Oms: “Rischio varianti più gravi” Ricciardi: “Delta buca i vaccini”

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) mette in guardia e avverte che la pandemia da Covid-19 non è assolutamente alle spalle: c’è infatti il rischio che si presentino nuove varianti ancora più pericolose. Un’allerta che accresce le preoccupazioni, mentre risalgono i contagi in tutta Europa.

Il nuovo allarme arriva dal consueto briefing da Ginevra sulla situazione pandemica: il comitato di emergenza dell’Oms ha avvertito che nuove varianti del virus SarsCov2 potrebbero diffondersi in tutto il mondo rendendo ancora più difficile fermare l’epidemia. “Non è affatto finita – hanno affermato gli esperti – e c’è la forte probabilità che emergano nuove e forse più pericolose varianti che potrebbero essere ancora più difficili da controllare”. Attualmente, rassicura però l’Ema, un ciclo completo dei quattro vaccini anti-Covid disponibili fornisce comunque un’alta protezione contro tutte le varianti in circolazione, inclusa la Delta, soprattutto contro la malattia grave e l’ospedalizzazione. A fronte di vaccini efficaci, è dunque estremamente importante immunizzare il maggior numero possibile di persone in Europa.

L’Agenzia Ue sta inoltre valutando la richiesta di estendere l’uso del vaccino Moderna ai giovani tra i 12 e i 17 anni, vaccinabili al momento solo con Pfizer, e una decisione è attesa alla fine della prossima settimana.

Con la variante Delta, oggi, “anche se si è vaccinati si può essere infetti”, spiega il consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi, che insiste: “Buca perfino il doppio ciclo vaccinale, ma conferisce una certa protezione contro la malattia grave e l’ospedalizzazione, però nel 30-35% dei casi determina infezione anche nei soggetti che hanno fatto la seconda dose di vaccino, figuriamoci una sola”.

Ricciardi ha sottolineato che la necessità di vaccinare al più presto è legata anche al fatto che “più esitiamo più lasciamo la possibilità al virus di selezionare varianti che non solo bucano il vaccino per l’infezione ma lo bucano anche per la protezione. In questo momento stiamo guardando con grande cautela alla variante Delta Plus in India e a una variante Lambda, che è stata isolata in Perù e che ci preoccupa molto. Ricordo che la variante Delta è 7 volte più contagiosa rispetto all’originale di Wuhan. Se prima in caso di positività contagiavi una persona, adesso ne contagi 7. Nel momento in cui una persona infetta di variante Delta va in un ambiente chiuso e trova delle persone non protette, le infetta fatalmente: dobbiamo evitare la quarta ondata”.

Figliuolo, 5 mln di dosi in frigo ma siam fermi a 500mila al dì

La variante Delta che avanza, i contagi che aumentano (un balzo di oltre il 61% dei nuovi casi dal 7 al 13 luglio), più di 2,2 milioni di over 60 che non hanno ancora ricevuto la prima dose e la campagna vaccinale che procede a rilento. Di quel milione di somministrazioni al giorno vagheggiate dal commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo non c’è alcuna traccia. Anzi nella prima parte di luglio, finora, si assiste a un rallentamento rispetto al mese di giugno. Preannunciato e puntualmente confermato.

Nell’ultimo mese, poi, c’è stato anche un crollo delle prime dosi: meno 73%. Numeri che arrivano dal monitoraggio settimanale della Fondazione Gimbe e che sono il risultato di più fattori. Da un lato c’è la persistente diffidenza di tanti over 60 verso i vaccini a vettore virale (quello di AstraZeneca e quello di Johnson&Johnson), dall’altro la necessità di garantire le scorte per i richiami dei sieri mRna Pfizer e Moderna. Poi c’è l’incertezza perdurante sulle forniture, che obbliga le Regioni a continue riprogrammazioni delle agende. Per questo – nonostante nei frigoriferi ci siano più di 4,8 milioni di dosi (2,7 di AstraZeneca e J&J e 2,16 di Pfizer e Moderna per assicurare i richiami) – il numero di somministrazioni giornaliere resta sostanzialmente stabile. In base al report di Gimbe la media mobile a sette giorni, nella settimana compresa tra il 5 e l’11 luglio, è di 543.873 somministrazioni al giorno. Volendo anche prendere in considerazione gli ultimi giorni la situazione non cambia di molto. Lunedì e martedì scorso le inoculazioni sono state più di 560 mila (siamo lontani dai picchi di oltre 600 mila raggiunti in alcuni giorni in giugno), l’altro ieri sono scese a poco più di 551 mila. Conclusione: alla data di ieri ha completato il ciclo vaccinale il 41,9% della popolazione, mentre il 60,8% ha ricevuto almeno la prima dose.

