Marocco.

Una mano lava l’altra? La reputazione della democrazia israeliana ne esce gravemente macchiata, essendo impensabile che Nso abbia ceduto i suoi segreti di cybersecurity all’insaputa del suo governo. Al contrario, già era risaputo che la fornitura della tecnologia Pegasus – ufficialmente destinata a combattere terrorismo e criminalità – aveva preceduto e favorito gli “accordi di Abramo” fra Israele e le petromonarchie reazionarie del Golfo. Così come, apprendiamo ora, ha rinsaldato il legame fra Orbàn e Netanyahu, accomunati fra l’altro nel considerare George Soros un bersaglio da denigrare. Del resto l’ex premier israeliano, nonostante molteplici sollecitazioni, si è ben guardato dal denunciare la campagna antisemita di cui è stato fatto oggetto il finanziere ebreo liberal statunitense.

Anche in Italia si sono fatti sentire da qualche anno i propagandisti e gli imprenditori di queste pratiche di guerra cyber. Incuranti della contraddizione per cui la democrazia israeliana affida la sua politica di sicurezza ai nemici della democrazia. Si sa, a volte i dittatori ci sono necessari.

Museruola per giornalisti. Radi e l’“effetto Pegasus”

Omar Radi è un giornalista scomodo. Lunedì scorso, il Tribunale di Casablanca lo ha condannato a sei anni di prigione in un doppio processo per “spionaggio” e “stupro”. È accusato di aver “ricevuto dei finanziamenti esteri in relazione con dei servizi segreti” al fine di “compromettere la sicurezza interna dello Stato”. La sentenza prevede anche un risarcimento di 200 mila dirham (circa 19 mila euro) per Hafsa Boutaher, la donna che ha denunciato la violenza. Il reporter di 35 anni, militante per i diritti umani, dà fastidio per le sue inchieste sulla corruzione in Marocco, perché critica il regime e denuncia la repressione dei movimenti sociali.

In un paese che imbavaglia i giornalisti, Omar Radi è diventato il simbolo della lotta per la libertà d’espressione. L’inchiesta per spionaggio era stata aperta nel giugno 2020, quando Amnesty International aveva rivelato che il cellulare di Radi era stato spiato tramite il software Pegasus elaborato dall’azienda israeliana Nso.

Lo stesso al centro dell’enorme scandalo rivelato da un consorzio di giornalisti internazionale nei giorni scorsi: secondo i dati di Forbidden Stories e di Amnesty, oltre 50 mila numeri di telefono sono stati potenzialmente attaccati dal software-spia, inizialmente destinato alla lotta contro il terrorismo, ma utilizzato anche dai regimi per sorvegliare i governi esteri, oltre che i propri oppositori interni e la popolazione.

Le Monde ha rivelato che uno dei clienti di Nso è proprio il Marocco, Paese “alleato” della Francia, che avrebbe spiato o tentato di spiare con Pagasus il contenuto dei cellulari di diversi giornalisti e uomini politici francesi, tra cui una quindicina di ministri e lo stesso presidente Macron.

Il governo di Rabat ha denunciato una campagna di “menzogne”. Ma dalle rivelazioni di Le Monde emerge anche che la sorveglianza di massa è una pratica comune in Marocco, dove anche i cellulari dei membri della famiglia del re Mohammed VI figurano nella lista dei numeri spiati. L’anno scorso, prima che Amnesty rendesse noto che il telefono di Radi era stato spiato, il reporter era già finito nel mirino delle autorità di Rabat. Il 26 dicembre 2019 era stato arrestato una prima volta per aver pubblicato un tweet in cui criticava le pesanti condanne inflitte a decine di attivisti del movimento anti-povertà della regione del Rif. Il suo arresto aveva sollevato l’indignazione dei marocchini che erano scesi nelle strade di Rabat per chiedere la sua liberazione. Il 31 dicembre Radi era stato rilasciato su cauzione, ma condannato a marzo a quattro anni di prigione. L’inchiesta per “stupro” era stata aperta nel luglio 2020.

