Licenziare si può. “Io, imprenditore, ma perché devo pagare la maternità al posto dello Stato?”

 

I colloqui fuorilegge delle donne al comando: “Vuoi avere figli?”

Cara Selvaggia, ho letto la lettera della scorsa settimana, quella della lavoratrice mandata a casa dopo la fine del blocco dei licenziamenti per via di una colpa non detta: avere un figlio. Parole Dolorose. Ci sono dei però. Sono socio di un’azienda e spiegherò dettagli che in troppi giudicano irrilevanti. Racconterò ciò che vivo nel quotidiano, nel sistema, tra le persone che conosco, nelle conversazioni che ascolto.

1) Il sistema. Cominciamo dai contratti collettivi, cercherò di semplificare senza banalizzare. La maternità è un diritto, sacrosanto, dell’individuo. Ma perché nel 2021 la maternità deve essere ancora un costo per le aziende? Perché nel Contratto collettivo del commercio, ad esempio, è previsto che sia il datore di lavoro a pagare il 20% del congedo parentale di un dipendente? Se prendiamo un’ azienda solida, con un flusso di cassa costante come gli utili positivi, la maternità rappresenta un costo, ma facilmente assorbibile. Nella mia società la maternità non è solo un costo (facile da gestire), bensì un evento da valorizzare in tanti modi: con un premio da 1200 euro; con un welfare aziendale da 2000 euro a dipendente (10 volte quanto previsto dal Contratto collettivo) per pagare asilo o babysitter; con l’assunzione di una director all’ottavo mese di gravidanza (posso dimostrare tutto, nero su bianco). Ma è facile, l’azienda è solida, le nostre casse sono ricche e io posso decidere di prendere gli utili, metterli in tasca mia, oppure ridistribuirli in questo modo. Prendiamo invece il mio negozio a Milano: 30mila euro di perdita (causa Covid) e vendite che stentano a ripartire; ma costi fissi che sono un’emorragia inarrestabile. In tal caso ogni euro conta. Se la ragazza che lavora da me rimanesse incinta, ovviamente non la licenzierei, ma i soldi che dovrei darle metterebbero a rischio la sopravvivenza del negozio. Possibile che in un Paese del G7 debba essere io, imprenditore, a sobbarcarmi il costo di una legittima scelta individuale? Secondo me no. Ma lo farò, con gioia, per il legame con le persone che lavorano nelle mie società. Non farò scontare a loro gli effetti di un sistema sbagliato. Sbagliato, nei confronti dell’imprenditore.

Stessa cosa in termini di sistema si applica agli uomini. Possibile nel 2021 che il congedo parentale sia così nettamente divisivo in termini di genere? Prendiamo i dati: nei Paesi dove i genitori sono obbligati a distribuire equamente il congedo parentale nella coppia, calano in pochi anni le discriminazioni professionali sulla donna. E cresce la natalità, si abbassa l’età media, la società ringiovanisce e aumenta il Pil pro capite. Trattasi di matematica.

2) Le persone. Viviamo in un Paese con una cultura patriarcale, dove le donne sono ancora obbligate in qualche modo a farsi carico delle responsabilità familiari. Ma se guardi nelle aziende, la maggioranza delle responsabili delle risorse umane sono donne. L’applicazione di politiche a supporto o a sfavore delle donne in maternità viene decisa da donne. Ho assistito a conversazioni, ho saputo di colloqui durante i quali delle donne chiedevano ad altre donne dati e informazioni personali, che non avevano nulla a che vedere con il lavoro. Un comportamento, peraltro, illegale. Il primo scoglio verso una posizione professionale di rilievo sono spesso le donne. Sono il primo blocco, incarnano il primo pregiudizio verso loro stesse. “Quanti figli hai?”, “quanti ne vuoi?”, “quanti anni hai?”, “sei sposata?”. Sono domande illegali, poste quasi sempre da donne ad altre donne prima dell’assunzione. Ripeto, illegali.

Infine, sposto il focus sui dipendenti. Potremmo dire che in molti Paesi è facile trovare lavoro o cambiarlo, quindi anche un licenziamento non è la fine del mondo. Mentre in Italia, spesso, ci si tiene stretto un posto di lavoro perché non c’è nessuna alternativa (nel Sud Italia per esempio). Ma quello che ho visto, più di una volta, è la mancanza di coraggio. In certi casi non abbiamo niente da perdere a cambiare, me restiamo fermi. E poi c’è una cosa: la dignità.

3) Le aziende virtuose. Ci sono e sono sempre di più, per fortuna. Certe imprese non si limitano a pagare il 20% del congedo parentale per 6 mesi, ma si fanno carico fino al 70% in più. Il motivo? Vogliono tenersi e attrarre i talenti femminili. Ci sono finanziamenti all’imprenditoria femminile. Ci sono imprenditori molto più avanti, molto più veloci e molto più generosi del sistema. Ci sono. Per favore, parliamo anche di loro. La mia lettera non vuole esprimere mancanza di solidarietà verso la ragazza licenziata. La capisco, conosco la sua pena.

Mi auguro solo che il sistema venga al più presto cambiato (ci sono i modi, nemmeno così difficili). Spero che il “costo” – se così si può chiamare – del diritto (sacrosanto) alla genitorialità venga assorbito dallo Stato e non scaricare su imprenditori sempre più in difficoltà. Lo Stato deve garantire e supportare la scelta di fare figli. E mi auguro che le donne prendano sempre più coscienza di se stesse. Che imparino a riconoscere subito i posti di lavoro tossici per fuggire prima di esserne fagocitate, anche quando rimanere sembra l’unica scelta.

Un abbraccio.

G.

