I colloqui fuorilegge delle donne al comando: “Vuoi avere figli?”
Cara Selvaggia, ho letto la lettera della scorsa settimana, quella della lavoratrice mandata a casa dopo la fine del blocco dei licenziamenti per via di una colpa non detta: avere un figlio. Parole Dolorose. Ci sono dei però. Sono socio di un’azienda e spiegherò dettagli che in troppi giudicano irrilevanti. Racconterò ciò che vivo nel quotidiano, nel sistema, tra le persone che conosco, nelle conversazioni che ascolto.
1) Il sistema. Cominciamo dai contratti collettivi, cercherò di semplificare senza banalizzare. La maternità è un diritto, sacrosanto, dell’individuo. Ma perché nel 2021 la maternità deve essere ancora un costo per le aziende? Perché nel Contratto collettivo del commercio, ad esempio, è previsto che sia il datore di lavoro a pagare il 20% del congedo parentale di un dipendente? Se prendiamo un’ azienda solida, con un flusso di cassa costante come gli utili positivi, la maternità rappresenta un costo, ma facilmente assorbibile. Nella mia società la maternità non è solo un costo (facile da gestire), bensì un evento da valorizzare in tanti modi: con un premio da 1200 euro; con un welfare aziendale da 2000 euro a dipendente (10 volte quanto previsto dal Contratto collettivo) per pagare asilo o babysitter; con l’assunzione di una director all’ottavo mese di gravidanza (posso dimostrare tutto, nero su bianco). Ma è facile, l’azienda è solida, le nostre casse sono ricche e io posso decidere di prendere gli utili, metterli in tasca mia, oppure ridistribuirli in questo modo. Prendiamo invece il mio negozio a Milano: 30mila euro di perdita (causa Covid) e vendite che stentano a ripartire; ma costi fissi che sono un’emorragia inarrestabile. In tal caso ogni euro conta. Se la ragazza che lavora da me rimanesse incinta, ovviamente non la licenzierei, ma i soldi che dovrei darle metterebbero a rischio la sopravvivenza del negozio. Possibile che in un Paese del G7 debba essere io, imprenditore, a sobbarcarmi il costo di una legittima scelta individuale? Secondo me no. Ma lo farò, con gioia, per il legame con le persone che lavorano nelle mie società. Non farò scontare a loro gli effetti di un sistema sbagliato. Sbagliato, nei confronti dell’imprenditore.
Stessa cosa in termini di sistema si applica agli uomini. Possibile nel 2021 che il congedo parentale sia così nettamente divisivo in termini di genere? Prendiamo i dati: nei Paesi dove i genitori sono obbligati a distribuire equamente il congedo parentale nella coppia, calano in pochi anni le discriminazioni professionali sulla donna. E cresce la natalità, si abbassa l’età media, la società ringiovanisce e aumenta il Pil pro capite. Trattasi di matematica.
2) Le persone. Viviamo in un Paese con una cultura patriarcale, dove le donne sono ancora obbligate in qualche modo a farsi carico delle responsabilità familiari. Ma se guardi nelle aziende, la maggioranza delle responsabili delle risorse umane sono donne. L’applicazione di politiche a supporto o a sfavore delle donne in maternità viene decisa da donne. Ho assistito a conversazioni, ho saputo di colloqui durante i quali delle donne chiedevano ad altre donne dati e informazioni personali, che non avevano nulla a che vedere con il lavoro. Un comportamento, peraltro, illegale. Il primo scoglio verso una posizione professionale di rilievo sono spesso le donne. Sono il primo blocco, incarnano il primo pregiudizio verso loro stesse. “Quanti figli hai?”, “quanti ne vuoi?”, “quanti anni hai?”, “sei sposata?”. Sono domande illegali, poste quasi sempre da donne ad altre donne prima dell’assunzione. Ripeto, illegali.
Infine, sposto il focus sui dipendenti. Potremmo dire che in molti Paesi è facile trovare lavoro o cambiarlo, quindi anche un licenziamento non è la fine del mondo. Mentre in Italia, spesso, ci si tiene stretto un posto di lavoro perché non c’è nessuna alternativa (nel Sud Italia per esempio). Ma quello che ho visto, più di una volta, è la mancanza di coraggio. In certi casi non abbiamo niente da perdere a cambiare, me restiamo fermi. E poi c’è una cosa: la dignità.
3) Le aziende virtuose. Ci sono e sono sempre di più, per fortuna. Certe imprese non si limitano a pagare il 20% del congedo parentale per 6 mesi, ma si fanno carico fino al 70% in più. Il motivo? Vogliono tenersi e attrarre i talenti femminili. Ci sono finanziamenti all’imprenditoria femminile. Ci sono imprenditori molto più avanti, molto più veloci e molto più generosi del sistema. Ci sono. Per favore, parliamo anche di loro. La mia lettera non vuole esprimere mancanza di solidarietà verso la ragazza licenziata. La capisco, conosco la sua pena.
Mi auguro solo che il sistema venga al più presto cambiato (ci sono i modi, nemmeno così difficili). Spero che il “costo” – se così si può chiamare – del diritto (sacrosanto) alla genitorialità venga assorbito dallo Stato e non scaricare su imprenditori sempre più in difficoltà. Lo Stato deve garantire e supportare la scelta di fare figli. E mi auguro che le donne prendano sempre più coscienza di se stesse. Che imparino a riconoscere subito i posti di lavoro tossici per fuggire prima di esserne fagocitate, anche quando rimanere sembra l’unica scelta.
Un abbraccio.
G.
Salvaguardare i diritti delle lavoratrici che fanno figli e andare incontro alle esigenze delle imprese, soprattutto le più piccole, è un impegno che non può più essere rimandato, hai ragione. E aveva ragione anche la ragazza licenziata, qui sta il punto.