Ai giudici, Hafsa Boutaher, giornalista freelance per il sito di informazione Le Desk, ha detto che Omar Radi aveva abusato di lei nella notte tra il 12 e il 13 luglio 2020 mentre si trovava a casa dei suoi datori di lavoro. Il 29 Radi veniva incarcerato nella prigione di Oukacha, a Casablanca. A AtlasInfo, un sito di informazione marocchina basato in Francia, Hafsa Boutaher ha raccontato i timori dello scandalo, la vergogna: “Non avevo motivo di non sentirmi al sicuro dai miei amici. Perché avrei dovuto avere paura di Radi?”. Il giornalista ha smentito la violenza e parlato di relazione consenziente tra due adulti.

“Il tribunale è spinto dalla vendetta e non dalla ricerca della verità”, ha detto dopo la sentenza il giornalista, che potrà fare appello. Il suo legale, Ali Amar, sostiene che il suo cliente sia stato condannato senza prove e impugnerà la sentenza. Amnesty International ha denunciato “l’irregolarità della procedura” e chiesto per Radi un “processo equo”.

Il caso di Omar Radi non è il solo. Gli arresti abusivi e le condanne di giornalisti, spesso con denunce a sfondo di violenza sessuale che sembrano montate da zero, per mettere a tacere delle voci dissidenti in Marocco, si moltiplicano. Appena il 10 luglio scorso, anche Soulaimane Raissouni è stato condannato a cinque anni di prigione per aggressione sessuale: il giornalista dissidente, 49 anni, in sciopero della fame da più di 90 giorni, era stato arrestato il 22 maggio 2020 dopo che un attivista Lgbt lo aveva accusato di molestie. I suoi sostenitori denunciano un “verdetto politico”. Da parte sua, Rabat difende l’indipendenza della sua giustizia e l’equità delle procedure.

Il matriarcato e il neo maritino fatto “grasso come un porco”

Non faccio nomi poiché dei fatti conta la sostanza e in questo caso la sostanza è che il matriarcato (e mi scuso con i promulgatori delle teorie antropologiche evoluzioniste del Diciannovesimo secolo se le manipolo per mio uso), resiste anche nelle minuzie. Dunque. Incontro sul lungolago una coppia di conoscenti che da tempo causa Covid non vedevo e dopo i convenevoli e le felicitazioni per essere ancora vivi la donna, di una simpatia maliosa, mi spiffera che ha una novità da riferirmi. Ribatto chiedendo se bella o brutta. Bella, risponde con un sorriso che mi ricorda la mia nonna. E già perché lei avrà un’ottantina d’anni, il suo accompagnatore uguale, forse qualcuno in più. E allora? chiedo. Ecco, rivela, l’abbiamo fatta infine, ci siamo sposati. A entrambi sorridendo faccio i complimenti e mi permetto anche la banalità di dire, Pazzi che siete, dopo averla scampata per tanto tempo cosa vi ha spinto a cadere nel trappolone ? Però li bacerei entrambi se si potesse. Ormai è fatta, sentenzia lei, ma solo con le rughe di un sorriso, dopodiché mi guarda da capo a piedi, tira le somme e infine conclude dicendo che, rispetto a tempo prima, mi trova un poco dimagrito. Borbotto che in effetti, sì, ultimamente ho perso un poco di appetito ma lei mi blocca perché col pollice mi indica il neo marito. E, testualmente, mi fa notare che lui invece è “grasso come un porco”. Al che lo guardo e sempre con leggerezza gli dico, Visto i bei risultati del matrimonio? Se quell’incontro fosse avvenuto solo una settimana prima delle nozze la fresca, in tutti i sensi, moglie al massimo l’avrebbe definito solo “un po’ su di peso”. Invece adesso, a cose fatte, ecco la ghigliottina di un parere che, senza filtri, sa dove cadere e trancia. Lui si ritira un poco nelle spalle, gli vedo scivolar via quelle parole. Forse già lo sapeva che il predominio femminile nel matrimonio (ma solo in quello?) è regola scritta fin dalla lontana antichità. Mi guarda e basta, anche perché, per dirla tutta, nemmeno lei è una silfide.