 

Salvaguardare i diritti delle lavoratrici che fanno figli e andare incontro alle esigenze delle imprese, soprattutto le più piccole, è un impegno che non può più essere rimandato, hai ragione. E aveva ragione anche la ragazza licenziata, qui sta il punto.

 

 

Rimini. Ben 11 ministri al Meeting ma non l’unica ciellina di governo: Cartabia (che pensa al Colle)

Il tradizionale Meeting di Comunione e Liberazione si aprirà il prossimo 20 agosto e sarà una celebrazione in pompa magna dell’unità nazionale di Mario Draghi.

Del resto, i ciellini vanno fieri di essere stati i primi ad aver propiziato la formazione di questo governo con l’arrivo l’anno scorso a Rimini proprio dell’ex presidente della Bce. E così mezzo esecutivo si è messo in fila per partecipare ai dibattiti di questa nuova edizione dal tema “Il coraggio di dire io”, citazione dal Diario del filosofo danese Søren Kierkegaard. In tutto, i ministri saranno undici, come una squadra di calcio: Vittorio Colao, Innovazione tecnologica e Transizione digitale; la renziana Elena Bonetti, Pari opportunità; il democratico Andrea Orlando, Lavoro e Politiche sociali; Patrizio Bianchi, Istruzione; il leghista Massimo Garavaglia, Turismo; la forzista Mariastella Gelmini, Affari regionali; il demoprogressista Roberto Speranza, Salute; Maria Cristina Messa, Università e ricerca; Roberto Cingolani, Transizione ecologica; il leghista Giancarlo Giorgetti, Sviluppo economico; Enrico Giovannini, Infrastrutture. Non solo.

A inaugurare la kermesse di CL sarà il capo dello Stato Sergio Mattarella, in compagnia di Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting. Altri ospiti attesi saranno: il presidente dell’Europarlamento David Sassoli; il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni; il capo dei vescovi italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti; il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. E non è finita. Senza dimenticare lo stuolo di governatori, manager e boiardi di Stato, uno dei momenti clou sarà quello che radunerà leader e rappresentanti dei partiti principali, coordinati da Giorgio Vittadini, a capo della Fondazione per la sussidiarietà: Enrico Letta, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Ettore Rosato per Italia viva, Antonio Tajani. Unica incognita, la presenza di Giuseppe Conte per i 5S, cui l’invito è stato rivolto in queste ore dopo l’accordo con Beppe Grillo.

In questa imponente parata delle élite del Paese a Rimini (lo stesso Draghi potrebbe fare un blitz all’ultimo momento) spicca però un’assenza pesantissima. Quella dell’unica ciellina di governo, che vanta un passato di militanza nel movimento fondato da don Luigi Giussani. Cioè, la Guardasigilli Marta Cartabia. La versione accreditata in vari ambienti di Cl riferisce di un invito declinato strategicamente, tenendo presente che di solito i ministri della Giustizia sono ospiti fissi del Meeting. Come se la giurista volesse ancora una volta rimuovere i suoi trascorsi nella Fraternità, dove anche il marito ha occupato posti di responsabilità. È accaduto già con la sua ascesa a presidente della Consulta nel 2019.

Insomma, la ministra vuole costruirsi un’immagine super partes senza colori di parte, figlia nel tempo dei consigli di Sergio Mattarella e del suo predecessore Giorgio Napolitano. Per lei, l’accoglienza a Rimini non sarebbe neutra come per gli altri ministri. E vari ciellini leggono la mossa di rilanciare la sua clamorosa riforma penale in una sola direzione: “compiacere” la destra in vista della partita del Colle dell’anno prossimo, approfittando della crisi interna dei Cinque Stelle. Tutto studiato.

 

La sai l’ultima?

 

Salvinismi Insulti razzisti per l’aggressore: pensano sia senegalese invece è di Senigallia

Un’affascinante combinazione di analfabetismo funzionale e razzismo imbecille, fenomeni che non mancano di manifestarsi a braccetto. Alcuni lettori del sito “Vivere Pesaro” hanno commentato una notizia di cronaca su un cittadino di Senigallia denunciato per aggressione e si sono indignati considerandolo un atto criminale compiuto da qualche maledetto immigrato clandestino. I geni – ipotizziamo elettori di Salvini – non conoscono la differenza tra le parole “senigalliese” (di Senigallia, città delle Marche) e “senegalese” (del Senegal, stato dell’Africa). Così sotto alla notizia pubblicata su Facebook sull’aggressore senigalliese non sono mancati gli insulti a sfondo razziale e xenofobo: “Ma guarda un po’, fanno del male a un bambino ed e’ uno di colore immigrato… ma che coincidenza…”. E poi le signore Graziella e Annamaria, con i loro commenti a specchio: “A casa”. E “A CASA SUA SUBITO”. Prima gli anconetani.

 

Oristano Sgancia 9 milioni di cocaina ma sbaglia casa: arrestato il Tom Cruise di Palestrina, narco pasticcione

Ognuno ha i narcos che si merita. Questo fuoriclasse italiano ha sorvolato i cieli di Sardegna a bordo di un aereo da turismo con un carico di cocaina da 9 milioni di euro, ma ha sbagliato drammaticamente il lancio decisivo. Invece di centrare l’obiettivo – i trafficanti che aspettavano gli 8 chili e mezzo di polvere bianca nel luogo stabilito – l’Escobar dei poveri ha colpito il tetto di una villetta a Baratili San Pietro, nell’Oristanese. Non è finita bene. “Un errore che è costato caro al pilota dell’aereo – scrive il Messaggero – arrestato martedì dai carabinieri della Compagnia di Oristano dopo mesi di indagini. In manette è finito Francesco Rizzo, 28 anni, nato a Palestrina, in provincia di Roma, istruttore di volo, con tante ore alle spalle. Una storia che ricorda, in piccolo, quella di Barry Seal, pilota americano che finì al servizio dei narcos, storia raccontata nell’omonimo film interpretato da Tom Cruise”.