L’immunità di gregge – quell’80% di popolazione vaccinata entro settembre, come promesso da Figliuolo – appare un traguardo davvero ancora molto lontano. “A fronte di un sensibile aumento delle vaccinazioni nell’ultima settimana, con una media di 42mila somministrazioni al giorno – dice Raffaele Donini, assessore alla Salute dell’Emilia-Romagna e coordinatore della commissione Sanità della Conferenza delle Regioni –, abbiamo garantito per lo più i richiami. Il 63% delle dosi che abbiamo a disposizione sono AstraZeneca e Johnson&Johnson, per una popolazione over 60”. Ad aggravare il quadro c’è la forte incertezza sulle previsioni per il terzo trimestre. È sempre Gimbe a ricordare che l’ultimo aggiornamento del piano delle forniture risale allo scorso 23 aprile. Manca un consuntivo ufficiale. E non si sa nemmeno “se le 15,2 milioni di dosi non consegnate nel secondo trimestre saranno recuperate o meno nei prossimi mesi”. La struttura commissariale manda alle Regioni delle ipotesi di consegne. Ma quando si passa ai report veri e propri sulle forniture i numeri quasi sempre sono diversi. Ne conseguono continui stop & go e anche la difficoltà di produrre celermente dei consuntivi.

Le cose potrebbero anche non andare meglio nei prossimi mesi, visto che secondo la Fondazione Gimbe la stima di oltre 94 milioni di dosi a disposizione per il terzo trimestre dovrà essere inevitabilmente vista al ribasso. Non solo mancheranno all’appello più di 6,6 milioni di dosi del siero Curevac (che non ha superato i test clinici) ma potrebbero anche non esserci 42 milioni di dosi dei vaccini a vettore virale, qualora, come è stato ipotizzato, ne possa essere disposta la sospensione delle consegne per il mancato uso da parte delle Regioni.

Resta la preoccupazione anche per quel 12,4% di over 60 non ancora coperti nemmeno da una dose e maggiormente esposti, in caso di contagio, a contrarre la malattia in forma grave. Con grandi differenze tra le regioni, però. Se in Puglia, dove l’adesione alla campagna vaccinale è stata alta, è scoperto il 7,2% delle persone tra i 60 e i 69 anni, in Sicilia la percentuale schizza al 21,8%.

Carriere, giustizia a pezzi e pezzetti

Il secondo quesito referendario (di cui ometto il testo per la sua prolissità) tende a irrigidire, fino ad abolire del tutto, il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti (cioè di pubblico ministero) e viceversa teorizzando la separazione delle carriere. In realtà, anche in ipotesi di vittoria dei sì, i magistrati, sia giudicanti che requirenti, continueranno a effettuare un unico concorso, ad appartenere a un unico Ordine giudiziario e a essere governati da un unico Consiglio Superiore della Magistratura, perché per ottenere distinte carriere è necessario modificare la Costituzione della Repubblica. Di ciò è ben consapevole l’Unione Camere Penali che ha raccolto le firme per un disegno di legge costituzionale onde ottenere tale risultato.

Peraltro, già oggi i passaggi di funzione sono rari, comportando il cambio di distretto del magistrato. Il che, a mio parere è tutt’altro che un bene, creando il pericolo di una forte differenza di mentalità fra pm e giudici, con il rischio che il pm ricerchi il risultato piuttosto che la verità.

Prima dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, la questione dell’attribuzione di funzioni inquirenti e funzioni giudicanti a magistrati appartenenti a un unico ordine giudiziario e che potevano transitare dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa, non era mai stata posta. Era stata oggetto di qualche doglianza solo la figura del pretore, che cumulava, in capo a una stessa persona fisica e nel medesimo procedimento, le funzioni di pubblico ministero (che procedeva a istruzione sommaria e citava a giudizio l’imputato) e poi di giudice dibattimentale (che pronunziava sentenza sul materiale prima raccolto nell’istruzione), mentre le funzioni di pubblico ministero in dibattimento erano di solito affidate ad avvocati e svolte in genere in modo solo formale. Curiosamente, però, la percentuale di assoluzione dei pretori erano più alte di quelle dei tribunali, dove le funzioni erano distinte. Con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, anche nel procedimento pretorile le funzioni requirenti e giudicanti furono separate, creando un ufficio del pubblico ministero. Successivamente si è diffusa l’opinione, che l’introduzione del rito accusatorio comporti la necessità di una più marcata differenziazione fra organo inquirente-requirente e organo giudicante, motivata con argomenti di evidente inconsistenza, quali la colleganza fra requirenti e giudicanti, che non garantirebbe la terzietà del giudice (vi è rapporto di colleganza anche fra giudici di primo grado, di appello e di cassazione e ciò non sembra influire sull’esito delle impugnazioni).