Noi, migranti traditida miss marple

Londra mi era sempre sembrata un genitore generoso. Non una madre né un padre, ma un genitore disposto ad accogliere chiunque. Che non faceva domande e che offriva un’identità in cambio di qualche sacrificio urbano perché chiunque potesse fingere di essere nato qui.

E sebbene implacabile in senso materiale, questo genitore fatto di pietra e terra e sogni che facevano sembrare piccola anche Parigi, mi è sempre sembrato il posto giusto dove stare. Ho sempre sentito che valeva la pena lottare per cercare di sopravvivere a questa versione inaccessibile della mia vita. Essere un’immigrata per scelta, una londinese. Per un tedesco questa storia d’amore non è una novità… Nella sua opera drammatica Intrigo e amore, Friedrich Schiller chiama gli inglesi “le persone più libere sotto il cielo”… Da tedeschi cresciuti nel nord del Paese, un ex territorio britannico, eravamo arrivati a pensare agli inglesi come ai nostri liberatori. Come a persone che non avevano mai avuto a che fare con qualcosa come il fascismo, non inclini a quel tipo di estremismo che aveva fatto a pezzi gran parte del mondo. Eravamo arrivati a considerarli brave persone, non sinistre e saccheggiatrici come i russi, ma oneste e libere. E anche se nel 1917 i loro monarchi avevano cambiato nome da Saxe-Coburg and Gotha a Windsor, ci siamo sempre sentiti come se avessimo la parte che ci spettava nel loro teatro regio delle marionette. Come se fosse possibile per tedeschi e britannici essere la stessa cosa perché, nonostante i loro sforzi bellici, i britannici hanno sempre avuto un debole per noi e in alcuni casi anche per i nazisti. Non bevevamo forse tutti il tè e vivevamo vicino al mare? Così, per molti anni, siamo stati infatuati. Della loro lingua, della loro libertà e dell’invidiabile leggerezza con cui danzavano intorno alla propria colpa storica.

E quando tanti anni fa mi sono trasferita per la prima volta a Londra, quest’isola sembrava mantenere le sue promesse. Una città del genere sarebbe inimmaginabile in Germania, così vasta, così sregolata e così libera… Qui potevi essere un londinese e scegliere l’identità che andava bene per te, senza fare domande (O almeno così sembrava). E potevi perfezionare la lingua che il mondo intero era arrivato a considerare bella e indispensabile, uno dei tanti postumi di una sbornia coloniale che alla fine avevamo accettato come il nostro status quo. E mentre la maggior parte di quelli della mia generazione avrebbe buttato via le proprie magliette e scarpe da ginnastica con le stelle e strisce americane all’indomani della “crociata per la libertà” di George W. Bush e delle guerre intraprese dopo l’11 settembre, la Gran Bretagna è riuscita in qualche modo a sfuggire a quel verdetto quando il governo di Blair ha deciso di invadere l’Iraq. Per la maggior parte di noi, gli inglesi restavano un’eccentrica ma adorabile nazione in tweed, nonostante la loro cucina discutibile e la moquette nei bagni. Dopotutto erano la casa della Regina e dell’ispettore Barnaby.