 

Nettuno Ruba la bandiera dell’Italia a un bimbo durante i caroselli, il padre lo insegue e gli rompe una gamba

Viva l’Italia! Viva il calcio, che ci fa sentire amici anche se non ci conosciamo! I gioiosi caroselli per la vittoria degli Europei a Nettuno, litorale tirrenico a mezz’ora da Roma, sono stati impreziositi da questa perla di nazionalissimo spirito comunitario: un diciassettenne ha rubato la bandiera dell’Italia ad un bambino, il padre del piccolo è sceso dall’auto e con una reazione assolutamente proporzionata ha rotto una gamba al giovane prepotente. “ I fatti sono avvenuti in piazza Mazzini – scrive Roma Today -. Qui, tra i veicoli che facevano i caroselli, ce n’era uno dove un bambino stava sventolando la bandiera dell’Italia fuori dal finestrino. Il piccolo ad un certo punto ha iniziato a piangere, perché un ragazzo – un 17enne – gli aveva rubato il Tricolore. Il papà è sceso dall’auto, ha rincorso il ragazzo, sferrandogli un calcio che ha provocato la frattura del perone. Il giovane, trasportato in ospedale, è stato dimesso con una prognosi di 30 giorni. Poo po po po po poo po.

 

Whatsapp Sta per arrivare l’emoji dell’uomo incinto “per celebrare l’inclusività delle persone non binarie”

Ne saranno rammaricati i detrattori del Ddl Zan e dei diritti civili di ogni latitudine; i custodi della fede terrorizzati dall’avanzata inesorabile dell’ “ideologia gender”. Ecco un’altra minacciosa conquista nella battaglia per l’emancipazione. Stavolta, in effetti, parecchio futile e pure un po’ inquietante: sta per arrivare sui nostri smartphone l’emoji dell’uomo incinto. Proprio così, presto su Whatsapp potremmo partecipare al trionfo della fluidità di genere inviando la “faccina” di un uomo – i baffi lo rendono inequivocabile – che si tiene il pancione con aria sofferente. A ben vedere, è possibile che questa emoji finisca per essere utilizzata da chi vuole sintetizzare i propri disturbi intestinali, ma il messaggio è sicuramente un altro: “Le due emoji dell’uomo e della persona incinti sono nuove – scrive il portale Libero Tecnologia – e riconoscono che la gravidanza è possibile per alcuni uomini transgender e per le persone non binarie”. Quasi quasi viene da dare ragione a Renzi.

 

Torino Blocca gli accessi al commissariato per protesta: “Sono stufo, non posso più spacciare negli orari migliori”

La protesta di questo brillante pusher, un 25enne originario del Marocco, contiene in sé la scintilla del genio: domenica 11 luglio il ragazzo si è presentato al commissariato di polizia di Madonna di Campagna, a Torino, chiedendo di essere arrestato “perché ‘stufo’ di non poter spacciare negli orari che lui riteneva ‘più congeniali’ a causa dell’obbligo di firma a cui era sottoposto”, come scrive Torino Today. Gli agenti hanno provato a ignorarlo all’inizio, ma poi si sono dovuti arrendere: il 25enne “è rimasto nelle vicinanze del commissariato, ribadendo le sue intenzioni. E iniziando a bloccare l’accesso agli altri utenti, per protesta”. Il giovane è stato quindi denunciato per “interruzione di pubblico servizio, resistenza e minaccia a pubblico ufficiale, rifiuto di fornire le proprie generalità”. Ma il suo obiettivo era davvero essere arrestato: per realizzarlo ha dovuto aggredire fisicamente gli agenti che provavano a portarlo via. A quel punto è finito in manette per “violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale”. Missione compiuta.

 

Cesena Dopo un rave e uno smodato consumo di droghe sintetiche “vede i draghi” e tutto nudo picchia 5 persone

Stati di allucinazione: i giornalisti italiani vedono Draghi ovunque. Hanno assunto la droga dell’amore, è un trip meraviglioso: gli attribuiscono anche le vittorie di calciatori e tennisti. E poi ci sono più ortodossi consumatori di sostanze, come lo psiconauta del rave di Cesena che dopo l’ennesima pasticca ha cominciato a “vedere i draghi” – ma proprio i dragoni tipo Game of Thrones – e in preda al delirio ha iniziato a picchiare chiunque gli capitasse sotto mano. Lo racconta il Corriere Romagna: “Completamente sballato dall’assunzione di droghe sintetiche, dopo una notte passata ad un rave. Il pomeriggio successivo, ancora sotto l’effetto di allucinogeni, ha aggredito due anziani che intendevano soccorrerlo, mandandoli all’ospedale. Prima di essere bloccato ha anche picchiato un infermiere del 118 che si era recato sul posto per aiutare lui ed i feriti e due agenti di polizia che solo dopo una lunga lotta sono riusciti a bloccarlo”. Questa battaglia contro i draghi, il 30enne cesenate l’ha combattutta completamente nudo. Eroe.

 

Porto Recanati Trovano del rosmarino negli spaghetti alle vongole e provano ad andare a menare il cuoco

La battaglia è giusta nel principio, forse deprecabile nei modi. Alcuni turisti di Spoleto hanno trovato del rosmarino nel loro spaghetto alle vongole, consumato in un ristorante di Porto Recanati. Una violenza in effetti inaccettabile nei confronti di uno dei piatti più buoni del mondo, che si condisce rigorosamente col prezzemolo. La reazione degli avventori è stata funesta: hanno tentato di aggredire fisicamente il cuoco. “Erano a pranzo quando a un certo punto, probabilmente per non pagare il conto – racconta a Leggo il titolare del locale – hanno trovato la scusa del rosmarino che noi utilizziamo negli spaghetti alle vongole per alzare i toni con i nostri camerieri, sostenendo che quel condimento non andava bene”. Dopo la protesta hanno tentato il blitz in cucina. “Per fortuna – prosegue il testimone – io e altri due ci siamo messi a difesa della porta di servizio e non li abbiamo fatti entrare. A un certo punto le acque si sono calmate. I clienti hanno pagato il conto e se ne sono andati lasciando una recensione negativa”. Quella almeno ci sta tutta.