Il tema della separazione delle carriere dei magistrati requirenti e giudicanti, dopo essere stato oggetto di un referendum che non raggiunse il quorum prescritto, era già stato proposto dalla maggioranza di centrosinistra nel corso della XIII legislatura e accantonato solo a seguito del fallimento dei lavori della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali; poi era stato annunziato nella XIV legislatura, seguita alle elezioni del maggio 2001 ed è ora ritornato di attualità.

Fra le favole che si raccontano in questo Paese, ci sono quella che il processo accusatorio richiederebbe la separazione delle carriere e quella secondo la quale la separazione delle carriere ci sarebbe in tutti gli altri Stati.

Quanto alla prima favola, va ricordato che la legge che delegava al governo l’emanazione del codice di procedura penale (L. 16 febbraio 1987, n. 81), nell’articolo 2 stabiliva: “Il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Esso inoltre deve attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio…”.

È quindi stravagante che per tenere in piedi alcune disposizioni del codice processuale penale sia stato modificato l’art. 111 della Costituzione e ora le Camere penali vogliano ulteriormente modificare la Costituzione per adeguarla al codice. Peraltro, dopo l’entrata in vigore di tale codice sono anche vertiginosamente aumentate le condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell’uomo. Forse sarebbe opportuna qualche riflessione sul codice anziché proporre modifiche della Costituzione.

Anche la seconda favola è smentita da fatti oggettivi: le carriere sono uniche in molti Stati europei (ad esempio: Francia, Belgio, Olanda, nel Land della Baviera in Germania, dove è comunque consentito il passaggio). Negli Stati Uniti d’America (da cui gli autori del codice di procedura penale credevano di aver copiato il modello accusatorio) non ci sono carriere, ma il presidente Clinton, allorché fu accusato di aver nominato giudici federali prevalentemente democratici anziché repubblicani, si giustificò dicendo che li aveva scelti per il 43% fra i procuratori federali. In Italia non vi è mai stata una percentuale così alta di giudici con precedente esperienza di pubblico ministero.

Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (organismo che raggruppa 47 Stati europei) con la Raccomandazione n. 19 del 2000 adottata il 6 ottobre 2000, ha ritenuto di proporre il modello dell’unicità delle carriere, cioè quello italiano) quale quello preferibile:

“17. Gli Stati prendono provvedimenti affinché lo status giuridico, la competenza e il ruolo procedurale dei Pubblici ministeri siano stabiliti dalla legge in modo tale che non vi possano essere dubbi fondati sull’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. In particolare, gli Stati garantiscono che nessuno possa contestualmente esercitare le funzioni di Pubblico ministero e di giudice.

18. Tuttavia, se l’ordinamento giuridico lo consente, gli Stati devono prendere provvedimenti concreti al fine di consentire ad una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di Pubblico ministero e quelle di giudice, o viceversa (il corsivo è mio, ndr). Tali cambiamenti di funzione possono intervenire solo su richiesta formale della persona interessata e nel rispetto delle garanzie.

19. I membri dell’ufficio del Pubblico ministero devono rispettare l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici; in particolare essi non possono esprimere dubbi sulle decisioni giudiziali o ostacolare la loro esecuzione, salvo quando esercitano i loro diritti di appello o invocano altre procedure declaratorie.

20. I membri dell’ufficio del Pubblico ministero devono far prova di obiettività e di equità durante i procedimenti giudiziari. In modo particolare devono accertarsi che il tribunale disponga di tutti gli elementi di fatto o di diritto necessari per una corretta amministrazione della giustizia” (la sottolineatura è mia).

Circa il passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa il Comitato dei Ministri così argomenta: “La possibilità di ‘passerelle’ fra le funzioni di giudice e quelle di Pubblico ministero si basa sulla constatazione della complementarità dei mandati degli uni e degli altri, ma anche sulla similitudine delle garanzie che devono essere offerte in termini di qualifica, di competenza e di statuto. Ciò costituisce una garanzia anche per i membri dell’ufficio del Pubblico ministero”.

Il giudice non può essere facilmente gerarchizzato, il pubblico ministero sì. Una volta espunto il pubblico ministero dall’ordine giudiziario diverrà difficile assicurarne una reale indipendenza e sottrarlo a influenze politiche, tanto più se venisse modificato il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Attraverso il controllo del pubblico ministero sarà possibile influire sulla domanda di giustizia che egli avanza al giudice con l’esercizio dell’azione penale. I giudici saranno quindi indipendenti e liberi di decidere questioni di cui nulla importa ai detentori del potere.