Da brava tedesca, sono morbosamente affascinata da programmi televisivi come Downtown Abbey. Da quel modo di guardare al passato come se fosse una sorta di rassicurante avventura di Miss Marple invece che un’orribile esplosione di violenza e una varietà di disumane ideologie imperialiste, colonialiste e fasciste. È una cosa che i tedeschi riescono a fare solo usando quelle bizzarre analogie con le nonne diventate stranamente popolari: “Cucinare come faceva la nonna, lavorare a maglia, vestirsi come si vestiva la nonna”. Ma le cose si complicano quando si tratta di ammettere che la nonna pensava che Hitler fosse un brav’uomo. La nonna era una nazista. Per tutti, tranne che per i tedeschi squilibrati e neofascisti, il passato non è un luogo felice. Non è un posto dove puoi scappare come soluzione ai tuoi problemi contemporanei. Eppure, quando mi sono trasferita a Londra, ho imparato che era possibile provare nostalgia per cose come la guerra e i bombardamenti… Eppure questa era anche la capitale del Paese dove potevi finire in carcere per avere profanato un monumento ai caduti. Dove era persino possibile provare nostalgia per cose che non sono mai esistite, come un impero bello e giusto, una Gran Bretagna che non è stata costruita sullo sfruttamento degli altri. Una visione che è stata guidata da un mal riposto senso di purezza e ha portato al sogno di una Gran Bretagna senza immigrati, senza altre culture e religioni. Un paradiso per i bianchi… Il tipo di nostalgia che ha alimentato la Brexit proviene anch’esso dal desiderio di qualcosa che non è mai esistito. È il residuo di un’illusione che la Gran Bretagna abbia ancora un impero e che questo ex luogo di potere sia un luogo desiderabile in cui tornare. Che la Britannia dovrebbe ancora dominare i mari. È il risultato dell’incapacità di riconoscere come il modo coloniale di guardare alle persone e ai Paesi sia ancora presente in tutto il mondo occidentale e che la Gran Bretagna non faccia eccezione alla regola… Che si tratti di una mancanza di impegno per il cambiamento climatico o del rifiuto precoce della Gran Bretagna di offrire rifugio alle persone in fuga dalla guerra in Siria. Come la pandemia del Covid-19 abbia tracciato una mappa inquietante delle disuguaglianze sociali e razziali che stanno strangolando questo Paese. Come stiamo assistendo a una crisi di nazionalismo, razzismo e classismo…

Il futuro non è mai stato più incerto. Mi sarebbero comunque stati garantiti i miei diritti se avessi continuato a vivere qui come straniera? Potevo essere improvvisamente privata di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta qui? E ora che la Gran Bretagna sta finalmente realizzando il suo sogno di “riprendere il controllo” che probabilmente si tradurrà in difficoltà ancora più grandi per coloro che stanno già lottando, ancora più isolamento culturale, la sensazione di essere bloccati e da soli e la frustrante prospettiva di dovere mangiare ghiaia e rape, gli europei se ne stanno lì come amanti respinti… Nella Gran Bretagna di oggi c’è comunque pochissimo senso di rispetto per il fatto che Europa significhi soprattutto più di 400 milioni di persone che vivono insieme in pace.

Da cittadina europea che vive a Londra, negli ultimi cinque anni mi sono sentita come bloccata dentro un’auto che correva contro un muro a grande velocità, incapace di aprire gli sportelli ma profondamente convinta che fosse una pessima idea. Quel 52 per cento degli aventi diritto al voto (io non ero una di loro) ha sbagliato. Quando alla fine andremo a sbattere contro quel muro e la realtà ci colpirà alla testa come un dio arrabbiato, sarà confermato che Schiller ha bisogno di essere corretto. Che i britannici non sono “le persone più libere sotto il cielo” perché libertà non significa più stare sulle spalle di coloro che ci opprimono. La Brexit è qui ora e, a differenza di Trump, non andrà via. Per molti anni a venire sarà l’ospite alla cena con cui nessuno vuole avere a che fare, ma questo non dovrebbe impedirci di rivendicare il nostro diritto di chiamare questo Paese la nostra casa… Andarmene significherebbe cedere alla loro logica, così finché non mi metteranno personalmente su una barca per tornare in Europa, rimarrò esattamente dove sono adesso. Una londinese senza passaporto britannico. Una straniera. Una continentale. Un felice pezzo di Eurotrash.

