Gloria e giubilo sui giornali, oltre alla bonaria invidia che si riserva ai “visionari rimasti un po’ bambini”, per il giro di 4 minuti nello spazio, a 100 km da terra, del padrone di Amazon Jeff Bezos (patrimonio stimato: 205 miliardi di dollari), a 9 giorni dal volo di Richard Branson (4,3 miliardi di dollari), che con la sua Virgin Galactic s’è fermato a 85 km. Che sia merito di Draghi anche questo? Non direttamente, ma è innegabile che lo Spirito del Tempo premia chi detiene i denari e sogna in grande per tutti noi, lasciando sgocciolare verso il basso il liquame santo dei suoi trastulli spaziali. Stanchi dell’angusta attualità terrestre, rincorsi dal virus che falcidia i noiosi “fragili” e impoverisce i poveri, evadiamo dal green pass e dall’inquinamento (prodotto dagli Stati estrattori e costruttori, dalle fabbriche, dai trasporti, dai consumi dissennati, in una parola: dal capitalismo) e riscopriamo questa Terra “bella e fragile”, secondo un Bezos appena riatterrato. “Ringrazio tutti gli impiegati di Amazon. E i clienti. Siete voi che avete pagato per questo”, e vorremmo vedere – peraltro pagano gli Stati e dunque i cittadini anche per andare a recuperare i rottami dei loro razzi quando si schiantano in qualche deserto dello Utah. Bezos paga zero dollari di tasse perché ha spostato la residenza in uno degli Stati americani in cui si può, e in Europa paga pochissimo perché le imposte sono sui profitti e non sui ricavi (basta investire molto); esattamente come Elon Musk (160 miliardi di dollari), padrone della Tesla, che ad aprile, con la navicella della sua SpaceX, ha raggiunto la Iss (grazie ai soldi e alle basi della Nasa) e progetta viaggi orbitali per il turismo spaziale di altri umani della sua fascia di reddito. (Musk, negazionista del Covid, è quello che vuole bombardare Marte con le atomiche per renderla abitabile). A 60 anni dal primo volo nello spazio della Vostok 1 con a bordo Jurij Gagarin, eroe dell’Unione Sovietica, metalmeccanico, figlio di una contadina e di un falegname, e a 52 anni esatti dall’allunaggio dell’Apollo 11, ecco “il sogno da bambino di Bezos”, partito insieme al fratello, a un’astronauta 82enne e al figlio 18enne di un finanziere olandese a cui l’Erasmus dev’esser sembrato noioso per il rampollo, preso a bordo al posto di un miliardario anonimo che dopo essersi aggiudicato il biglietto per 28 milioni ha disdetto adducendo “un altro impegno” (succede sempre così: il giorno fissato per un giro nello spazio da 28 milioni di dollari ti chiamano perché si è liberato un posto dal dentista). Nessuno scandalo, i ricchi si trastullano da sempre come vogliono, anche se sarebbe interessante interpellare uno psichiatra per capire se c’entri l’invidia del pene (altrui) in questo impennarsi dal suolo (nei bar della Silicon Valley: “Branson si è fermato a 85 km, che pippa galattica!”); ma ti pareva che da noi non c’era chi tirava fuori il Rinascimento, che quando si parla di miliardari pazzoidi e/o segaossa va via come il pane? Bezos, Musk, Branson: come i “facoltosi di San Gimignano che costruivano le torri” (Corriere). Bezos vuole creare “basi spaziali orbitanti” nelle quali parte dell’umanità andrà a vivere “dopo aver spremuto le risorse naturali del nostro pianeta”: che pensiero gentile per i suoi operai controllati elettronicamente e costretti a pisciare nelle bottiglie per non perdere nemmeno un minuto nella corsa alla crescita infinita! Sviluppo senza progresso, sogno senza mistero: il sogno di bambini viziati che giocano con le navicelle per consentire ad altri ricchi, un domani, di abbandonare il pianeta distrutto. Pare di ricordare che la soluzione in questi casi sia socializzare i mezzi di produzione, ma siccome non sapremmo che farcene della capsula di un Dragon 2, auspichiamo una stretta legale che costringa i megamiliardari spaziali a pagare le tasse sulla Terra e a trattar meglio i loro dipendenti; e rendiamo onore alla memoria del compagno Jurij.