 

Due vite, un triangolo e la cabala di Trevi

“Due vite” di Emanuele Trevi (Neri Pozza), libro vincitore del Premio Strega, non sa, né vuol sapere, se sia più romanzo, saggio o memoir, in questa ambiguità trova la ragione del suo stile; ma la numerologia ci dà due buoni indizi, o forse tre, per decifrare la sua identità.

Due vite è un libro dedicato all’amicizia; o meglio, al sodalizio che ha legato l’autore a due altri scrittori coetanei, eppure scomparsi troppo presto: Emanuele, Rocco e Pia hanno avuto “una storia di amicizia” come si ha “una storia d’amore”, una vera rarità nel Paese più cattolico al mondo, perché l’amicizia ha contro la competizione, la cupidigia, il potere, esattamente come l’amore; ma ha contro anche l’amore, o quantomeno il desiderio di innamorarsi: “A innumerevoli esseri umani è dato questo destino, di ottenere molta più felicità dall’amicizia che dall’amore. Ma purtroppo queste persone non si arrendono facilmente…”.

Una perfetta triangolazione di amicizia, quella ricostruita da Trevi. Se l’amore è pari (ma lo sarà davvero?), l’amicizia è dispari, chiusa in un triangolo come l’Occhio della Provvidenza. Ma in questa narrazione dove la trama è scritta dal vissuto pulsa una seconda alleanza, quella tra i vivi e i morti. I morti sono amici dei vivi? E fino a che punto? Tocca ai vivi decidere, l’onere della prova di essere esistiti insieme a chi abbiamo amato. “La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti”, ma anche l’io narrante vacilla sulla fune tesa sul vuoto, guai se non ci fossero gli amici a sorreggerlo. Per ripercorrere le tappe della triangolazione, Emanuele fa il contrario di Orfeo: resta nel Regno dei vivi, da dove chiama a raggiungerlo Rocco e Pia, sperando che non cedano alla tentazione di voltarsi indietro.

(Non ho conosciuto Rocco Carbone, ma sono stato amico della mia concittadina Pia Pera. Vorrei dire a Emanuele che, oltre a Macchia, l’altro cane di Pia si chiamava Nino. Su mio consiglio, si era presa lo pseudonimo di Nino Macchia).

Le nuove tangenti? Ricotta e arance

Il secondo semestre del 2020 procede in sintonia con il primo: a Criminopoli si mantiene la media di circa 2 nuovi indagati al giorno per corruzione e 10 per reati di mafia. Il totale da inizio anno sale così a 360 nuovi accusati di corruzione e ben 1.415 per associazione mafiosa. Il premio “mazzetta della settimana” va ai siciliani Giuseppe Tola e Santo Calandino. Il primo è accusato di mafia, il secondo è un agente della penitenziaria del carcere Pagliarelli di Palermo. Calandino avrebbe ricevuto da Tola il lavaggio mensile dell’auto, carburante a prezzo inferiore a quello di mercato, generi alimentari come ricotta, arance, carne di capretto e melograni, un giubbotto e una tuta. In cambio Calandino gli avrebbe fornito indicazioni sullo stato di detenzione di parenti e amici e lo aggiornava sulla presenza di sistemi di sorveglianza o microspie nel carcere. Per quanto simbolico, il premio sarà revocato se Tola e Calandino dovessero essere archiviati o assolti. Ah, lo Stato non cattura Matteo Messina Denaro da 10.181 giorni.

 

Perché non ci sono foto di politici mentre fanno il vaccino?

La politica si divide sul Green Pass. C’è chi è a favore, chi contro e chi lo vuole all’italiana: non per bar e ristoranti, sì per tutto il resto. In attesa che il governo faccia sentire la sua voce, la campagna di vaccinazione registra una brusca frenata. All’appello mancano ancora tantissimi over 60. Il 18 giugno i non vaccinati anziani erano 2 milioni e 833 mila. Tre settimane dopo, il 9 luglio, solo 300 mila in meno.

La chiamata alla siringa del generale Francesco Figliuolo, condita da roboanti frasi del tipo “li cercheremo casa per casa”, è rimasta sulla carta tanto che, se si andrà avanti di questo passo, gli over 60 saranno tutti immunizzati solo a dicembre. L’improvvido ottimismo che il 23 aprile aveva spinto il militare ad assicurare ai sindaci la conclusione della campagna vaccinale entro l’estate è insomma solo un ricordo. Al di là delle discussioni sulle responsabilità di Figliuolo, di Palazzo Chigi, delle Regioni e dell’Europa, resta il fatto che è ben difficile convincere i cittadini a vaccinarsi se chi li rappresenta al governo e in Parlamento marca visita. Tanti politici, è vero, hanno dato il buon esempio. I social sono pieni zeppi di foto di deputati, senatori, presidenti di Regione che offrono il braccio al siero. Curiosamente, però, mancano le immagini di chi di social vive.