 

 

Vaccini, è giusta la strada francese

“Libertà”, uno dei principi fondanti del nostro essere umani, sul quale è stata costruita gran parte della nostra Storia. Poiché in una comunità sociale questo diritto coinvolge spesso l’altro, il suo significato, nei secoli, è mutato. Oggi ci troviamo davanti a una importante (confusa e discorde) interpretazione che sta creando notevoli problemi in tema di vaccinazione. Se consultiamo l’enciclopedia Treccani, troviamo che libertà è la facoltà di pensare, di operare, di scegliere, a proprio talento, in modo autonomo. Dal punto di vista giuridico è il diritto di ogni individuo di disporre liberamente della propria persona. Dal punto di vista storico, intesa come libertà di non subire ingerenze altrui sul proprio corpo, è il primo e il più importante diritto civile, sancito già dalla Magna Charta Libertatum del 1215. È un argomento che ha ispirato migliaia di testi, sia legali che filosofici. Ricordiamo Platone, Aristotele, Kant. Per secoli si è parlato di libertà come diritto assoluto. Oggi il quesito è se un obbligo vaccinale possa essere possibile e costituzionale. Se viene inteso come coercizione corporale dovuta a una somministrazione non voluta, è certamente inammissibile. È invece indiscutibile che, trattandosi di scelte che coinvolgono sia la spesa pubblica (ricoveri dei non vaccinati) sia la libertà altrui e il rispetto della sua salute (attraverso il contagio), dovremmo ricordare il concetto di libertà di Tommaso d’Aquino. È vero che anche il Parlamento europeo ha raccomandato di non obbligare l’atto della vaccinazione, ma è altrettanto fondato il diritto di tutti, soprattutto i fragili, di non correre rischi. Credo che la perplessità nella scelta non debba esserci. Oggi il panorama del rischio (ormai ampiamente dimostrato) è quello sociale, perché SarSCoV2 circola dappertutto. Credo che sia venuto il momento di imitare i francesi che hanno imposto non preclusioni ma limitazioni per viaggi e nei locali pubblici per chi non è vaccinato. Questi dovranno dimostrare di aver eseguito recentemente un tampone. È giusto sostenere le spese ingenti imposte dall’ospedalizzazione dei malati Covid se non si sono vaccinati?

 

Ora, per Santoro, i pm nisseni prendono ordini da un ex boss

La calunnia è un reato contro l’amministrazione della giustizia, per questo motivo procedibile d’ufficio e nel caso delle supposte rivelazioni dell’ex killer Maurizio Avola, contenute nel libro di Michele Santoro, era certo fin da subito che la Procura di Caltanissetta avrebbe indagato lo stesso Avola; i magistrati con un comunicato poche ore dopo la pubblicazione di Nient’altro che la verità

sottolineavano già il 29 aprile “le numerose contraddizioni del racconto” di Avola e indicavano “elementi probatori che inducevano a dubitare della sua veridicità”. Ieri Santoro ha sostenuto sulla sua pagina social: la Procura è intervenuta dopo l’annuncio di querela nei confronti di Avola degli avvocati di Aldo Ercolano, ex numero 2 di Cosa Nostra a Catania e ora detenuto, il 27 maggio. L’indagine dei pm, per Santoro, “è dovuta all’iniziativa giudiziaria di un padrino del rango di Ercolano”. E ancora: “Il Fatto

invece di preoccuparsi di una circostanza così inusuale, e dei pericoli che ne potrebbero derivare, se ne compiace”. L’unica cosa piuttosto inusuale è leggere che, secondo Santoro, la Procura di Caltanissetta prende ordini da “un padrino di rango”.