Johnson si isola, ma riapre Macron, green pass a metà

Prima, il no all’isolamento, con la promessa di sottoporsi a test quotidiani. Poi Boris Johnson ci ripensa e si mette in quarantena. A far fare dietrofront al premier britannico – che è più volte entrato in contatto con il ministro della Salute, Sajid Javid, risultato positivo al Covid, sono state le polemiche e gli attacchi al suo annuncio di ieri in base al quale avrebbe “aderito al programma pilota del Sistema sanitario nazionale per poter continuare a lavorare a Downing Street sottoponendosi a controlli continui”, la stessa scelta fatta dal cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, anche lui contatto di positivo.

Un “trattamento speciale ed esclusivo” secondo l’opposizione laburista se paragonato all’obbligo imposto ai lavoratori britannici costretti a casa per 10 giorni. Così Johnson trascorrerà la quarantena nella residenza a Chequers. Ma le polemiche contro il suo governo non sono finite. Con 48 mila infezioni contate ieri trainate dalla variante Delta, il premier ha annunciato comunque il rispetto del calendario delle riaperture per dare il via libera oggi alle attività rimaste chiuse come i locali notturni, allentare le limitazioni per cinema, teatri, eventi pubblici, matrimoni o funerali, così mettere fine all’obbligo di mascherina al coperto e al distanziamento. “Johnson continua con i suoi esperimenti sul Covid alle spalle dei cittadini inglesi ed europei”, titolava ieri il sito della Cnn, dopo le immagine degli spalti del Gran Premio di Formula 1 di Silvesrtone al quale hanno assistito ieri 140 mila persone, senza distanziamento e senza mascherina. Neil Ferguson, professore dell’Imperial College e membro del Sage, organismo consultivo che assiste il governo sull’emergenza, ha lanciato l’allarme sulle conseguenze del “giorno della libertà”, avvertendo che sarà “quasi inevitabile” che le infezioni raggiungano i 100 mila casi al giorno.

Se in Inghilterra fa paura la variante Delta, in Francia l’allerta è per la Beta, quella proveniente dal Sudafrica. Per frenare i contagi, il presidente Emmanuel Macron ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari nonché il green pass per treni, ristoranti, bar, luoghi pubblici ed eventi. Decisione questa che gli è valsa le manifestazioni in piazza di sabato capeggiate dai no-vax. La misura, che verrà approvata oggi in Consiglio dei ministri, è stata spiegata nei dettagli ieri dal ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, che ha rassicurato le aziende annunciando che il documento anti-Covid sarà obbligatorio solo per i centri commerciali con una superficie di 20 mila metri quadrati. Tra le altre misure adottate da Macron c’è il tampone per chi arriva in Francia da Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Cipro e Portogallo, anticipato alle ultime 24 ore, così come avviene in Gran Bretagna per chi proviene da Parigi a causa della variante Beta. Quest’ultima in Italia – dove ieri si sono registrati 3.127 nuovi contagi su 165.269 tamponi con un tasso di positività che sale all’1,9% dall’1,3 di sabato e 3 morti – al momento non c’è. A preoccupare, invece, sono i giovani, tra i quali, vista l’impennata dei casi nelle ultime settimane si sta registrando un numero crescente di infezioni e sintomi spesso più seri, dato presente anche in Spagna, dove alle isole Canarie si sono registrati 560 nuovi casi, quasi tutti riguardanti ragazzi tra i 20 e i 29 anni. Un quadro destinato a peggiorare per effetto delle varianti e che ha indotto il governo Draghi a pensare a un green pass all’italiana, sul quale l’esecutivo deciderà in settimana.

Inizialmente scettici, ma ora d’accordo con il documento anti-Covid si dicono gli operatori del turismo, preoccupati che dopo un inizio di stagione positivo per il settore, la risalita dei casi possa mettere a rischio le prenotazioni, come sta accadendo in Grecia, dove le disdette superano le prenotazioni. A frenare le partenze per l’estero è il timore di restare bloccati dai contagi nelle mete di vacanze. In questo contesto gli operatori italiani guardano con favore al possibile uso allargato del green pass, ma chiedono che “i controlli non vengano scaricati sui gestori” e che il governo continui a sostenerli.

Fuori dall’Europa il caso è quello del Giappone, dove oltre al primo contagio nel villaggio a delle Olimpiadi, ieri sono risultati positivi anche due atleti sudafricani. I guai non sono solo sportivi, ma anche interni, con più del 30% della popolazione che chiede la cancellazione dei Giochi e un 87% preoccupata sull’organizzazione olimpica. A Tokyo infatti, negli ultimi cinque giorni l’andamento delle infezioni è salito fino ai 1.400 casi di sabato, con solo il 20,4% della popolazione giapponese immunizzata.

“Il Bello, il brutto, e il mistero glorioso dell’uomo politico”

Qual è il brutto e il bello della politica? Quando è buona e quando invece è cattiva? Quand’è che il politico si sente utile e quando invece pensa che la società possa fare a meno di lui?

Rispondono due uomini e una donna, tutti e tre parlamentari.

Lei è Licia Ronzulli. Cura per Forza Italia i rapporti con Matteo Salvini. Porta la voce e le intese di Silvio Berlusconi.