Matteo Salvini che documenta su Instagram e Facebook i propri pranzi, le cene e persino il cappuccino, il caffè e l’ammazacaffè, sul punto appare renitente. Il 2 luglio aveva spiegato di aver dovuto far saltare l’appuntamento a causa di un processo e aveva garantito che arrivato il suo momento avrebbe postato “una foto con dedica” (al presidente campano Vincenzo De Luca che gliene aveva chiesto conto, ndr).

Siamo arrivati al 16, in Lombardia vista la carenza di volontari, gli appuntamenti te li fissano ormai nel giro di due giorni, ma tutto ancora tace. E silenziosa è pure Giorgia Meloni che, dopo aver accusato il governo Conte bis e il vecchio commissario Arcuri di imperdonabili ritardi nella pianificazione delle vaccinazioni, il 10 giugno assicurava che presto si sarebbe immunizzata: “Mi sono prenotata”. Sono passati 35 giorni. Nel Lazio vaccinano pure gli under 16, ma lei sui social, per la gioia dei no-vax, ha postato di tutto tranne che la sua foto con la siringa al braccio.
Conte, invece, s’è fatto la prima dose il 12 luglio e farà il richiamo a fine mese. Decisamente pro-vax è anche Matteo Renzi, che da premier impose il “pacchetto” obbligatorio della Lorenzin e lo scorso anno, quando ancora quelli anti-Covid non c’erano, annunciò una petizione perché diventassero obbligatori. Oggi i vaccini ci sono. E in Rete ci sono pure le immagini di Maria Elena Boschi che più giovane di lui, dà il buon esempio con tanto di didascalia: “A tutela della mia salute e di quella della comunità”. Mancano invece quelle di Matteo. Due giorni fa, quando gli hanno chiesto “lei è controcorrente (il titolo del suo nuovo libro, ndr) anche perché è uno dei pochi parlamentari a non essersi ancora vaccinato?”, Renzi ha risposto così: “Nel mese di luglio è in corso il procedimento. Conto di finire entro agosto”. “Quindi è già prenotato?”, ha tentato di insistere una giornalista. Niente da fare. L’ex presidente del Consiglio ha proseguito tutto di un fiato: “Rispettando le regole e non saltando la fila” per poi dirsi d’accordo con le decisioni di Macron. In molti malpensanti resta il dubbio che leader di Italia Viva si sia già vaccinato in marzo al Gran premio del Bahrein, dove i vaccini li facevano gratis, mentre in Italia quasi non c’erano. Lui, a suo tempo, ha negato. E noi gli crediamo. Perché Renzi, si sa, è un uomo di parola.

 

Renzi è peggio di Craxi: per lui la politica è un affare privato

Nel mondo capovolto di Matteo Renzi, foderato di inchieste, ville col mutuo, querele, prestiti bancari, telefonate imbarazzanti, tradimenti doppi e tripli, amici carcerati, conferenze a tassametro, i soldi sono solo soldi, la politica non c’entra. Ci mancherebbe. E a proposito dei 700 mila euro ricevuti da Lucio Presta per girare un documentario davvero inedito sulla Firenze Rinascimentale, purtroppo valutato pochi spiccioli dai ragionieri del libero mercato, ci raccomanda di non farci idee sbagliate sull’intreccio giudiziario che sventatamente lo riguarda: il malloppo è suo, lo ha incassato “in modo lecito, regolare, trasparente”. E più precisamente: “Quei soldi appartengono alla mia vita privata e li uso per la mia vita privata”.

Accadeva – in un tempo ormai remoto – proprio il contrario. Qualunque Cirino beccato con la grana nel materasso o il quadro d’autore appeso nel salotto, s’affrettava a scaricarsi la coscienza sulle spalle (e nelle tasche) del partito. Il malcapitato chiedeva clemenza per il disguido d’appropriazione indebita, ammetteva con la lacrima del rimorso e l’inchino delle buone intenzioni, tipo l’indimenticabile Lorenza Cesa, “sono pronto a vuotare il sacco”, tutti sempre giurando di averlo fatto non “per arricchimento personale”, ma per l’ideale. Intitolato qualche volta a don Sturzo, talaltra a Pietro Nenni, o a Umberto Terracini. E che solo nelle urgenze della vita reale, ahinoi, quell’ideale si era voltato in una bella villa sulla costiera, una sede sfarzosa di partito, qualche clientela, qualche viaggio, qualche discoteca, e poi vabbè, le pupe, i vestiti, i ristoranti, oltre alla ricorrente seccatura delle campagne elettorali utili a rinnovare l’ideale e il malloppo. Una commedia che ha smesso da tempo di andare in scena, salvo che nella cella frigorifera dove si ostina ad abitare Stefania Craxi, immune agli anni che sono passati dalla parabola di suo padre, che si rubò, al netto dei miliardi, l’intera storia del Partito socialista.