MailBox

 

Le Rsa non sono solo soggetti “privati”

In merito ai vostri lodevoli servizi sulle Residenze sanitarie divenute business dei privati e alle reiterate dichiarazioni dell’assessore alla Sanità piemontese, Luigi Icardi, vorremmo precisare che tali strutture non possono essere catalogate come “privati”, poiché accreditate con le aziende sanitarie locali, da cui ricevono metà delle rette per i pazienti convenzionati: quindi operanti per conto del Servizio sanitario nazionale. Anche se gestite da un operatore privato, sono riconosciute come soggetti che svolgono un servizio equiparato al pubblico e sono sottoposte ad esso per programmazione, prevenzione e vigilanza. Le rette da applicare sono definite da delibera regionale (la numero 85 del 2013) e la compartecipazione è stabilita (dpcm 12.12.2017) nella misura del 50% della retta. Le Regioni con gestione diversa, violano la norma. A chi fa comodo sostenere che le Rsa siano soggetti privati? Negli scorsi mesi sono state “scaricate” anche dalle amministrazioni regionali, che in questi anni le hanno incentivate arretrando sull’offerta sanitaria e tagliando il budget, lasciando i posti letto in balìa del mercato privato. Il 25 aprile 2020, Luigi Icardi rispondeva a una testata online sulle numerose morti in Rsa, nel pieno della prima ondata: “abbiamo limitato gli accessi. Parliamoci chiaro però: le Rsa sono strutture con gestione autonoma e un proprio direttore. Non fanno parte del sistema sanitario”. L’assessore, in quel momento era anche presidente degli assessori alla Sanità nella Conferenza Stato-Regioni, ha palesemente detto il falso.

Andrea Ciattaglia, Fond. Ets e Coord. sanità e assistenza

 

Alluvione Nord Europa: non sarà stata la Raggi?

Sono stupito e favorevolmente meravigliato. Chissà che cosa c’è sotto. Nessun “giornale” italiano ha titolato che i disastri in Germania, Belgio e Olanda sono “colpa della Raggi”!

Fabrizio Virgili

 

G8 a Genova 2001: le ragioni dei no global

A 20 anni dai tragici giorni del “G8” di Genova, i fatti hanno dimostrato che il “movimento” che manifestava portava istanze talmente giuste, che adesso fanno parte delle agende dei nuovi vertici fra i capi di Stato dei Paesi più sviluppati. Sembra un paradosso, ma tanta violenza contro di loro da parte di un potere sordo e reazionario, è stata programmata proprio perché avevano ragione. Questa ragione non collimava con gli interessi che il “vertice” doveva difendere. Il torto è una molla sempre pronta a far scattare la violenza.

Mauro Chiostri

 

L’ignoranza di tanti “opinionisti” italiani

Gentile Marco, sono solo alla seconda puntata dei suoi editoriali e sto aspettando con ansia i prossimi. Mi chiedo: ma tutti questi giornalisti Mieli, Giannini, Folli ecc. davvero non avevano capito o erano (e sono) in malafede? Per fortuna io leggo solo il Fatto, ma mi dispiace che tanti lettori vengano ingannati in questo modo. Poi penso che anche loro hanno la possibilità di informarsi sul Nostro giornale e la pena scompare. Ma i giornalisti non si sentono in colpa?

Carmen Puricelli

 

Prenotazione per Pfizer: oltre al danno la beffa

Alcune Regioni, tra cui la mia Liguria, si sono brillantemente organizzate per la reciprocità vaccinale in ambito turistico, con Open day e Open night vaccinali, però alla mia richiesta di anticipare la seconda dose di AstraZeneca all’ottava settimana invece che alla dodicesima, mi è stato risposto: “la seconda dose non è modificabile e non è previsto l’anticipo”. Sono ultra60enne: ho prenotato la vaccinazione ad aprile senza alcuna esitazione e ho ricevuto a giugno la prima dose. Nel frattempo sempre per “problemi organizzativi” fasce di età più giovani che si erano prenotate settimane dopo di me avevano già ricevuto la prima dose di Pfizer e quindi concludevano l’immunizzazione entro giugno. Dovrò quindi aspettare 12 settimane e solamente a metà settembre avrò il GreenPass mentre un mio vicino si è fatto vaccinare a un Open Day senza alcuna prenotazione e ai primi di agosto avrà la seconda dose di Pfizer! Per quelli come me, oltre al danno anche la beffa.