Lui è Gianfranco Rotondi, amabile e attempato democristiano con attuale galleggiamento nel centrodestra. Il potere lo vide da vicino. Passato remoto.

L’altro è Erasmo Palazzotto. Il più giovane e il più a sinistra di tutto l’arco costituzionale. Deputato con Leu.

Lui “La politica amplifica i sentimenti della vita. Non c’è paragone con gli altri mestieri. Chi ha passione per la politica non pensa a null’altro, da mattina a sera. E non è una devoluzione sempre interessata, non è solo questione di poltrone o di potere, che certo esistono. È proprio una destinazione naturale dell’esistenza. Siamo diversi”.

Lei “Ogni giorno ti trovi a contatto con qualcuno o qualcosa che ti fa emozionare o deprimere. Non puoi fingere e spesso non riesci proprio a fregartene. Sei presa da quel bisogno, o da qual dramma o da quell’ingiustizia. Ti senti perciò investita di un potere differente, o che appare tale, ed è una gratificazione unica”.

L’altro “Ho sempre pensato che la politica sia un atto di egoismo. Io fantasticavo un mondo più giusto, più vero, più equo nella distribuzione della ricchezza. Fare politica risponde a questo mio bisogno, a questo mio egoismo. Mi piace pensare che sto costruendo con la mia briciola un mondo migliore”.

Lui “Se non ci fosse una passione sconfinata io non mi sarei venduto casa per onorare un debito contratto con il centrodestra. E l’ho venduta senza piangere, senza dolermene. Avevo firmato una fidejussione, improvvisamente è mancato il finanziamento pubblico e io che ero garante ho dovuto garantire. Qualche altro sarebbe scappato via. Io no, mai”.

Lei “Fare politica è un po’ fare la psicologa di massa”.

L’altro “Ho salvato in mare 59 disperati che fuggivano dall’Africa quando ero capomissione di Mediterranea. Cinquantanove vite salvate, c’è qualcosa di più bello e unico?”.

Lui “Ma la politica amplifica anche in negativo”.

Lei “A volte il litigio diviene una bolla dentro cui finiamo tutti. Il litigio come tratto comune, esigenza della personalità. Non si discute o si litiga sulle cose, se buone o se invece no. Si litiga per senso estetico, per bisogno infantile. Una sorta di capriccio collettivo. Allora mi dico che facciamo un po’ pena”.

L’altro “Leggere le cronache politiche è veramente penoso. Mi stanco, mi scoccio, mi dico: ma che mondo è?”.

Lui “I miei colleghi, naturalmente più giovani, non sanno che la politica amplifica anche i sentimenti negativi. Una cosa brutta nella vita normale in politica diviene bruttissima. La politica tende ad estremizzare la ragione e rifiutare l’equilibrio. Si parla per iperboli. Si contesta, si cancella, si offende, a volte si umilia. Come se fosse naturale”.

Lei “Sacrifichiamo tutta la vita privata”.

L’altro “So che è un tempo che poi finirà. Il potere ti ammalia certo, ma è vero che le lusinghe te le vai a cercare”.

Lui “Il tempo non finisce mai, la politica ti accompagna fino alla tomba. Più del potere a me eccita il pensiero (ma non nego che il potere affascini e corroda il pensiero)”.

Lei “A volte rinunci alle tue cose, alla tua intimità, finanche ai figli. Corri di qua e di là. Certo il potere dà una bella spinta. Ma perché dev’essere brutta questa cosa?”.

L’altro “Mica non so che non sarò più parlamentare? La vita continua…”.

Lui “Allora non conosci la storia di Fiorentino Sullo, nobile democristiano di Avellino. Lasciò per screzi la Dc per passare al Psdi. Giorgio Bocca si trovò ad ascoltare un suo comizio e scrisse: non capisco come una persona intelligente e anche colta, per di più deputato alla Costituente, possa passare il tempo a rappresentare un partito che non esiste in un posto che non esiste. Bocca aveva descritto il mistero glorioso della politica”.

Il Sid, le trame e i neofascisti: a quasi 100 anni è morto Maletti

È un nome che risuona come un lampo: Gian Adelio Maletti e subito la mente va alla strategia della tensione. Il generale che rappresenta un segmento drammatico del 900 italiano se ne è andato in assoluto silenzio lo scorso giugno, come conferma al Fatto la sua compagna Sue Christie che non ha voluto fornire altri particolari. Viveva a Johannesburg dal 1987, scappato dalle condanne per vari depistaggi.

Nato a Milano il 30 settembre 1921 ma di famiglia torinese, da cui forse il suo tratto sabaudo, freddo e aristocratico, nel 1971 diventa capo del nostro controspionaggio all’epoca del vecchio Sid. Passato per l’accademia di Modena, che forma ancora oggi le élite dei vertici militari, compagno di corso di una eminenza grigia come Eugenio Cefis, Maletti si impone nell’apparato come un innovatore, forte dell’addestramento avuto dai servizi segreti israeliani e tedeschi: fonda il Nucleo operativo che funzionerà in piena autonomia del resto del Servizio, lo affida alla direzione di un uomo totalmente diverso da lui, il capitano Antonio Labruna, un napoletano molto simpatico. Tra i due si stabilisce una forte collaborazione che li porterà entrambi ad essere condannati per aver aiutato l’espatrio di alcuni neofascisti.

Quando arriva al Sid non è affatto uno sconosciuto nell’ambiente, ha una fama poco rassicurante. È noto per essere amico dei colonnelli greci con i quali consolida i suoi legami quando è ad Atene come addetto militare. Nel 1968 si trova proprio lì quando il Sid organizza il famigerato viaggio d’istruzione per circa 200 fascisti italiani guidati da Pino Rauti, Stefano delle Chiaie e Mario Merlino. Epico lo scontro che lo ha sempre contrapposto al capo del servizio, Vito Miceli, di natura personale ma soprattutto espressione di due linee di tendenza diverse nel mondo dei Servizi occidentali. Non sapremo mai molte cose che lo riguardano, soprattutto chi gli dava gli ordini.