Il pronipote Renzi è di tutt’altra pasta. Rivendica, non dissimula. Nella sua celebre auto-intervista a Piazzapulita, ha detto: “Se lei mi domanda se sono stato in Arabia Saudita a fare conferenze, sì. Sono stato negli Emirati Arabi? Sì. In Cina? Sì. Oggi ero in Olanda. L’altra settimana a Barcellona. Sì, vengo retribuito per fare delle conferenze perché c’è gente che pensa che sia interessante ciò che ho da dire”. Anche su Santa Croce, sul David di Donatello e su una sua recente scoperta, gli Uffizi. Nulla lo turba. La politica per lui è un lavorare in proprio. Che sia per un documentario o per il Quirinale prossimo venturo. Con il Pd e contro il Pd. Con Berlusconi quando serve, con Denis Verdini sempre. Qualche volta contro Matteo Salvini, qualche altra volta in coda. Arbitro in proprio del suo dire e disdire. Imbrogliare le carte in tavola. Rivoltare la frittata. Friggere la parola data: “Se perdo il referendum non mi vedrete più”. Come? Gli avevate creduto?

A questo giro dell’inchiesta – mentre il fiorentino si traveste da vittima dei guelfi neri, i magistrati – ci cascano i più facinorosi della destra di carta, quella che strilla legge, ordine e mazzate, ma solo per i poveracci. Lieti di condividere, nel manicomio delle loro ossessioni extralegali, l’ora d’aria con il nuovo martire della “giustizia a orologeria”. Renzi Matteo, l’ennesimo prigioniero della “vendetta dei pm”, anzi del “cancro della magistratura incosciente” diventata “una emergenza nazionale che necessita un intervento non più rinviabile”. Preparate i moschetti. Avanti con i referendum. Che Renzi forse firmerà o forse no. Intanto lancia il libro. Incassa il fatturato. Minaccia: “Non temo niente e nessuno” come ringhiavano agli sceriffi i cercatori d’oro nel Klondike.

 

La Cartabia è un’amnistia contro la costituzione

Ancora una volta, dal ministero di via Arenula è arrivato l’annuncio di una riforma della Giustizia per la quale il presidente del Consiglio ha invitato le forze di maggioranza a dare in Parlamento leale sostegno alla ministra Cartabia nel suo sforzo innovatore. In attesa di conoscere nei dettagli tutti i contenuti della proposta, sarà utile verificarne le linee guida alla luce dei principi generali dell’ordinamento e dei principi costituzionali.

Nella riforma Cartabia l’attuale disciplina della prescrizione voluta dal ministro Bonafede, che si arresta definitivamente con la sentenza di primo grado rimane in piedi, ma per il secondo grado entra in funzione un sistema di sbarramento collegato alla durata del processo per cui, se questo sfora i due anni viene dichiarato improcedibile e gli imputati vanno a casa con la fedina penale immacolata (e le vittime dei reati?), mentre in Cassazione l’improcedibilità scatta quando il processo dura da oltre un anno. Sin da ora è lecito avanzare serie perplessità circa l’impianto di questo nuovo sistema che, per l’appello, farebbe letteralmente scoppiare i ruoli di udienza essendo impossibile definire in 2 anni i processi nuovi e quelli pendenti in questa fase, nella quale la durata media è di 1.038 giorni.

Si può pertanto osservare:

1) la “Regola Bonafede” è stata giustamente mantenuta essendo una norma di civiltà che trova applicazione in tutta l’Ue e nella maggior parte degli Stati Uniti, tenuto conto altresì che il ritorno all’ancien règime avrebbe significato il falò di 130.000 processi prescritti ogni anno;

2) viene rispettato il principio del “Giusto processo” di cui all’art. 111 Cost. che si attua nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità davanti a un giudice terzo e imparziale, la cui ragionevole durata dev’essere assicurata con legge ordinaria (la prescrizione che si ferma con la sentenza di primo grado, i cui tempi vanno calcolati in aggiunta a quelli delle indagini preliminari è, appunto, di ragionevole durata).