 

Conte-Grillo: previsioni nefaste, stiamo a vedere

Dal finto, o reale, accordo pacificatore intercorso fra Conte e Grillo, i cosiddetti giornalisti delle grandi testate, dai tronfi titoli esaltanti Draghi sulla riforma Cartabia, sono passati alle previsioni nefaste sul futuro del Movimento, oppure a tentativi maldestri, secondo loro, di Conte per arginare la deriva destrorsa di questo governo. Tutti costoro fingono d’ignorare la popolarità meritata da Conte per le battaglie vinte e il seguito di consensi ancora vivi, e vogliono una frattura fra i 5S e conseguente scomparsa. Cosa leggeremo sui loro giornali prossimamente?

Pasqualino

 

AstraZeneca, ancora dubbi sugli over 70

Perché in Italia hanno scelto di vaccinare con AstraZeneca i 75/79enni, che con il Covid hanno un alto rischio di morte, superiore al 10%, quando era già noto che Pfizer aveva una copertura molto superiore? (82% contro 94% di Pfizer). È sciatteria o una scelta consapevole per provocare morti?

Vareno Boreatti

Ciaccio Montalto “Era mio padre, ‘giudice solo’ anche dopo la morte”

Egregio dottor Padellaro, mi sento di scriverle dopo aver letto la sua recensione al programma Cose Nostre, andato in onda giovedì 8 luglio, e incentrato sulla figura di mio padre, Gian Giacomo Ciaccio Montalto.

È passato tanto tempo da quel 1983, ma a tutt’oggi sembra che la figura di questo “giudice solo” sia ancora scomoda da ricordare. Si può dire che anche nella morte, così come nella vita, nonostante il sacrificio per questo Stato, mio padre sia stato lasciato solo dalle istituzioni.

Forse perché la sua visione della giustizia, lontana dai giochi di potere e da interessi privati di qualsiasi genere, è sempre stata fuori dagli schemi, e forse perché, in questi decenni di lotta alle mafie, ci si è fossilizzati nel ricordo, puramente celebrativo, di pochi.

Siamo quindi rimasti sorpresi e colpiti dall’intenzione della Rai, a distanza di quasi 40 anni dai fatti, di dedicare a lui una puntata del programma Cose Nostre, puntata che ha reso il giusto valore alla memoria di uomo ucciso per i propri ideali.

Il prodotto finale è di una qualità eccellente e vorrei approfittare del suo tempo per ringraziare, a nome della mia famiglia, tutto lo staff.

Un gruppo di professionisti che ha confezionato con estrema cura, e senza nulla lasciare al caso, un programma di spessore la cui attualità meriterebbe quantomeno la prima serata.

Spero vivamente che possano continuare nel duro lavoro di recupero, riportando alla luce altre storie di donne e uomini coraggiosi che hanno perduto la vita nella palude tristissima della criminalità.

Se è vero, citando la senatrice Liliana Segre, che la memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza, direi che è arrivato il momento (meglio tardi che mai) di rispolverare questa parte della nostra storia perduta.

Vorrei ringraziare infine tutti coloro che sono intervenuti portando la propria testimonianza, senza la quale l’ambientazione dei fatti sarebbe stata di difficile collocazione.

Un cordiale saluto.