I giudici amministrativi in rivolta contro Frattini

Oplà. Nel giro di poche settimane l’ex ministro berlusconiano Franco Frattini ha fatto bingo: prima lo hanno nominato per anzianità di ruolo presidente aggiunto del Consiglio di Stato e che importa se la gran parte della carriera l’ha trascorsa invece al servizio del Cav. Adesso nel governo e pure in Parlamento c’è chi briga per dargli un’altra medaglia facendolo diventare anche membro di diritto dell’organo di autogoverno della giustizia amministrativa. Grazie a un allargamento del plenum in odore di incostituzionalità che favorisce in ultima battuta gli alti vertici di Palazzo Spada e la componente di nomina politica e invece emargina i membri eletti dai magistrati, come lamentano le associazioni di categoria che infatti sono sul piede di guerra. La posta in palio è altissima. C’è chi tira in ballo i sacri principi e chi questioni più profane: tutti giurano che con questo barbatrucco si determinerà una sorta di oligarchia messa in condizione di fare il bello e cattivo tempo. A suon di avanzamenti di carriera, attribuzioni di incarichi strategici e lautamente retribuiti e perché no sicuri lasciapassare in favore dei consiglieri di Stato di nomina governativa.

E così l’emendamento che interviene sul plenum alterandone l’attuale composizione, presentato al Senato da Valeria Valente del Pd, relatrice del decreto “recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e per l’efficienza della giustizia”, ha scatenato un putiferio. Il 50 per cento dei membri dell’organo di autogoverno ha minacciato le dimissioni nel caso venga approvato perché “l’innesto di due membri di diritto (il presidente aggiunto del Consiglio di Stato ossia Frattini e il presidente del tribunale amministrativo regionale con maggiore anzianità di servizio, attualmente Domenico Giordano del Tar Lombardia, ndr) in un organo formato da 15 componenti altera i rapporti tra le rappresentanze di fatto introducendo una sorta di componente gerarchica nell’organo di autogoverno con inevitabile compromissione della autonomia e indipendenza di questa magistratura”.

Il 90 per cento dei magistrati amministrativi in servizio ha proclamato lo stato di agitazione: secondo il sindacato Anma “la novità è volta a incidere su delicatissimi equilibri di rilievo costituzionale veicolato peraltro in un decreto che ha tutt’altro oggetto e tutt’altri obiettivi”. Per il direttivo del Coordinamento nuova magistratura amministrativa (Conma) parla Raffaele Greco: “Il nostro settore è una polveriera pronta a esplodere in una situazione che era già di forte conflittualità determinata dall’attuale emarginazione dei giudici del Tar”.

Insomma il sistema della giustizia amministrativa è in fibrillazione per il blitz che agevola le alte gerarchie di Palazzo Spada e pure i disegni di Palazzo Chigi. Un film già visto cinque anni fa, quando a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi e a spingere per un analogo emendamento era stato David Ermini, allora parlamentare del Pd e poi promosso vicepresidente del Csm. Ma a Draghi chi saprà dire di no?

“Amnistia occulta che favorisce i colletti bianchi”

“La riforma Cartabia rischia di diventare un’amnistia mascherata: ogni volta che scatterà l’improcedibilità, lo Stato avrà fallito e la giustizia non fornirà più un servizio ai cittadini”. Luca Tescaroli, 56 anni, è procuratore aggiunto a Firenze e prevede un futuro a tinte fosche per la giustizia in Italia se la riforma del processo penale sarà approvata dal Parlamento. Da oltre 30 anni, prima a Caltanissetta dove è stato pm del processo sulla strage di Capaci, poi a Roma e Firenze, Tescaroli persegue i reati della criminalità organizzata e contro la pubblica amministrazione, ma il rischio è che la riforma crei sacche di impunità tra i colletti bianchi: “Il pericolo è concreto mettendo a rischio anche la nostra democrazia”.

Procuratore qual è il suo giudizio sulla riforma Cartabia?

Apprezzo lo sforzo che è stato fatto dalla commissione Lattanzi e dal ministro che hanno offerto delle soluzioni, ma mi chiedo se l’obiettivo di assicurare il servizio della giustizia ai cittadini sia raggiunto. Ai cittadini interessa, in tempi ragionevoli, sapere se un imputato è innocente o colpevole. In caso contrario, lo Stato ha fallito e la giustizia non fornisce più un servizio utile. Il primo problema è la nuova prescrizione.

Abolita la legge Bonafede che la bloccava dopo il primo grado, gli altri due gradi di giudizio si devono celebrare in 3 anni. Altrimenti scatta l’improcedibilità.

C’è il rischio che venga vanificato l’esito di molti procedimenti. Le procure sono in difficoltà perché manca il personale e molte Corti d’Appello, 11 in tutta Italia, non potranno più celebrare i processi perché hanno carenze di organico che andava potenziato: una riforma andrebbe fatta in relazione alle risorse che si hanno, non viceversa. Così si rischia un’amnistia mascherata inaccettabile. Anche perché l’improcedibilità scatta dopo 2 anni e un giorno anche per quei reati gravi che hanno tempi di prescrizione più lunghi: rapine, estorsioni e molti altri rischiano di non essere più puniti.

Lei si occupa dei reati dei colletti bianchi: questa riforma è un favore a loro?

Sì, questo rischio è concreto perché quei delitti rischiano l’improcedibilità. Il problema è che i reati dei colletti bianchi incidono sulla nostra democrazia.