Circa la regola della improcedibilità, si tratta di una novità assoluta per il nostro ordinamento processuale, per cui le intollerabili lungaggini provocate da un fatiscente sistema giurisdizionale penale sull’orlo del collasso, con una massa di 2.676.750 di processi pendenti al 30 settembre 2020, affetto da una crisi irreversibile che nessuna delle inutili leggine di riforma emanate dal 1989 è stata in grado di arginare, si scaricano adottando tempi fissi per la chiusura del procedimento. Ma ciò avviene ghigliottinando i processi alla scadenza imposta e non già accelerandone la definizione con strumenti di razionalizzazione, ad esempio moltiplicando i giudizi direttissimi nei casi di “prova evidente”, riducendo i tempi morti tra le udienze, bloccando da parte dello stesso giudice di primo grado gli appelli inammissibili o manifestamente infondati, impedendo le manovre ostruzionistiche degli imputati, specie nel campo delle notificazioni, introducendo il giudice monocratico in appello (salvo che per il crimine organizzato, il terrorismo, i sequestri di persona, i femminicidi ed altri gravi delitti), riducendo i collegi della Cassazione da cinque a tre membri, prevedendo, di norma, la forma più snella dell’ordinanza per le decisioni, tranne che per i giudizi più complessi, ecc.

Di fronte a questo nuovo sistema, che nei fatti funziona come un’amnistia, ci si chiede se sia conforme alla Costituzione. La risposta è negativa poiché esso si pone in contrasto con il principio della obbligatorietà e irretrattabilità dell’azione penale sancito dall’art.112 della Carta fondamentale, la cui traiettoria, una volta iniziata, non può trovare ostacoli di natura procedurale e si conclude soltanto quando interviene la sentenza definitiva di condanna o di assoluzione. È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale sin dal 1993 con la sentenza n. 111 per la quale: “Al di là dell’affermazione di principio secondo la quale a un ordinamento improntato al principio di legalità e al connesso principio di obbligatorietà dell’azione penale – che rende doverosa la punizione delle condotte penalmente sanzionate – non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire a una giusta decisione”. In conclusione: i processi non si possono arrestare e il governo dovrà trovare strumenti più moderni, più avanzati e più efficaci (ad esempio, il processo accusatorio) contro la crisi senza fine della giustizia penale.

 

Lombardia “Il mio lungo calvario in ospedale: altro che eccellenza”

Gentile redazione, sono un malato che possiamo chiamare “terminale”. Sono ricoverato in un istituto a Milano che una volta rappresentava “l’eccellenza” europea.

La mia odissea è cominciata giorni fa, con una fascia per bloccare una spalla rotta, in concomitanza con un’altra frattura al femore: a queste due fratture “chirurgicamente perfette” si somma – sempre nella stessa struttura – una operazione alla spina dorsale con bacchette di metallo, senza risparmio di viti, e una successiva cementificazione: il mio corpo è praticamente fermo…

L’altra notte, purtroppo, non riuscivo a dormire: la fascia per la spalla mi stringeva la gola e mi metteva nel panico, facendomi mancare il respiro; perciò la tolsi come potevo. La mattina seguente due medici e due infermieri hanno provato a rimettere la cinghia che blocca la spalla: sembrava tutto a posto, ma non appena se ne sono andati, la spalla ha ricominciato a muoversi perché non era fissata correttamente al petto. Dopo la mia richiesta di intervento, anziché il medico, è arrivata una infermiera, informandomi del mio imminente trasferimento al Trivulzio (casa di cura per anziani, ndr) e non in una struttura specifica per la riabilitazione. Ora, quando si arriva a questo punto come me, non è meglio l’eutanasia per legge? Si salverebbero così più giovani malati e i medici e i paramedici lavorerebbero più tranquilli. Sono al Gaetano Pini di Milano. E queste cose, purtroppo, sono giornaliere.

 

Mail Box

“Libero” non arriva all’uva e dice: “È acerba”

Gentile Direttore, dica la verità: non se lo aspettava che i suoi “amici”, Sallusti (direttore) e Facci (estensore) le avrebbero dedicato il titolo a caratteri cubitali sulle loro pagine sporcate d’inchiostro (chiamarlo giornale è troppo) di Libero. Avrebbero avuto mille argomenti sui quali titolare, ma hanno scelto Lei. A questo punto sospetto che oltre a dirigere il Fatto, abbia ruoli apicali occulti nel sistema politico economico mondiale. O forse dipende solo dal fatto che Sallusti e Facci la invidiano e, come la famosa volpe, non arrivando all’uva dicono che è acerba?

Mauro Chiostri

 

La vittoria agli Europei e gli “ultras moderati”

Gentile Redazione, non è vero che tutti i non-lettori del Fatto sono convinti che l’Italia abbia vinto la finale grazie al fatto che Draghi è il presidente del Consiglio. C’è anche tra di loro una frangia più moderata: quelli che pensano che l’Italia non abbia perso la finale perché il presidente del Consiglio non è Conte.

