Il Reddito di cittadinanza ha poco più di due anni di vita. E mai, come ora, è stato sotto attacco. Matteo Renzi vuole abrogarlo via referendum, insieme con il centrodestra. Confindustria non l’ha mai digerito. Il Pd, dopo aver lasciato campo al M5S sul tema, fatica a difenderlo. Così la più grande misura anti-povertà della storia italiana rischia di finire stritolata dalle difficoltà dei 5 Stelle.
Se pure l’assalto fallisse, però, il rischio è che tutto resti com’è. Invece il Rdc potrebbe “coprire” molti poveri in più: ne andrebbero però corretti i difetti che neppure i suoi detrattori conoscono. La Lega, per dire, ignora che la misura, com’è costruita, penalizza il Nord e preferisce concentrarsi sul disincentivo al lavoro (l’“effetto divano”) dove invece gli studiosi trovano ben pochi difetti. Per capirlo basta sfogliare il monitoraggio appena pubblicato dalla Caritas, il più completo uscito finora sulla misura. Il coordinatore scientifico, Cristino Gori, docente dell’Università di Trento, è membro della commissione per valutare la misura presieduta dalla sociologa Chiara Saraceno e nominata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Il rapporto della task force è lontano, ma basta sfogliare quello della Caritas per capire ciò che si può fare. “Le regole “anti-divano” sono le più rigide d’Europa – spiega Gori –. Tutti gli esperti sanno che il problema non sta lì. Chi contesta la misura solo sul fronte delle politiche attive non conosce affatto i dati”.
La prima cosa da chiarire è che la misura (8 miliardi di costo) è stata un successo: è andata nel 2020 a 3,7 milioni di persone (+43% sul periodo pre-Covid) e copre l’80% dei potenziali beneficiari, percentuale quasi senza pari in Europa. Il rapporto conferma che il Rdc ha evitato il tracollo sociale e consentito al 57% dei nuclei di superare la soglia di povertà. Insomma, va protetto. I correttivi per Gori “devono essere limitati con precisione chirurgica”.
Per farlo serve partire proprio dalla platea: i poveri, intendendo quelli “assoluti” classificati dall’Istat in base a una soglia di indigenza calcolata su base territoriale. Il vero difetto del Rdc è che solo il 56% dei nuclei poveri lo riceve. La misura ha un tasso elevato di “falsi positivi”, poveri non assoluti che ne beneficiano: sono il 36% secondo la Caritas (il 51% per Bankitalia). La quota maggiore di esclusi è tra le famiglie numerose, quelle di stranieri e soprattutto al Nord. Qui i nuclei beneficiari sono il 37%, contro il 69% del Centro e il 95% del Sud. Eppure, sottolinea Gori, dal 2008 la povertà è cresciuta di più al Nord (vi risiede il 45% dei poveri assoluti), assumendo dimensioni mai viste dal Dopoguerra. La bassa copertura si spiega poco con la presenza maggiore di stranieri dove la povertà è più elevata, visto che il 70% dei poveri del settentrione sono italiani.
Il rapporto suggerisce di ridurre i requisiti di residenza (10 anni, gli ultimi due continuativi) per coprire più stranieri e di alzare le soglie di patrimonio mobiliare (da 6mila fino a 10 mila euro in base ai membri del nucleo). L’altro punto è differenziare le soglie su base territoriale: un povero a Milano non lo è a Reggio Calabria, ma le soglie sono le stesse e questo penalizza il Nord. Inoltre i criteri del RdC favoriscono poi i nuclei meno numerosi a scapito di quelli più numerosi. Quindi le soglie di accesso per i primi vanno ridotte.
Questo tipo di riordino della misura porterà a un riequilibrio anche territoriale: la copertura al Nord aumenterà e in generale saranno coperti più poveri assoluti e famiglie numerose, anche se, a parità di risorse, il beneficio potrebbe diminuire. Per mantenere l’importo simbolo di 780 euro, secondo la Caritas, sono stati coperti troppi poveri relativi rispetto a quelli assoluti. Serve dunque una scelta politica. “Tra i falsi positivi molti necessitano di forme diverse di welfare, dal Fisco agli ammortizzatori sociali, oggetto di riforma”, spiega Gori. In questo quadro, migliorare gli “incentivi al lavoro” è l’obiettivo meno urgente perché buona parte dei beneficiari non è occupabile. Di sicuro non servono nuove condizionalità: “Quelle del Rdc sono così tante che spesso si chiude un occhio”, conclude Gori. La palla passa alla politica, ma serve conoscere i dati.