Si doveva mantenere la Bonafede?

Era una soluzione. Io penso che una volta che si esercita l’azione penale la prescrizione vada bloccata.

Quale soluzione propone ora?

Il male minore sarebbe una norma transitoria per evitare che il nuovo regime di prescrizione entri in vigore da subito producendo un’amnistia. Ma spero che venga modificata…

In che modo?

È necessario aumentare gli organici e la possibilità di accedere ai riti alternativi, ma anche una coraggiosa depenalizzazione per sfrondare i processi dai reati che potrebbero essere puniti più adeguatamente con sanzioni amministrative. Servirebbe una riforma di sistema e speriamo non sia un’altra occasione persa.

Riti alternativi, c’è una modifica: sotto i 6 anni nessuno andrà più in carcere.

È rischioso perché così nessun colletto bianco andrà più in carcere. Con un effetto disastroso perché verrebbe meno l’effetto di deterrenza: questi criminali sono calcolatori che soppesano rischi e benefici. Prima di intascare mazzette, un corrotto si chiede: cosa rischio? Se è qualche anno ai servizi sociali invece che il carcere, potrebbe anche decidere di correrlo.

Con questa riforma la priorità dei reati da perseguire sarà decisa dal Parlamento.

È una norma molto pericolosa perché per la prima volta il potere legislativo controllerebbe quello giudiziario incidendo sull’obbligatorietà dell’azione penale.

Oggi è l’anniversario della strage di Via D’Amelio: con questo meccanismo c’è il rischio che i reati di mafia siano considerati secondari?

Sì, in futuro una maggioranza potrebbe chiedere di non dare priorità ai delitti di mafia e terrorismo. Così saremmo costretti a non perseguire mafiosi e terroristi in via prioritaria.

Giustizia, Conte fa asse con Letta. Se Draghi insiste, parola alla base

Alle 11, a palazzo Chigi, più che da leader di partito ha intenzione di presentarsi come giurista. Per convincere “dal punto di vista tecnico” e non “identitario” che la riforma Cartabia, così com’è, non regge. Nel faccia a faccia con Mario Draghi in programma per questa mattina, insomma, Giuseppe Conte insisterà soprattutto sulla questione dell’improcedibilità – le nuove norme prevedono che, se entro due anni l’appello non si chiude, il processo salta, ndr – che poi è l’aspetto su cui si stanno concentrando le principali critiche dei magistrati italiani. A cominciare da quelle del loro presidente, Giuseppe Santalucia, che in audizione alla Camera, tre giorni fa è arrivato a definire la nuova prescrizione uno “strumento eliminatorio dei processi”, al punto che – secondo i calcoli dell’Anm – la riforma farebbe andare al macero 150 mila procedimenti in corso.

Sono state proprio le audizioni dei magistrati ad aver convinto anche il Pd a far arrivare a Draghi tutte le perplessità che la riforma lascia senza risposta. Non è un caso che ieri, il segretario dem Enrico Letta, su Repubblica abbia aperto a degli “aggiustamenti” e abbia sottolineato come sia un “dovere” del Parlamento intervenire per migliorare il pacchetto di misure votato dal governo.

L’irritazione per i tempi strettissimi con cui la Camera è chiamata ad esaminare il provvedimento (che dovrebbe andare in Aula già questa settimana) è ormai diffusa e i 5 Stelle, a questo punto, sperano di poter fare asse con Pd e Leu per riportare Draghi a più miti consigli: “Si troveranno le giuste soluzioni”, ha ribadito ieri sera Letta alla festa dell’Unità di Roma.

Non sarà esattamente una passeggiata, visto che il premier, sul tema, è piuttosto intransigente. “Prendere o lasciare”, aveva già detto ai ministri grillini che ventilavano l’astensione in Cdm, salvo poi decidersi a votare sì dopo i “consigli” di Beppe Grillo. Ma ora Conte ha deciso di ufficializzare proprio sulla questione della giustizia la fine della “diarchia” interna al Movimento. Lui la riforma così non la vota, ripete ai suoi. E conta di far leva sui risvolti tecnici della faccenda, ovvero sui suoi trascorsi professionali, per rompere le rigidità del premier: “Io sono consapevole che siamo in una nuova maggioranza e che non possiamo essere ideologici e arroccarci sulla difesa della legge Bonafede – ragiona l’avvocato –. Ma l’importante è che si trovi un modo, e si può trovare, per evitare che i processi vadano in fumo”. Porterà le sue proposte, Conte. E se Draghi dovesse tirare dritto e magari decidere di mettere la fiducia sul provvedimento, sarà lui a prendersi la responsabilità di questo gesto, è il senso delle riflessioni che l’ex premier sta facendo in queste ore. Conte ripete ai suoi – a cominciare dai ministri – che non ha intenzione di far cadere il governo, anche perché gli serve tempo per ricostruire il Movimento provato dalle lunghissime fibrillazioni interne. Ma vuole (e deve) ottenere qualcosa dal confronto con Draghi. Altrimenti, interpellerà i gruppi parlamentari e la base del Movimento. Cioè gli iscritti, che cinque mesi fa votarono in maggioranza Sì all’ingresso nel governo, ponendo tre condizioni “imprescindibili”: il “Superministero della Transizione ecologica”, la difesa del reddito di cittadinanza e l’indisponibilità a cambiare la riforma della prescrizione così com’era stata concordata dai giallorosa (quella nata dall’”accordo precedentemente raggiunto con Pd e LeU, oltre il quale il M5S non è disposto ad andare”). A Draghi, stamattina, Conte proverà a spiegare che – col senno di poi – la corda si è già tirata parecchio.

Ma mi faccia

L’estremo oltraggio. “Noi non dimentichiamo: il Tuca Tuca era il progenitore del Bunga Bunga” (Giuliano Ferrara, Foglio, 6.7). A dir cazzate comincia tu. Com’è bello dir cazzate da Trieste in giù.