Ale Deriu

 

Il Movimento 5 Stelle torni alle origini

Caro Direttore, dopo il comportamento vergognoso dei 5S, ivi compreso l’avallo al ricatto in opera nei confronti di Grillo, l’ultima chance del Movimento che finora ho votato, è che immediatamente vadano all’opposizione. Ricordino che sono nati per fare questo: solo la rabbia del paese ha dato loro tanti voti da obbligarli a indossare vesti non proprie. La loro missione era aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, ma l’apriscatole l’hanno perduto, anzi, ingoiato (sono una signora e non menziono l’altra via d’ingresso). Perciò facciano quello per cui sono nati e sono stati votati. Se non risponderanno più alle nostre aspettative, andremo altrove.

Rita Trigilio

 

Cashback di Stato e la gara “immorale”

Gentile redazione, non capisco la vostra ostinazione a considerare il cashback un buon provvedimento del precedente governo, senza distinguere tra il cashback semplice dal super cashback, provvedimento che considero immorale. Non so chi abbia ideato questa iniziativa senza considerare le sue ripercussioni. Un provvedimento che ha condizionato oltre 1 milione di persone in una gara che snatura i modi di viver quotidiano. Gente che si alzava al mattino pensando a come parcellizzare la spesa e che ha messo in atto micro pagamenti, per poi effettuare veri e propri assalti alle pompe di benzina per scalare la classifica.

Ora che siamo arrivati al rush finale vi è un ulteriore condizionamento per coloro che sono nel limbo, in attesa del verdetto finale; persone che han fatto fatica a dormire in questi giorni in quanto la classifica non è ancora definitiva. Penso a chi, alla fine, sarà di poco fuori classifica: un dramma. Rispetto a coloro che hanno partorito le più fantasiose iniziative però, non è stato preso dal Ministero competente nessun provvedimento teso ad annullarle: dovranno quindi essere accettate, pena migliaia di ricorsi.

Dal 1° luglio molti dei partecipanti si sono svegliati da quell’incubo e la vita è ricominciata uguale a quella dello scorso anno. Bene ha fatto allora il governo a sospenderlo (il cashback andrebbe ripresentato con altre modalità mentre il super cashback andrebbe abolito tout court), anche se le giustificazioni di Draghi non corrispondono alla realtà. Vi scrissi a tal proposito il 24 gennaio ma non ottenni da voi risposta. Ringrazio per l’attenzione e saluto cortesemente.

Francesco Rosso

 

La Caporetto dei 5S nonostante i risultati

Grillo, l’elevato, il guru, il garante… è scomparso? Invece di cercare di salvaguardare il suo potere e i suoi interessi e scartare Conte, non farebbe meglio a salvaguardare, con i suoi poteri, i nostri interessi? I Cinque Stelle sono allo sbando. Sembrano i soldati italiani dopo l’8 settembre! Stanno evaporando tutti i risultati ottenuti, grazie anche a noi che, votandoli, abbiamo dato loro forza in Parlamento. Hanno il maggior numero di parlamentari e, incredibilmente, si fanno fregare da un ex bancario e da un partitino del 2% scarso, guidato da un politico discusso e discutibile. Sveglia Grillo, fai alzare le chiappe ai tuoi aficionados!

Paolo Benassi

 

Veramente è intervenuto, ma a favore del Salvaladri.

M. Trav.

 

“Vedi Pompei…” e poi figuracce

Eccessivo pensare che un uomo serio, occasionalmente ministro della cultura, a fronte dell’articolo di Leonardo Bison “Vedi Pompei…” dovrebbe avvertire l’urgenza di rispondere al giornale chiarendo le ragioni della figuraccia internazionale a cui sta esponendo il Paese? Oppure, in alternativa, dimettersi?

Fabio Barbieri

 

Il piano “Zaiastan”: più cemento, meno sanità

Quando finirà la stampa di santificare Zaia? Le sue leggi naturicidie (la 2050 con la promessa di bonificare i terreni dai capannoni, permette a chi lo fa di ricostruirne altri, con ulteriori volumi sotto forma di supermercati). L’indagine dell’Ispra rivela che la Marca trevigiana è settima in Italia per consumo di suolo. Nel 2020 tra palazzi, Pedemontana e supermercati, si è costruito più che a Roma o Torino! Il cemento corre e, con esso, l’ inquinamento, la minor ossigenazione degli agglomerati urbani e, dunque, malattie cardiovascolari e tumorali; nel frattempo il piano “ Zaiastan” taglia i posti letto agli ospedali (Castelfranco Veneto, Valdobbiadene) in nome, penso, di una spinta verso l’elettorato di riferimento. Ma i polli veneti guardano le tv locali accondiscendenti, non vedono il cemento sotto il loro naso e votano, imperterriti, il dio Zaia.

Barbara Cinel