Marene Ciaccio Montalto

Lilin il nazi-verde: una stella cadente nel cielo di Sala

Come diceva Marilyn, le elezioni sono uno spasso. Certamente lo sono quelle per il sindaco di Milano, dove i due candidati principali, Giuseppe Sala per il centrosinistra e Luca Bernardo per il centrodestra, litigano tra loro per esigenze di copione in campagna elettorale, pur essendo sostanzialmente d’accordo sull’essenziale, cioè sui grandi affari che nei prossimi anni stravolgeranno la città proseguendo sulla strada del consumo di suolo, della cementificazione delle aree verdi, dei regali agli immobiliaristi che sono diventati i veri padroni di Milano. Bernardo non è un personaggio da copertina, non è proprio un numero uno, ma è stato infine scelto dal centrodestra (dopo aver provato di tutto e non senza conflitti, divisioni e mali di pancia) per non disturbare troppo Sala e i suoi progetti. Farà una battaglia personale, non per vincere, ma per rafforzare, oltre che il suo considerevole ego, il suo già consistente potere nel mondo della sanità lombarda; e per consolidare il suo blocco di rapporti e relazioni.

Salvo sorprese: non dimentichiamoci che, oltre alla Milano vincente, lucente, patinata e celebrata, la Milano di Expo e del food, delle banche e dei grattacieli, ci sono le periferie e la Milano senza voce, impoverita, impaurita e incattivita. Pronta a votare chiunque si opponga al candidato in technicolor del centro ricco e affluente; forse, chissà, a votare perfino il pediatra di Licia Ronzulli, l’amico di Nicole Minetti, che pure fa parte della stessa Milano di Sala (poi il furbo Bernardo ci regala delle sorprese, scavalcando a sinistra Beppe e opponendosi all’abbattimento dello stadio Meazza e alla speculazione di San Siro).

Lo spasso delle elezioni comincia davvero a mostrarsi nelle liste dei candidati. Quelle che sostengono Sala hanno dentro di tutto, e questo ce lo aspettavamo. Non ci aspettavamo però il candidato nazi-verde: Nicolai Lilin, scrittore italo-russo, esperto di armi da tiro e da taglio, autore di Educazione siberiana, da cui è stato tratto anche il film di Gabriele Salvatores. La sua candidatura è durata poche ore, perché Lilin al primo odore di polemiche se n’è andato da par suo, sbattendo la porta: “Sono troppo anticonformista per stare in questa partita”. Ma il suo passaggio da stella cadente nel cielo di Sala è significativo del metodo con cui si stanno formando le falangi elettorali del candidato-manager: esponiamo sugli scaffali del supermercato Sala (esse lunga) prodotti per tutti i gusti. È la prima legge del marketing: soddisfare le esigenze più varie con prodotti “segmentati” per le diverse fasce del mercato.

Così c’è la Lista Sala, per i suoi sostenitori personali (capolista, il figlio di Carmelo Conte, Emmanuel, grande fan di Bettino Craxi). C’è il Pd, per gli elettori di partito tradizionali. Europa Verde, per gli ecologisti che non stanno lì a guardare il cemento in arrivo sugli ex scali ferroviari, a San Siro e in tutta la città. La lista Milano Unita, per chi vuole ancora sentirsi “di sinistra”, guidata dall’ex capo Cgil Elena Lattuada (a cui voglio un sacco di bene). Volt, lista tipo sardine chic in salsa bocconiana. Poi c’è anche Azione, per i rari e selezionati amanti del genere Carlo Calenda, Più Europa, per i radicali invecchiati (male), Alleanza Civica, per gli amici del buon Franco D’Alfonso e i renziani di Italia Viva che non hanno il coraggio di presentare il loro simbolo.

Il tramontato Lilin era stato entusiasticamente accolto dai poveretti di Europa Verde, che avendo scambiato Sala (campione italiano di consumo di suolo) per un ambientalista, possono ben scambiare Lilin (tifoso della guerra nel Donbass, amico dei fascisti di Lealtà Azione e CasaPound) per un verde europeo. Che spasso, Marilyn.