Il segreto di Pulcinella. “Davigo indagato a Brescia per rivelazione di segreto sul caso dei verbali di Amara” (Corriere della sera, 11.7). Quindi, siccome avvertì Ermini, che avvisò Mattarella, sono indagati anche Ermini e Mattarella?

Sveglio, il ragazzo. “Cuba era un sogno, ma è diventato un incubo. La rivoluzione di Castro e del Che sprigionava libertà, fantasia: al tempo la vedevamo con gli occhiali rosa. E sulla repressione del regime troppi silenzi a sinistra” (Sergio Staino, Repubblica, 18.7). Però, che prontezza di riflessi.

Quando c’era Lui. “Da quando è arrivato #Draghi l’Italia ha vinto l’#Eurovision2021 con i #Maneskin, gli #Europei2021 con la #Nazionale ed è arrivata in finale a #Wimbledon con Matteo #Berrettini. L’Italia riparte dopo la pandemia, viva l’Italia di #Draghi” (Massimo Ungaro, deputato Iv, Twitter, 12.7). Quindi fammi capire: Draghi ha perso la finale di Wimbledon?

È venuto giù l’Armando. “Il giusto equilibrio tra processi rapidi e garanzie. Se questo la riforma Cartabia centra il punto” (Armando Spataro, Stampa, 12.7). Li ammazza stecchiti, e rapidissimamente.

Affinità elettive. “Dialogare? Meglio la Lega del Pd” (Ettore Rosato, presidente Iv, Libero, 8.7). “Meglio Iv dei 5Stelle” (Riccardo Molinari, capogruppo Lega alla Camera, 8.7). “Porte spalancate per Salvini su giustizia e ddl Zan” (Roberto Giachetti, deputato Iv, Verità, 12.7). Dio li fa e poi li accoppia.

Povera stella. “Cingolani: un’imboscata contro di me. Ira del ministro per i veti sul Recovery. Dopo il voto contrario in Commissione di Pd e M5S sull’iter delle grandi opere” (Corriere della sera, 18.7). Gioia, non si chiama imboscata: si chiama Parlamento

Premio Nobili. “Carlo Fuortes è un manager culturale di livello internazionale. Il suo nome è legatobvc ad una @@m@. I stagione di successo dell’ tu bv k roba” (Luciano Nobili, deputato Iv, beccato da @ferrazza, Twitter, 9.7). Lo portano via.

Canti Orfinici. “La confluenza coi 5S è fallita. Meglio così. Ora ricostruiamo il Pd” (Matteo Orfini, deputato Pd, Riformista, 15.6). Ci si vede dal solito notaio?

Senti chi parla. “Così Draghi ha fatto inceppare i lottizzatori di Viale Mazzini” (Stefano Balassone, ex vicedirettore Rai3, ex Cda Rai, Domani, 16.7). Draghi e quelli che lottizzarono Balassone invece non erano lottizzatori. La lottizzazione è sempre quella degli altri.

Senti chi pirla. “Io non mi piego alla logica dei sondaggi e degli influencer” (Matteo Renzi, leader Iv, pubblicità del suo libro, Repubblica, 16.7). Specialmente ora che li ha tutti contro.

Verderabbia. “Resta infine da capire se Salvini ha fatto un tuffo nella nuova piscina di casa Renzi a Firenze. In quel caso avrà notato che sul fondo della vasca c’è una scritta: ‘Costruita con il contributo di Marco Travaglio e altri’. Sono i soldi delle querele vinte” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 10.7). Purtroppo M. R. non ha mai vinto una sola querela contro il sottoscritto. Quindi sarà una piscina senz’acqua.

I giudici Ossimoro. “Magistratura democratica: ‘Riforma? Prima l’amnistia’” (Riformista, 13.7). “Tribunali in tilt. Serve l’amnistia” (Cristina Ornano, Gip a Cagliari e presidente della corrente Area, Riformista, 14.7). “Guardiamo all’amnistia per una giustizia penale meno ‘carcerocentrica’” (Stefano Musolino, pm antimafia a Reggio Calabria e futuro segretario di Md, Dubbio, 15.7). È il sogno di tutti i magistrati: “L’imputato è colpevole, chiedo il massimo dell’impunità”.

La voce grossa. “Licenziamenti, il governo chiamerà le multinazionali. Orlando e Giorgetti vogliono convocare Gkn e Gianetti” (Repubblica, 12.7). “Ehi, ragazzi, tutto bene a casa?”.

Mai più senza. “Luciano Violante rilegge la tragedia di Clitemnestra e la porta in teatro con un suo testo. ‘Vogliamo giudici con l’anima’” (Foglio, 17.7). Mo’ me lo segno.

L’erba del vicino. “Il Fatto quotidiano era sopra le 100.000 copie e ora è a 25.000” (Roberto D’Agostino, Verità, 17.7). Il Fatto ora è a 58.000 copie vendute giornaliere, con un +47% in un anno: e Dagospia?

Il titolo della settimana/1. “Stop allo scandalo delle indagini segrete. Svolta. Nella riforma Cartabia un freno allo strapotere dei pm: chi è nel mirino dovrà essere avvisato dell’inchiesta” (Giornale, 17.7).Così può fuggire o inquinare le prove per tempo.

Il titolo della settimana/2. “Renzi si autodenuncia: ‘Noi della sinistra abbiamo messo due nomi inadeguati al vertice del Csm’” (Giornale, 12.7). Noi della sinistraahahahahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “Vogliono impedire di presentare ‘Il Sistema’ nelle piazze: Palamara come Dreyfus” (Giornale, 17.7). E Sallusti come Emile Zola.